Dead Island 2 | Anteprima - Siamo precipitati a Hell-A

Dopo aver speso cinque ore assieme a Dead Island 2, posso dirvi che Dambuster sta compiendo un vero e proprio miracolo.

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a cura di Andrea Maiellano

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Negli ultimi anni, Dead Island 2, era diventato una vera e propria leggenda metropolitana videoludica. Uno di quei nomi che, non appena lo leggevi, iniziavi a sorridere pensando che, alla fine, non sarebbe mai uscito. E invece, dopo nove anni, tre studi di sviluppo differenti, un numero imprecisato di ripartenze dell’intero progetto e la ferrea volontà di Deep Silver nel voler preservare il brand, il prossimo 21 aprile, questo seguito vedrà finalmente la luce.

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Con moltissimi dubbi in merito al risultato finale di una produzione così tanto rinviata, e rimaneggiata, ho avuto il piacere di essere invitato a una presentazione a porte chiuse, dove mi è stato possibile scambiare quattro chiacchiere con alcuni membri di Dambuster (lo studio che è riuscito nella titanica impresa di far risorgere dalle ceneri questa IP) e, soprattutto, poter provare per cinque ore abbondanti, una versione pressoché definitiva di Dead Island 2.

Stenterete a crederci ma, pur considerando i canonici dubbi che possono sopraggiungere al termine di una prova così breve, ho preso il pad convinto di trovarmi di fronte a un potenziale “meme” videoludico, della portata di Duke Nukem Forever, e l’ho appoggiato a malincuore, con un cocente desiderio di ritornare quanto prima a Los Angeles, per spendere tutto il mio tempo a smembrare morti viventi.

La versione che ho potuto provare si può tranquillamente considerare come una build definitiva, la quale potrebbe necessitare giusto di un pochino di polishing per andare a correggere tutte quelle piccole sbavature che ho potuto constatare girovagando per Los Angeles. Cominciando dal principio, ho apprezzato come il tono scanzonato da B-Movie, con cui ci aveva cullato il primo capitolo, non solo è rimasto immutato ma, per certi versi, è pure migliorato. Dead Island 2, difatti, non vuole essere un gioco demenziale come le ultime iterazioni di Dead Rising, né tantomeno vuole ammantarsi della futile serietà della serie di Dying Light.

Questo nuovo capitolo, infatti, comincia esattamente come ci si aspetterebbe, ovvero con una Los Angeles deflagrata da un’epidemia di morti viventi e tutti i suoi abitanti intenti a cercare una via di fuga prima che la città venga posta in una quarantena indefinita. La cinematica iniziale si prodiga nel presentarmi i sei protagonisti dell’avventura: un gruppo di  personaggi, decisamente sopra le righe, ben caratterizzato e le cui diversità rappresentano, molto banalmente, la classe con cui si vorrà cominciare la propria avventura in Dead Island 2.

Ognuno di essi, come da copione, non ha collegamenti emotivi con gli altri protagonisti, andando quindi a giustificare, come confermato anche dagli sviluppatori, una narrazione che non subirà grosse variazioni in base alla scelta fatta dal giocatore. Per quanto riguarda il canovaccio, invece, Dead Island 2 vede questi sei protagonisti cercare di salire sull’ultimo aereo messo a disposizione dal governo per evacuare Los Angeles, il classico incidente a bordo farà precipitare il velivolo, obbligando il protagonista che si sarà scelto, a  trovare un modo per scappare dalla città. Se tutto questo non bastasse, nelle prime fasi dell’avventura, il nostro sventurato alter-ego verrà morso da un non-morto, scoprendo che il virus non ha, almeno apparentemente, effetto su di lui.

È vero! L’incipit è tutt’altro che originale ma la patina da B-Movie, che cerca spudoratamente di fare il serio, funziona alla grande ed è riuscito, anche grazie a una scrittura a metà strada fra il Raimi degli anni ‘80 e al Reese di Zombieland, a tenermi incollato allo schermo per tutta la durata della prova, lasciandomi la curiosità di voler capire dove vorrà andare a parare la sceneggiatura di Dead Island 2.

Lasciando alla futura recensione il compito di valutare la trama di Dead Island 2 nella sua interezza, quello che mi ha realmente sorpreso durante la mia prova è stata la mole di storie che Los Angeles è in grado di raccontare semplicemente esplorandola. Quando scoprii che questo nuovo capitolo non sarebbe stato un open world, ma avrebbe sfruttato delle macro-mappe interconnesse tra loro nelle quali il giocatore avrebbe potuto spostarsi liberamente con il progredire dell’avventura, non vi nego che ero scettico sul risultato finale. Invece, Dambuster è riuscito a trovare la “quadra perfetta” per garantire un’esplorazione degli ambienti elevatissima, oltre ad aver sfruttato la gestione di spazi più contenuti per garantire una distruzione elevata e una resa grafica indubbiamente convincente.

