Ricordo bene qual è stato il mio primo pensiero nell’abbonarmi ad Xbox Game Pass. “Massì, è in offerta, costa poco, mi recupero qualcosa di vecchio che mi è rimasto indietro almeno”. Era il 2017. Di acqua ne è passata sotto i ponti. Acqua che per Microsoft si è tradotta in un processo di cambiamento radicale, con obiettivo fermo quello di riuscire a cambiare quel pensiero che io, come molti altri utenti all’epoca, ci eravamo messi in testa, sul lungo periodo.
Una vera missione di marketing: infilarsi nella mente del non ancora cliente tramite uno spazio inizialmente strettissimo, sopravvivere al suo interno senza farsi espellere, e nel mentre crescere, fino a conquistare via via sempre più spazio, facendo nascere nella mente dell’utente un’esigenza più grossa, la quale può essere soddisfatta solamente dal prodotto stesso. Ripercorrendo mentalmente le radici di quel pensiero con cui Microsoft sbarcava ufficialmente con il suo servizio nel mio cervello, è bello notare come ora sembri tremendamente invecchiato male.
Per fortuna di Microsoft, ovviamente (nonostante la crescita del servizio sembrerebbe andare non esattamente alla velocità sperata). Ed è affascinante notare come quel pensiero non sia mutato da un giorno all’altro. No. I motivi per cui dire sì al servizio hanno seguito un processo di cambiamento lento e meticoloso, variando pedissequamente al variare, e all’evolversi, del modello proposto dalla casa di Redmond. Come è arrivato quindi quel pensiero a modificarsi tanto, trasformandomi da “prospect” ad affezionato cliente del servizio vero e proprio? Quanti passaggi ci sono stati in mezzo? Come mi ha tenuto agganciato? Come sono cambiato io come giocatore, insieme alle mie esigenze? Eccovi qui riepilogata la metamorfosi che ha portato Xbox Game Pass dal ruolo sfigato di semplice capriccio, a compagno di gaming affezionato praticamente imprescindibile.
Step 1 – Massì, perché non provare?
Come vi ho anticipato, agli albori del 2017 non c’era molto altro che si potesse pensare rispetto a questo servizio. La proposta che Microsoft presentava al mercato era sicuramente innovativa, figlia del consolidamento di un modello di mercato che, tramite l’effetto “Netflix”, ha trasformato lentamente il modello di vendita, spostando l’attenzione dal prodotto al servizio. Perché non provarci anche con i videogiochi quindi?
Il come si traduce in una risposta all’epoca molto embrionale, nata per esigenze di rincorsa della concorrenza e per necessità di rivoluzione interna della divisione. Ricordo che all’epoca Xbox, nella mia casa, era sicuramente la console meno usata. Dimenticata, praticamente, dopo un inizio al contrario sufficientemente interessante.
Nonostante non fosse l’”Halo” che aspettavo per riprendere in mano il pad crociato, questa nuova proposta era riuscita furbescamente a inserirsi nei miei momenti di vuoto. Accendi la console magari per vedere un film e la home ti propone questa cosa interessante: un mese di abbonamento con un sacco di giochi compresi. Scontistica aggressivissima, tra l’altro. Giochi non di primo piano, ovviamente. “Però, sai cosa? Non ho ancora giocato a ‘Sherlock Holmes: The Devil's Daughter’, e prima o poi mi sono sempre detto che magari un tentativo ce l’avrei fatto. Quasi quasi lo faccio, tanto costa poco, con 1 euro lo provo, poi…”
Step 2 – Massì, tanto sui 3 mesi…
Poi lo giochi e il gioco ti piace. Lo finisci anche, entro il mese. Quindi diciamo che basta, sei a posto. “Bel servizio”, pensi. Tanto che già che c’ero nel mese ho provato anche altri due o tre titoli carini. Mi sento soddisfatto. Poi passa un altro mese, entri nuovamente nella home, e quell’offerta è ancora lì. Questa volta la formula è leggermente diversa: parla di 3 mesi a 3 euro, qualcosa di simile, una banalità comunque.
A un rapido controllo viene fuori che in questi mesi sono stati inseriti sempre due o tre giochi curiosi, quei classici titoli che non te la senti di comprare ad occhi chiusi, perché poi magari li molli, o perché non sono proprio il tuo genere, o magari perché sono troppo difficili, o perché neanche in fondo hai tempo per finirli. “Comunque, sai cos’è? Tre mesi di abbonamento li faccio, tanto qualcosa di buono ne cavo fuori, anche fosse solo lo scoprire un titolo che mi strappa due risate, o mi fa conoscere un genere diverso, meglio di un video YouTube insomma…”
Step 3 – Qualche mese a prezzo pieno… perché no?
Ma la festa finisce, a un certo punto. Gli sconti si fanno lentamente più rari per un certo periodo. Saggiamente. Perchè Microsoft in quel periodo fa una cosa totalmente inaspettata. Una mossa apparentemente suicida.
Nel 2018 Microsoft annuncia che tutte le esclusive prodotte in casa dagli studios interni sarebbero arrivate sul servizio sin dal Day 1. Il mio pensiero se ne corre immediatamente alle poche esclusive che Micorsoft all’epoca ancora aveva in pancia. Esclusive non così appetibili, è vero. Parliamo ad esempio di Crackdown 3, purtroppo. Ma parliamo anche di Ori, di Gears, del neonato Sea Of Thieves. Roba che mi sarei giocato volentieri in un mese anche senza sconti, anche a prezzo pieno. “Tanto poi finisce sicuramente che qualche partita ad altro la faccio di sicuro, quindi psicologicamente rientro pienamente del prezzo.”
