C'era una volta... Pokémon Oro e Argento

Game Freak scoprì la formula per realizzare un sequel di successo, e lo dimostrò con quei capolavori senza tempo di Pokémon Oro e Argento

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a cura di Andrea Maiellano

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Il 21 novembre 1999 i negozi di tutto il Giappone aprirono le loro porte alle imponenti code di clienti che volevano comprare la nuova produzione del fenomeno noto come Pocket Monster… o Pokémon. Nei tre anni precedenti Pokémon era diventato un fenomeno su scala globale, che si espanse anche con opere in settori diversi da quello videoludico: un gioco di carte collezionabili capace di eguagliare la fama di Magic, una serie animata di successo, un film in grado di sbancare i botteghini da un anno a quella parte e una pletora di merchandise di ogni tipologia.

Game Freak, lo studio di sviluppo che creò il primo gioco della serie, aveva un compito che definire ingrato sarebbe riduttivo: creare un nuovo capitolo che fosse in grado non solamente di eguagliare il predecessore, ma di migliorarlo in ogni aspetto possibile, mostrando che Pokémon non sarebbe stato solo un fenomeno passeggero ma un brand di successo, in grado di evolversi come le sue creature per accogliere nuovi giocatori nelle generazioni videoludiche seguenti.

Oggi vi raccontiamo di come è nato uno dei sequel più ambiziosi dell’intero panorama videoludico, di come Game Freak lo ha sviluppato e dell’enorme impatto culturale che Pokémon Oro e Argento hanno avuto grazie ad alcune scelte oculate da parte dei suoi creatori. Come ogni storia però, anche questa comincia nel più tradizionale dei modi….

C’era una volta Game Freak, una rivista di videogiochi giapponese autoprodotta da Satoshi Tajiri e Ken Sugimori, e distribuita autonomamente in numerose sale giochi. Visto l’amore incondizionato che i due ragazzi hanno per il medium, nel 1989 decidono di interrompere la produzione del periodico e di dedicarsi allo sviluppo del loro primo videogioco. Con Quinty, un titolo action uscito per il NES, Game Freak diventa ufficialmente un team di sviluppo, iniziando ad alternare produzioni inedite a collaborazioni con Nintendo per alcuni spin-off dedicati a Mario. Il tutto per avere i fondi necessari a realizzare il loro titolo più ambizioso.

Uno dei motivi che spinse Game Freak a mutare in una software house fu il desiderio di Satoshi Tajiri di creare un videogioco basato sul suo interesse nel collezionare insetti, un passatempo molto diffuso tra i bambini giapponesi degli anni ’70. La rapidità con cui la cultura giapponese si evolveva cambiò ovviamente gli interessi dei più giovani, e Satoshi lavorò ad alcune modifiche per il suo progetto per renderlo maggiormente accattivante senza snaturarne il concept di base.

Gli insetti diventarono dei piccoli mostriciattoli che il giocatore doveva andare in giro a scovare e catturare. Queste creature potevano combattere fra loro, ma per renderle più forti l’allenatore doveva imparare ad accudirle. Una meccanica semplice, che avrebbe fatto leva sul senso di affezione che un bambino avrebbe riversato nei mostriciattoli catturati durante la sua avventura.

Quando il Game Boy venne rilasciato da Nintendo, i tempi furono propizi per realizzare quel progetto da sempre tenuto nel cassetto. La nuova console portatile poteva permettere ai giocatori di portare i propri mostriciattoli sempre con loro, di scambiarli e di farli combattere contro quelli degli amici. Le numerose collaborazioni con il Colosso di Kyoto permisero a Game Freak di avere i fondi, i mezzi e il publisher necessari per realizzare il gioco.

Shigeru Miyamoto fu intrigato dal progetto di Tajiri e decise di fare da mentore per Game Freak, indirizzandoli al meglio con la loro nuova creatura. Con Satoshi come Director, Sugimori nel delicato ruolo di designer e l’ala creativa di Nintendo a supportare un progetto apparentemente troppo ambizioso, il 27 febbraio 1996 Pokémon, o Pocket Monster se preferite, divenne realtà assestando un’impetuosa scossa a tutto il settore. 

