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Cult of the Lamb è tra i migliori giochi dell'estate | Recensione

La nostra recensione di Cult of the Lamb, un videogioco tutto da scoprire.

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a cura di Nicholas Mercurio

Una setta, dei fedeli e delle anime da soggiogare. Non potremmo aprire diversamente la nostra recensione di Cult of the Lamb, il nuovo videogioco di Massive Monster pubblicato da Devolver Digital, il celeberrimo publisher che negli ultimi anni ha spinto opere di vario genere, facendoci conoscere i team più sconosciuti del panorama indipendente.

Assieme ad Annapurna Interactive, infatti, Devolver Digital offre ormai da diverso tempo opere di vario genere, ricercando l’originalità a tutti i costi persino là dove non immagineremmo neppure. Con Cult of the Lamb, infatti, lo studio Massive Monster inscena qualcosa di mai visto prima nel panorama, prendendo ispirazione da opere come Animal Crossing e creando una piacevole atmosfera roguelite.

Prima di essere questo, però, è un’opera con un contesto preciso e un racconto appena sussurrato. Esplorare la mente degli sviluppatori non è stato complesso perché, considerando che ci siamo accorti del loro talento in poco tempo, eravamo sicuri di trovarci davanti un’opera curata e con implementazioni intelligenti. La creazione di Cult of the Lamb, infatti, è quanto ci ha più incuriosito: ci hanno impiegato diverso tempo e tanta fatica per trovare un equilibrio tra l’anima gestionale e quella roguelite, unendo due correnti tanto distinte tra loro quanto assolutamente difficili da trattare in un singolo videogioco così ambizioso.

Un’idea geniale e originale

Non fatevi ingannare dalle apparenze: Cult of the Lamb, nonostante sia un progetto supportato da un grande publisher che ricerca il talento negli studi di sviluppo più promettenti, è una produzione che potrebbe ingannare i più esigenti. Invece è un videogioco con un’anima forte, tanta originalità e voglia di farsi conoscere in un panorama che, alle volte, di stupire e lasciare di stucco non ha mai realmente voglia.

È il contesto, oltre che il messaggio, ad averci catturato: il gioco tratta di una setta da far crescere, accudire, seguire e aiutare. Una setta che, senza troppi giri di parole, è nelle mani di un agnello che stava per essere sacrificato come eretico. E qui potrebbero esserci tante critiche a questa pratica, oltre che una critica alle religioni create dall’uomo. Questo videogioco, oltre a farci gestire una setta e picchiare dei cattivoni, ci spiega come la religione sia l’oppio dei popoli peggiori in circolazione. La trama di gioco si basa sulla nostra setta: siamo stati incaricati da una divinità ultraterrena, chiamata The One Who Waits, di prenderci cura del suo culto e di farlo prosperare al nostro meglio. Come accennavamo prima, il racconto gira attorno al nostro culto allo stesso modo dei vari racconti che scopriamo man mano che avanziamo nell’esperienza conoscendo nuovi personaggi e svolgendo attività di vario genere.

In tal senso, Cult of the Lamb non offre una narrazione profonda, preferendo andare dritto al sodo, alle volte facendo immaginare cosa abbiamo davanti, e tante altre volte facendoci scoprire quanto sia profonda la Tana del Bianconiglio attraverso i luoghi da visitare, compiendo poche ma significative interazioni con gli NPC. Le chiacchierate, che esplorano appunto i drammi e le paure del racconto, sono ironiche e sprezzanti: raccontano molto più di quanto immaginiamo del mondo in cui ci troviamo, esplorando le sfaccettature di ciascun protagonista e le sue sensazioni.

Abbiamo infatti esplorato dei luoghi affascinanti e remoti, conoscendo più da vicino cosa celasse questo mondo uscito direttamente fuori da un film di Tim Burton. Cosa potrebbe esserci di più interessante, in effetti? Ricreare delle atmosfere del genere non è per nulla semplice, ma Massive Monster ha ricercato la cura anche là dove pensavamo fosse impossibile. Noi siamo l’agnello, alle volte lo stesso agnello si sacrifica per uno scopo superiore, come è stato fatto dagli ebrei durante l’ultima piaga d’Egitto, la peggiore, che uccise i primogeniti degli egiziani.

