L’industria videoludica sta cambiando. Lo avverto nell’aria o lo sento nella terra e nell’acqua? No, semplicemente, è un dato di fatto piuttosto oggettivo, testimoniato da diversi fattori più o meno rilevanti. E, tra questi, è chiaro quanto il fenomeno delle Collector’s edition sia uno degli esempi più lampanti e attuali di quanto asserito poco sopra. Mi ricordo ancora, da spendaccione incallito quale sono, le gioiose gesta di qualche anno fa, quelle mie corse dal GameStop di turno per prenotare praticamente ogni tipo di edizione speciale dei giochi a cui ero particolarmente legato o interessato, o ancora le mail di PayPal che mi avvisavano del pagamento avvenuto, con conseguente attesa snervante nei confronti di un corriere che, come Gandalf, non è stato mai in ritardo né in anticipo ma semplicemente arrivava proprio nel momento in cui doveva farlo. Ho parlato al passato, non a caso, perché questa insaziabile sete, col passare del tempo, nel mio caso è diventata sempre meno evidente, lasciando spazio ad un approccio molto più passivo e quasi indifferente. Con grande sorpresa, però, gli ultimi tempi mi hanno fatto capire questo cambio di approccio non sia soltanto mio, ma abbia un po’ invaso la mente di una buona parte dell’utenza.
Per farla breve, per quanto comunque ancora presenti nell’ecosistema ludico, le collector’s edition sembrano aver perso quel fascino che le contraddistingueva fino a qualche anno fa, diventando sempre di più uno “sfizio per ricchi” e sempre meno un veicolo per trasmettere la passione e l’amore nei confronti di una produzione. Sia chiaro, probabilmente le collector’s edition sono sempre un po’ state un po’ un prodotto elitario e non per tutti, anche per scelta e non soltanto per una questione di possibilità, ma è chiaro che qualcosa, in questo gigantesco ingranaggio, si sia inevitabilmente spezzato e non soltanto a livello economico. Qual è il motivo di tutto ciò? Io qualche idea in merito me la sono fatta, e voglio condividerla con voi.
L’evoluzione (o involuzione?) delle collector’s edition: il fattore qualità-prezzo
D’accordo, abbiamo appurato che il fattore economico è certamente uno dei più importanti per quanto riguarda la diffusione e l’affermazione del fenomeno collector’edition, ma c’è da fare una doverosa precisazione. Oltre al semplice prezzo, a giocare un ruolo fondamentale, almeno per quanto mi riguarda e sono sempre più convinto che questo parere sia diventato sempre più diffuso, è un’altra variabile: la spietata e temuta equazione qualità-prezzo. Per potervi spiegare nel miglior modo possibile a cosa mi riferisco è doveroso fare un passo indietro nel passato, un passato felice per il sistema in questione ma probabilmente molto meno per le mie tasche (e non solo). Ricordate qualche anno fa? Ricordate gli anni, per farvi un esempio più pratico, delle collecotr’s targate Ubisoft? Con circa 100-120€ era possibile portarsi a casa una bella edizione da collezionisti con tanto di action figure, steelbox, artbook, adesivi e via dicendo, senza rinunciare, ovviamente, ad includere nel pacchetto il piatto principale della portata: il gioco (non a caso l’ho sottolineato, ma ne parliamo dopo).
Considerando la poca differenza di prezzo rispetto all’acquisto del gioco “base”, molto spesso nella mia testa è scattata la scintilla, quel mix di collezionismo e fiuto dell’affare in stile Jerry West (l’uomo che scambiò il nulla cosmico per un giovanissimo Kobe Bryant in quel di Los Angeles), che mi ha fatto decidere di acquistare una versione speciale di un gioco rispetto a quella standard. E così mi sono ritrovato con un armadio stracolmo di scatoloni, che ancora oggi conservo gelosamente. Dall’edizione da collezionisti di Wolfenstein II a quella di Just Cause 3 col suo meraviglioso rampino, passando per la fighissima e incredibilmente economica collector’s di Persona 5 in versione PS3 (quella con la borsa, per farvi capire), il mio portafogli si è esposto, in più di un’occasione, mosso principalmente dal fattore qualità-prezzo piuttosto che dalla vera voglia di acquistare l’edizione speciale in sé. Lo ammetto con un po’ di vergogna, certo, ma anche con tanta autostima, perché, per quanto mi riguarda, il fattore qualità-prezzo è proprio una delle discriminati principali dell’involuzione del fenomeno collector’s a cui stiamo assistendo negli ultimi anni.
Collector’s senza gioco: l’ultimo passo verso l’oblio?
Troppo spesso, ultimamente, stiamo assistendo alla distribuzione di edizioni speciali fin troppo povere in termini di contenuti o comunque concepite in maniera tale da non giustificarne l’acquisto. Questa “brutta abitudine”, anche soggettiva, perché è sacrosanto precisare che il gusto è sempre molto personale, è diventata con il passare degli anni sempre più diffusa, oltrepassando in alcuni casi anche il confine del buon senso. Portando avanti un aumento dei prezzi generalizzato, che ha invaso non soltanto la sfera videoludica ma in generale un po’ tutto il mercato, specialmente quello delle cose considerate “non necessarie”, il prezzo delle edizioni speciali è diventato sempre più alto o, per meglio dire, è stato ideato in maniera “tacita” un nuovo modo di gestire la cosa, che ha indubbiamente contribuito ad allontanare ancora di più una buona fetta dei fan dal fenomeno in questione. I più furbi l’avranno già capito: mi sto riferendo alla “genialata” di creare spesso più tagli per le varie edizioni che, a differenza del prezzo, offrono contenuti diversi oltre al gioco base. Ebbene, almeno per quanto mi riguarda, quest’idea è una di quelle partorite in maniera peggiore a mia memoria nel medium videoludico, e sono convinto che abbia creato ancor più indifferenza nell’animo del giocatore medio nei confronti delle edizioni speciali in generale. Spesso e volentieri i diversi tagli significano questo: c’è una versione “economica” che non vale la pena di acquistare o una versione troppo costosa che, comunque, non vale la pena acquistare.