Dopo un po’ di mesi di utilizzo arrivo dunque a circoscrivere l’idea che si tratti di un buon servizio, da attivare e disattivare con meticolosità al bisogno. Ma non cambia certo il mio modello di fruizione dei videogiochi. Mi piace l’acquisto al dettaglio e i due approcci possono coesistere solo in questo modo.
Xbox Game Pass per me non sarà più di questo. Peccato Microsoft, davvero peccato. Può dirsi comunque una mezza vittoria per te nei miei confronti, ti ho affidato già molte più ore di quello che credevo sarei riuscito a concederti, e in più sono tornato ad accenderti cara One, dopo anni che latitavi un po’ informe sul soprammobile di casa. Finita qui, quindi? Inutile dirlo: era solo l’inizio.
Step 4 – E ora chi lo disattiva più?
Cosa cambia ancora le carte in gioco? Cosa arriva a stravolgere nuovamente e totalmente, questa volta, il mio pensiero? Un passaggio ulteriore e un’offerta più “long term”, capace di consolidare l’abitudine, strategia fondamentale nelle azioni di marketing che hanno per oggetto nuovi modelli esperienziali. La botta definitiva, se così vogliamo chiamarla. Dal 2019 il servizio diventa a tutti gli effetti completo, perché diventa, sostanzialmente, unico. Nasce infatti l’offerta Ultimate. L’unione di Xbox Live Gold e Xbox Game Pass. Un solo abbonamento per averli entrambi.
In tutto questo è compresa, inoltre, la libreria dei 100 giochi previsti nel catalogo pc. E proprio in quel momento, a questo, si aggiunge l’offerta economica di lancio perfetta. Convertire il proprio abbonamento Gold a Ultimate per una cifra ridicola. Nasce così l’opportunità di legarsi al servizio per un periodo decisamente lungo, a un prezzo assolutamente convenientissimo, se si sceglie di dargli fiducia.
È con questa mossa che in me, come consumatore, qualcosa cambia per sempre. Vuoi perché, dall’inizio di questo uso intensivo, Microsoft inizia un percorso di rifioritura editoriale spaventoso (soprattutto se pensiamo a quella che era la prospettiva solo pochi anni fa). Vuoi perché si aggiunge alla flotta di servizi compresi nell’abbonamento anche la possibilità di giocare in streaming via smartphone, elemento che inizia a denotarsi come feature tiepida, salvo poi provare la sua forza in tante piccole situazioni di cui non avevi mai considerato l’importanza. Quanto è bello accorgersi di avere con sé la propria Xbox quando si è in vacanza, ad esempio?
Tutto questo inizia a fare profondamente la differenza, assieme al catalogo giochi, che più passano i mesi, e più fa crescere la sua qualità di selezione editoriale, arrivando a picchi davvero estremi. Non solo le esclusive al Day1, ma tanti titoli terze parti, anche molto recenti, che sbarcano sul servizio, e danno il via ad un tremendo gioco di riconcorsa che parla di un backlog infinito di titoli da giocare e nuovi giochi provati relativi a generi che mai avrei sperimentato. E così la console, per anni inutilizzata, finisce per totalizzare la mia postazione da gaming, relegando il gioco su Playstation a brevi lampi intermittenti (seppur di qualità eccelsa) per godersi esclusivamente le esclusive della console. Che finiscono tra l’altro per essere giocate anche tranquillamente in ritardo, perché il catalogo Game Pass preme sul collo.
Una presa che non molla mai, ma non di quelle negative, anzi, è più un compagno, di quelli che sai di voler accanto sempre, perché riesce sempre a tirare fuori la battura giusta nel momento giusto. Anche quando sei concentrato su un titolo Playstation, infatti, sei felice di sapere che quell’abbonamento è attivo, perché una partitina o due a un titolo scanzonato servono sempre, o quell’indie di poche ore di cui in tanti stanno parlando è proprio perfetto per spezzare un po’ la monotonia… ed ecco. L’obiettivo più importante che esista per una compagnia è raggiunto. Il cambiamento nel consumatore questa volta è definitivo.
La considerazione dell’abbonamento, dopo anni di maturazione e cambiamento, arriva alla sua ultima fase. Non più un servizio da provare, non più nemmeno un servizio da accendere e spegnere, ma un’incredibile costante nella vita della persona. Una sottoscrizione annuale fondamentale, una fee d’ingresso fissa da pagare per entrare nel gaming a 360. Non conta più quanto lo si sfrutti realmente. La mia considerazione come cliente ormai è andata oltre, il servizio è stato in grado di convertirmi completamente, facendomi lentamente nascere l’esigenza di averlo sempre attivo.
Una mossa di marketing lunga, stentata, ma che alla fine ha avuto ragione sul cliente, facendo nascere un’esigenza più grande dell’esigenza originale stessa per cui era stato provato inizialmente il servizio. Tramite un percorso di evoluzione perseverante che possono intraprendere solo le compagnie che hanno un certo tipo di risorse economiche, ma, cosa ancora più importante, che hanno anche una visione certa del futuro che vogliono proporre. Che vogliono infilare nella mente delle persone. Una visione che passa per forza dalla metamorfosi della mente dell’utente tramite abili azioni di marketing, capaci di cambiare il pensiero di chi si approccia ai tuoi servizi, e con esso, il modo di approcciarsi ad un intero medium.