In questo caso, però, siamo noi ad avere l’ultima su chi uccidere e immolare, spesso decretando la sua fine per il bene di tutti, e altre volte per chiedere alla divinità sanguinaria di far piovere ed essere magnanima con il raccolto, dando cibo in abbondanza, ricchezze e prosperità. A che prezzo, però? Quanto costa l’appagamento personale agli occhi di una divinità sprovvista di sentimenti? Più di quanto immaginiamo, perché mentre noi accresciamo la nostra setta, impariamo a conoscere meglio chi ci sta affidando non soltanto la sua esistenza terrena, ma anche la sua anima. E lo ammettiamo, è qualcosa di tremendamente affascinante quanto spaventoso.

Due anime di gioco che si fondono

Da una parte un profondo lato gestionale e dall’altra, invece, una convincente e divertente implementazione roguelite. Cult of the Lamb gioca con due strutture tanto diverse quanto difficili da replicare, ma è con la semplicità che arriva al suo obiettivo. Il suo lato gestionale, divertente e mai scontato, ci mette a gestire il culto nella sua interezza, a partire dalle edificazioni delle tende fino all’appagamento spirituale di ciascun membro. Per accrescere la nostra setta, infatti, potremo addirittura salvare delle povere anime destinate al macello, mentre nei vari livelli in cui il gioco si trasformerà in un roguelite avremo la possibilità di arruolarne qualcuno dopo aver sconfitto un boss dopo aver affrontato le stanze da cui spunterà fuori un altro papabile sottoposto.

Chiunque abbia giocato ad Animal Crossing, infatti, si sentirà a suo agio in Cult of the Lamb: siamo chiamati non soltanto a prenderci cura della nostra setta e del luogo su cui fondiamo la nostra comunità, ma anche di ripulirla dalle feci dei nostri seguaci. Alcuni di loro saranno utili per costruire degli edifici sbloccabili man mano che ci assicuriamo lealtà spaccando la legna, rompendo le rocce e accrescendo la nostra fama. Dovremo addirittura controllarli da vicino, parlandoci direttamente, facendo loro dei doni e chiedendo delle tasse. Ci sono tre fattori da tenere in considerazione: il più rilevante è la fede, ma la fame e la pulizia sono fondamentali per permettere alla comunità di crescere e prosperare come desideriamo. Tutto è costruito perché siano i seguaci il centro nevralgico dell’esperienza, nonché il vero comune denominatore determinante per la vittoria della nostra setta e l’appagamento della nostra divinità, da onorare con sermoni, rituali di vario genere come matrimoni poliamorosi e sacrifici che possano calmare gli animi dei nostri sottoposti.

Alcuni ci chiederanno di compiere delle missioni, mentre altri cercheranno di mettere zizania per la setta: di traditori ne abbiamo sacrificati parecchi, e non ci vergogniamo affatto ad ammetterlo. L’alternativa migliore, però, è imprigionarli per rieducarli, dando loro una lezione esemplare per tenerli lontano dalla nostra comunità. In generale la gestione è divertente e offre spesso diversi modi per approcciarsi alle varie situazioni, lasciando effettivamente campo libero e tanta libertà.

Questo avviene anche con la parte roguelite, dove invece si menano le mani e ne accadono di tutti i colori. Non credete che una cosa escluda l’altra, perché Cult of the Lamb vince anche grazie a queste dinamiche di gioco molto più d’azione rispetto alla mia serafica gestione del proprio culto. L’una, però, è collegata all’altra e viceversa, perché durante l’esplorazione delle stanze è possibile raccogliere materiali utili per edificare letti nuovi da posizionare qua e là, nonché per recuperare degli ingredienti migliori per le nostre ricette, impedendo così che i nostri seguaci si ammalino a causa di una poltiglia fatta con erba e feci, che potrebbero danneggiare la loro salute.

Tuttavia, le fasi roguelite non si differenziano poi molto da altri videogiochi del genere: è un’anima forte, decisa, ben implementata e per nulla banale perché diverte dall’inizio alla fine. Prima di iniziare l’avventura e di creare i salvataggi, ci viene persino chiesto in che modo desideriamo affrontare il gioco attraverso un selettore di difficoltà. È un’implementazione che abbiamo apprezzato, anche se consigliamo – come gli sviluppatori – di impostare la difficoltà a normale, a meno che non vogliate divertirvi con una sfida più impegnativa.