Questo meccanismo malsano e poco oculato è stato poi portato al suo climax da quello che è sicuramente il colpo di genio per eccellenza, quell’idea che non può venire a tutti (per fortuna): non includere il gioco in alcune edizioni, specialmente quelle più costose. Sì, parlo probabilmente anche mettendomi nei panni di uno che non ha esattamente un conto in banca che sta per esplodere, ma l’idea di vendere edizioni speciali a prezzi anche oltre i 200 e i 250€ (e anche di più!) e di non includere il gioco in sé nel pacchetto la trovo veramente agghiacciante. Per quanto alcuni potrebbero comunque trovare un senso a questa logica di cui io, onestamente, fatico a comprendere i crismi, è chiaro che per la maggioranza degli utenti, o comunque per l’acquirente “medio”, l’idea in sé non sia stata particolarmente apprezzata e per saperlo non bisogna muoversi nel campo delle supposizioni, ma basta leggere una qualsiasi pagina di un qualsiasi social o i commenti degli utenti sui siti a tema. Sempre più persone hanno iniziato a lamentarsi di questa pratica, anche perché, in alcuni casi, queste edizioni da collezione vengono distribuite con tempistiche diverse rispetto all’uscita del gioco stesso. Non voglio fare esempi, ma non ho dubbi che in molti la penseranno come me in merito a quanto l’idea di gonfiare i prezzi e di ridurre sempre di più il contenuto (non sempre, sia chiaro) abbia dato la mazzata finale a quella che è diventata una sfumatura del mondo videoludico sempre più elitaria, e allo stesso tempo ha giocato un ruolo fondamentale anche nel rendere proprio in generale le collector’s edition meno interessanti, un po’ per tutti.
Prezzi alti, contenuti non soddisfacenti e l’ascesa del digitale: il futuro delle collector’s è sempre più in bilico
Come vi avevo detto in apertura, le motivazioni dietro all’appeal via via meno forte delle collector’s edition sono molteplici. Oltre a quelle che ho già elencato e che reputo decisamente più impattanti per tutto il sistema, c’è da tenere a mente anche la diffusione in generale del retail, un mercato sempre più in affanno e su cui il fiato sul collo del digital delivery è diventato sempre più asfissiante. La diffusione della vendita del digitale ha infatti contribuito a rendere in generale le copie fisiche meno eccitanti per il giocatore medio, con conseguenze nefaste anche per il mercato delle collector’s, già pesantemente penalizzato dalle infelici scelte di cui sopra, ma ha anche reso queste ultime sempre più un prodotto pensato per una ben precisa e ristretta fetta d’utenza. Non è un mistero che molti giocatori preferiscano acquistare un prodotto in digital delivery magari dividendo la spesa con un amico, o che aspettino sconti sulle versioni digitali o magari decidano di acquistare le loro copie su noti siti che offrono prodotti a costi super vantaggiosi a prezzi molto competitivi, sin dal day one. Ciò ha reso le copie fisiche in generale sempre meno diffuse e sempre più legate alla tipologia del giocatore/collezionista, e ha inevitabilmente anche contribuito a rendere le edizioni speciali proprio sempre più da collezionisti e per collezionisti, rendendo il qualche modo il sistema più bianco o nero di quanto fosse in passato. Io stesso, sia per ragioni lavorative sia per questioni di praticità, devo ammettere che mi sono allontanato parecchio negli ultimi anni dal mercato retail, e soprattutto dal mercato delle collector’s.
L’ultima edizione speciale che ho acquistato è stata la collector’s edition di The Last Of Us Part 2, quella da 189,99€ con la figure di Ellie nella confezione, e posso dirvi con grande sincerità che ancora oggi un po’ me ne pento. Non so spiegarvi il motivo, anche perché si tratta di un capolavoro assoluto e di un titolo che mi ha semplicemente stupito e rapito ma probabilmente, tornando indietro, non rifarei l’acquisto. Per tutta la serie di motivi che vi ho elencato, devo ammettere che ho parecchio timore per il futuro del mercato delle collector’s edition. Vuoi per l’aumento dei prezzi, vuoi per il contenuto delle confezioni sempre più “spezzato in due” tra versioni troppo ricche e versioni troppo povere, o semplicemente a causa dell’ascesa del mercato del digitale, credo che il futuro dei collezionisti videoludici potrebbe non essere per forza di cose molto promettente. Sia chiaro, alcune edizioni sono ancora ben fatte e io stesso ho avuto diversi sussulti (placati, per fortuna) negli ultimi mesi, ma è ugualmente evidente quanto comunque si tratti di casi sempre meno numerosi e molto più isolati. Con questo, capitemi, non sto dicendo che non vale più la pena acquistare collector’s edition o che quest’ultime siano diventate il demonio, ma sono convinto che col passare del tempo questa sensazione di freddezza e di impassibilità nei confronti di questo mercato potrebbe diventare ancor più marcata, specialmente se si continuerà a battere il ferro con idee (tipo quella di levare il gioco!) poco brillanti e, per essere gentile, discutibili. Chi vivrà vedrà, si dice. Intanto, il portafogli un po’ mi sta ringraziando, ed è già qualcosa. No?