Pokémon si rivelò immediatamente un successo, rivitalizzando le vendite del Game Boy e dando inizio agli anni della Pokémania. La critica apprezzò le meccaniche ibride del titolo e la freschezza dell’idea di Tajiri e Sugimori. Il pubblico adorò il design delle creature presenti, la possibilità di collezionarle e, soprattutto, l’opportunità offerta dal Game Boy di combattere con gli amici in qualsiasi luogo solo attraverso l’utilizzo di un semplice cavo. Pokémon si ergeva su delle dinamiche talmente brillanti da riuscire a rendere attuale un hardware che nel 1996 risultava arretrato sotto numerosi aspetti. 

Nel primo anno di vita del brand uscirono tre versioni di Pokémon in Giappone: Rossa, Verde e Blu. L’idea alla base era semplice, offrire ai giocatori la possibilità di scegliere una versione del gioco in base a quali creature apprezzassero maggiormente, escludendone una piccola parte che si sarebbe potuta ottenere solo scambiando i propri Pokémon con i giocatori in possesso delle altre versioni. Sul finire del 1997, le tre varianti di Pokémon vendettero oltre 20 milioni di copie nel solo Giappone, generando una pletora di progetti collaterali che si riversarono sul pubblico giapponese come la pioggia durante una tempesta.

Visto l’enorme successo che il brand Pokémon stava ottenendo in Giappone, nell’aprile del 1998 Game Freak, Nintendo e Creatures Inc. (un team di sviluppo coinvolto nella realizzazione del primo gioco della serie) decisero di creare la The Pokémon Company, per poter gestire al meglio tutti i progetti inerenti al nuovo franchise e pianificare l’esportazione della serie. Un progetto mastodontico, con alla base un investimento di 50 milioni di dollari per organizzare al meglio il lancio di Pokémon in occidente. Nel settembre 1998 il gioco fu rilasciato in America, con la serie animata pianificata per la messa in onda qualche settimana dopo, a supporto delle vendite. La Pokémania dilagò in tutto l’occidente fra il 1998 e il 1999, generando un fenomeno culturale come raramente se ne vedono. 

Mentre il fenomeno Pokémon veniva sdoganato in occidente, nel 1997 Nintendo e Game Freak annunciarono che un seguito di Pokémon Rosso e Verde sarebbe uscito entro la fine dell’anno: avrebbe offerto ai giocatori cento nuove creature, un pieno supporto al Super Game Boy e numerose novità. Una demo di una versione preliminare del gioco venne presentata al Nintendo Space World del 1997, e per solleticare ulteriormente la curiosità dei fan vennero introdotti alcuni nuovi Pokémon all’interno della serie animata e nelle illustrazioni della nuova serie di carte collezionabili… ma i giocatori di tutto il mondo li avrebbero potuti catturare solo qualche anno più tardi. 

Il 1997 terminò senza traccia di un nuovo capitolo di Pokémon. Game Freak aveva passato sei lunghi anni a barcamenarsi fra lo sviluppo di Pokémon e la realizzazione di altri progetti per poterlo finanziare, e la summa di questa mole di impegni fu un team incapace di ripartire con un nuovo progetto così rapidamente. Lo sviluppo di Pokémon Oro e Argento cominciò a ridosso dell’uscita del primo capitolo, con Game Freak che si pose degli obiettivi ambiziosi per questo importante sequel, ma l’esportazione del brand e la necessità di collaborare nella realizzazione di Pokémon Stadium per Nintendo 64 rallentarono considerevolmente i lavori per il nuovo capitolo principale della serie.

Proprio durante la realizzazione di Pokémon Stadium ci fu un evento in particolare che si rivelò importante per il futuro sviluppo di Oro e Argento. Satoru Hiwata, al tempo a capo di Hal Laboratory e al servizio di Creatures Inc., venne affiancato a Game Freak per supportarli nei progetti collaterali. In una sola settimana e senza alcun tipo di documentazione a corredo, Satoru analizzò il codice di Pokémon Rosso e Verde e lo convertì per lo spin-off per Nintendo 64, stupendo gli sviluppatori di Game Freak per le sue doti. 

Nel 1998 Game Freak rilasciò una nuova versione del primo capitolo della serie: Pokémon Giallo, un titolo che riprendeva alcuni elementi dell’anime e li mescolava alla storia originale del gioco. Con sprite migliorati e alcuni elementi rifiniti il progetto si rivelò un successo, proprio grazie all’onnipresenza della serie animata. Questo nuovo titolo, però, fece dubitare la fanbase sulla salute di Pokémon Oro e Argento, di cui sia Nintendo che Game Freak non parlavano più da troppi mesi.