I combattimenti, via via che avanziamo, si fanno sempre più ostici. Meglio sapere cosa equipaggiare a partire dall’arma principale e da quella secondaria, intanto, così da sperimentare al meglio certe combinazioni. Come in ogni roguelite che si rispetti, scegliamo quale arma utilizzare: non importa che sia una spada affilata, un randello o qualunque altro oggetto contundente, perché l’importante è fare male, ma davvero male ai nostri avversari.

Affronteremo avversari ignobili, pronti a tutto pur di fermarci: ci saranno ragni, vermi giganti e strani soggetti con cappucci calati sul capo e lame avvelenate che non vedranno l’ora di farci perdere i punti vita, dilaniando le nostre carni. Gli scontri li abbiamo affrontati a una difficoltà elevata per portare al suo massimo il sistema di combattimento, che non si discosta poi molto da altre produzioni. Funziona in maniera egregia, diverte e non annoia: davvero, non ci sono momenti di stanca perché il gioco non dà modo che ce ne siano. È inutile persino fare paragoni con altre produzioni, perché Cult of the Lamb arriva al suo obiettivo ma va anche oltre, dimostrandoci quanto possa essere appassionante la cura di un team nei confronti delle sue pubblicazioni e quanto possa essere imprevedibile questo panorama.

Ci siamo approcciati a modi diversi di conoscere il mercato, giocando a produzioni che cercano di mostrare una grafica memorabile, un sistema di gioco forte e convincente, o una trama dalla classica impronta intimista, come è accaduto di recente con altre produzioni. Capita di guardarsi indietro e meravigliarsi, ma succede anche di notare ben oltre la coltre di nebbia un futuro radioso per le prossime produzioni del medium. Non è facile riuscire a centrare l’obiettivo, eppure Cult of the Lamb ha fatto qualcosa che non credevamo possibile: ci ha ricordato Tunic. Pur essendo diverso e sviluppato diversamente, Cult of the Lamb ci ha dato le stesse sensazioni che abbiamo provato con la produzione sviluppata dal game designer Andrew Shouldice, il quale ha proposto sul mercato una delle produzioni migliori degli ultimi cinque anni. Cult of the Lamb è un lavoro di passione, anzitutto, che si esprime nello stesso modo di Tunic: in maniera classica, semplice e non presentandosi per innovare, ma per divertire e intrattenere, facendosi conoscere in maniera positiva e significativa.

Lo abbiamo avvertito durante le nostre esplorazioni per i vari biomi dell’esperienza, scegliendo da un cartomante i tarocchi giusti per potenziare la nostra vitalità, aggiungendo un cuore o rinforzando i nostri attacchi. Sono bonus casuali, non diversi dalle armi che ci sono capitate per affrontare i nemici e i boss. In tal senso, sono proprio loro il cuore nevralgico della produzione: se pensate infatti che ogni zona si concluda come se niente fosse dopo averne sconfitto uno, abbiamo la possibilità di esplorarla nuovamente, fronteggiandone ulteriori.

La vera anima della parte roguelite, tuttavia, è il modello stilistico utilizzato per interfacciarsi con un pubblico più vasto, inconsapevole di cosa potrebbe trovarsi davanti una volta acquistato il gioco. È per questo che vale la pena sottolineare quanto sia importate il selettore di difficoltà, che in Cult of the Lamb ricopre un ruolo azzeccato. Mentre esploravamo le aree del gioco, abbiamo capito perché questa decisione da parte del team: offrire un’opera più accessibile e immediata è quanto di più vicino agli standard odierni, nello specifico nel proporre un’esperienza vicina alle esigenze altrui. D’altronde, Cult of the Lamb ha due anime forti che il giocatore può approcciare come preferisce, concentrandosi magari in maniera più approfondita sul fronte roguelite o, in alternativa, su quello gestionale.