Quasi tutte le strutture presenti nelle varie mappe che compongono Los Angeles, o Hell-A come la chiamano amichevolmente gli sviluppatori, sono interamente esplorabili e contengono al loro interno una notevole quantità di segreti. Alcune ville avranno aree che risulteranno inaccessibili fino a che non si troverà la chiave, che magari è nelle tasche del proprietario non-morto che sta girovagando nel negozio all’angolo della strada, altre abitazioni si prodigheranno nel raccontarci gli ultimi attimi della vita dei loro inquilini attraverso annotazioni scritte per i soccorsi, strisciate di sangue raffermo che ne racconteranno gli ultimi spostamenti e armi di fortuna rinvenuti sui cadaveri.

Quello che mi ha realmente sorpreso è come questo aspetto sia stato curato maniacalmente dagli sviluppatori, riuscendo nel tentativo di far spendere ore al giocatore esplorando ogni abitazione, venendo costantemente a conoscenza di storie di vita quotidiana, mentre ci si diletta nella ricerca di armi, segreti e risorse. In parole povere, Dead Island 2 riesce a centrare quell’obiettivo che più e più volte è stato mancato da numerosi open world molto più pretenziosi e lo fa con una naturalezza, quasi disarmante.

Dead Island 2, però, non si potrebbe considerare un seguito del celebre titolo realizzato da Techland nel lontano 2011, senza un gameplay a base di attacchi melee, armi di fortuna ed elementi da GDR all’acqua di rose. Per quanto, però, tutti questi elementi siano presenti, e alcuni di essi siano tornati in gran spolvero, e proprio quando si imbracciano le prime “armi bianche” messe a disposizione dal gioco, che si cominciano a intravedere le prime sbavature dell’ultima produzione targata Dambuster.

Colpire con le varie armi a disposizione, difatti, non mi ha mai restituito una pesantezza convincente, facendomi sempre percepire i colpi come eccessivamente scivolosi. Per fortuna in mio soccorso è intervenuto lo splendido FLESH System. Questo elemento, realizzato appositamente da Dambuster per questo capitolo, garantisce uno smembramento dinamico dei corpi, che comincia dallo scorticamento della pelle fino alla lacerazione degli organi che compongono i corpi dei numerosi non-morti presenti a Los Angeles.

Questo innovativo sistema, oltre a garantire un nuovo livello di gore, si prodiga nel garantire delle hitbox sempre precise al millimetro, mostrando chiaramente al giocatore dove, e quanto in profondità, avrà colpito i nemici. Una dinamica che, in tutta onestà, è riuscita a sorprendermi e disgustarmi allo stesso tempo e che, unita all’enorme varietà di armi che si possono realizzare attraverso l’immancabile crafting, garantirà ore e ore di gioia agli amanti degli sbudellamenti.

Proprio in merito al crafting, Dead Island 2 offre la possibilità di riparare, e in molteplici casi potenziare, ogni singolo oggetto contundente che troveremo in giro per Los Angeles. Salendo di livello, completando missioni, incarichi o semplicemente esplorando le varie aree di Los Angeles, si guadagneranno delle carte da gioco.

Queste ultime, oltre a migliorare determinate caratteristiche del proprio personaggio, o permettendo di apprendere nuove abilità, garantiranno anche dei potenziamenti che potranno essere applicati alle varie armi, ovviamente se si avranno a disposizione le risorse necessarie per realizzarli. Viene da se che, dopo poco tempo speso a girovagare per le soleggiate strade di L.A., si comincerà ad attaccare la canna di un bruciatore di una fiamma ossidrica a un machete o i resti di un taser a un coltello da caccia, generando degli accrocchi tanto assurdi quanto funzionali.

In aggiunta a tutto questo, infine, entra in gioco la distruzione ambientale e quello che, molto banalmente, posso chiamare “Effetto Willy il Coyote”. Ve lo spiego molto semplicemente: avete appena costruito un coltello elettrico ma non volete romperlo subito squartando non-morti a destra e a manca. Vicino a un garage trovate una tanica piena d’acqua e, tronfi delle vostre basilari conoscenze nel campo della chimica, decidete di portarla con voi, innaffiando la strada alle vostre spalle mentre attirate l’attenzione dei vari zombi presenti nel quartiere.

Una volta che un numero abbastanza nutrito di non-morti vi starà seguendo, camminando sul cemento bagnato dietro di voi, vi girate di scatto e colpite la strada con il vostro coltello elettrico e… ZAP! La frittura di zombi è servita, il tutto senza consumare eccessivamente la vostra arma nuova fiammante e sfruttando al meglio l’ambiente circostante.

Ora applicate questo principio a ogni elemento reperibile naturalmente in una città e avrete chiaro come Dead Island 2 permetta ai più ingegnosi di costruire delle trappole analoghe a quelle realizzate da Kevin in “Mamma ho perso l’aereo”. Se ve lo state chiedendo, si. Questo sistema è dannatamente divertente anche in virtù di un comparto tecnico la cui fisica sembra essere realizzata con una cura in cui raramente mi sono imbattuto.

Lasciando alla prossima recensione tutto quello che concerne l’aspetto tecnico del gioco, del quale mi limito a dirvi che su Xbox Series X si è rivelato decisamente sorprendente seppur con qualche incertezza qua e la, non resta altro da fare che gioire per la capacità di Dambuster di far risorgere dalle ceneri un IP che sembrava oramai spacciata e aspettare aprile per capire se il trono, su cui siede da tempo Techland, potrà essere usurpato da questo temerario manipolo di sviluppatori di Nottingham.

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