Può scegliere, in sostanza, chi essere. Seppure alla fine si debba fare i conti con una o con l’altra anima, il significato non cambia affatto, perché l’esperienza rimane varia e appagante allo stesso modo. C’è da dire, inoltre, che è proprio il contesto a colpirci e a lasciarci sensazioni positive, oltre agli innegabili pregi delle due anime del prodotto. Perché una bella storia, anche se appena accennata, è quella che non si pone con arroganza ma con amore e personalità. Nel caso di Cult of the Lamb, infatti, non potevamo aspettarci di meglio: l’amore nei confronti di una produzione così imponente arriva in generale dalla grande passione per il medium. In Cult of the Lamb, proprio come in Tunic, c’è tanta voglia di dimostrare il proprio talento e di volerlo comunicare a chiunque sia desideroso di interfacciarsi con realtà e mondi da apprendere e fare propri.

È solo una questione di connessione, se ci pensiamo, perché se in Death Stranding a connettere il mondo con la rete chirale eravamo noi, in Cult of the Lamb siamo direttamente noi la connessione che protegge gli altri e permette a chiunque di sentirsi al sicuro finché non decidiamo di farlo fuori. E già questo è un pensiero incoraggiante.

Un art direction d’autore: Cult of the Lamb stupisce anche la vista

Un altro aspetto da considerare è la direzione artistica, che per l’occasione ha dato il meglio di sé, ricreando ambientazioni uniche e tirate direttamente fuori dall’immaginario fantasy che tutti noi disponiamo (chi più e chi meno, ovviamente). Abbiamo viaggiato da una parte di questo mondo, inoltrandoci in oscure grotte inospitali e visitando allo stesso tempo antri oscuri e pericolosi, conoscendo da vicino dei luoghi dal fascino irresistibile.

Inoltre, ad averci convinto è il design ambientale e dei modelli poligonali, designati fedelmente a mano tanto da ricordandoci, inevitabilmente, un’esperienza unica e particolareggiata come Chicory: A Colorful Tale, un’opera che potrebbe sorprendere chiunque ami il significato dei colori e preferisca perdersi tra linee parallele e tempere, conoscendo quanto siano importanti per tutti (e di questo ne abbiamo già parlato con HOSTLIGHT).

Cult of the Lamb, che abbiamo provato su Xbox Series S, è un videogioco che sulla sorella minore di Xbox Series X si comporta in maniera egregia, proponendo un’esperienza dal punto di vista tecnico encomiabile. Non possiamo dire lo stesso su PlayStation 5 e Nintendo Switch, con bug e rallentamenti che alle volte non rendono lineare la prosecuzione dell’esperienza, ma niente che non sia risolvile con una patch risolutiva. I tempi di caricamento sono rapidi, portando subito nel bel mezzo dell’azione, una buona notizia per i più esigenti. Ma al netto di questo, di questo piccoli problemi, l’esperienza ne esce straordinariamente con un risultato magnifico, offrendoci una prova ulteriori di quanto Devolver Digital ci tenga a puntare sui team più talentuosi e memorabile del medium. Avevamo bisogno proprio di questo, di nuovo: di provare emozioni e divertirci.

Cult of the Lamb diverte, fa sognare e intrattiene. Non si prende sul serio, ma è un’opera da prendere sul serio. Non è un videogioco unico, ma nella sua unicità ci fa capire quanto siano necessari prodotti originali e autoriali. In questa calda estate ricca di videogiochi di ogni genere, Cult of the Lamb rappresenta il modo migliore per dimenticare il caldo e questo clima folle. È un videogioco arrivato nel momento e nel contesto giusto.

Voto Recensione di Cult of the Lamb - PC


9

Voto Finale

Il Verdetto di Tom's Hardware

Pro

  • Un contesto interessante e simpatico, con ottimi riferimenti a tematiche delicate

  • Un sistema roguelite ben implementato

  • Longevo, stratificato e avvincente: la componente gestionale, pur ispirandosi ad Animal Crossing, sa il fatto suo

Contro

  • Come ogni cosa bella, alla lunga, finisce

  • L'assenza della localizzazione in italiano potrebbe allontanare chi non conosce la lingua inglese

Commento

Cult of the Lamb è una produzione matura, divertente ed unica nel suo genere e a modo suo. Forte di un gameplay stratificato e ricco, di tante ore di divertimento assicurate e moltissimo divertente, rappresenta un videogioco arrivato proprio nel momento giusto. Un'opera che, senza ombra di dubbio, potrebbe fare scuola tra qualche anno ed essere ricordata per le sue due anime tanto differenti quanto ottimamente implementate.

Informazioni sul prodotto

Immagine di Cult of the Lamb - PC

Cult of the Lamb - PC

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