Come un fulmine a ciel sereno, Pokémon Oro e Argento ricomparvero sulle pagine di CoroCoro Magazine, nel numero di aprile 1999. I giochi vennero presentati per il nuovo Game Boy Color e le immagini presenti sul periodico mostravano numerosi cambiamenti estetici, rispetto a quanto presentato da Nintendo nel 1997. Il 2 fu rimosso dal titolo e la mappa di gioco non si poneva più l’ambizioso obiettivo di ricoprire l’intero Giappone, ma prendeva come ispirazione la regione di Kansai per realizzare l’iconica Johto. 

Fu l’inizio di un vero e proprio bombardamento a mezzo stampa che culminò al Nintendo Space World del 1999, dove una moltitudine di postazioni dedicate a Pokémon Oro e Argento surclassarono per quantità qualsiasi altro gioco presentato durante l’evento. Il giorno dell’uscita si stava avvicinando e Nintendo si stava preparando a uno dei lanci più importanti di sempre. Quasi tre anni e mezzo dopo l’uscita del primo capitolo, il 21 novembre 1999 Pokémon Oro e Argento vennero rilasciati in Giappone.

30 milioni di copie furono commissionate esclusivamente per il suolo giapponese, ma un terremoto a Taiwan ne rallentò la produzione, permettendo a Nintendo di avere solamente un milione e mezzo di cartucce disponibili il giorno del lancio. I costanti sold out durante la finestra d’uscita del gioco non inficiarono assolutamente il successo della coppia di titoli, che nei primi sei mesi raggiunse l’incredibile cifra di 6.5 milioni di copie vendute nel solo Giappone, confermando che il successo del brand Pokémon era merito prima di tutto della qualità dei suoi videogiochi.

Pokémon Oro e Argento presentavano la perfetta formula per un sequel di successo: una serie di miglioramenti imponenti alle fondamenta di gioco, un ciclo giorno/notte che rendeva maggiormente credibile il mondo di gioco, nuove creature che si aggiungevano a quelle precedentemente disponibili, una storia che ampliava il canovaccio senza età del predecessore con una serie di elementi da lì in poi imprescindibili per la mitologia del brand e la presenza di una sorpresa pensata per chi aveva giocato e amato il precedente capitolo.

Pokémon Oro e Argento contenevano una rivisitazione della regione di Kanto, quella in cui erano ambientate le prime versioni del gioco, che mostrava tutti i cambiamenti dovuti agli avvenimenti del capitolo precedente, con i protagonisti di quell’avventura presenti come avversari. Inserire così tanti contenuti in una cartuccia pensata per un hardware datato come quello del Game Boy fu merito dell’affiancamento di Satoru Iwata, che realizzò un sistema di compressione dei dati che permise a Game Freak di superare i limiti tecnici delle console portatili di Nintendo.

Pokémon Oro e Argento vennero rilasciati in America nel 2000 e in Europa nei primi mesi del 2001: il momento perfetto per una produzione del genere, quando la Pokémania era al suo culmine in tutto il mondo. I titoli furono definiti a più riprese dei “masterpiece” dalla critica occidentale, arrivando perfino a raggiungere l’allora raro punteggio di 10/10 su IGN (si, la stessa del celebre “Too Much Water” di qualche anno più tardi). Il pubblico semplicemente li celebrò per le loro qualità, portando la coppia di giochi a vendere 23 milioni di copie in tutto il mondo. I vecchi e nuovi fan del brand trovarono in Pokémon Oro e Argento la naturale evoluzione della serie, un compendio di tutte le qualità che il franchise poteva offrire fino a quel momento.

Dopo l’uscita di Pokémon Oro e Argento, Satoshi Tajiri cedette la carica dirigenziale a Junichi Masuda, definendo la nuova figura che avrebbe seguito il brand Pokémon negli anni a venire. Tajiri e gli altri membri del team originale di Game Freak occuparono le posizioni esecutive dell’azienda, lasciando in mano a una nuova generazione di sviluppatori la loro creatura. Una terza variante di Oro e Argento per Game Boy Color venne rilasciata nel 2000 con il nome di Pokémon Cristallo. Questo titolo introduceva una serie di migliorie grafiche e la possibilità di giocare con un alter ego femminile, ma la scarsità di novità rispetto a Oro e Argento, e il suo rilascio a ridosso del nuovo Game Boy Advance di Nintendo, non permisero al titolo di avere il successo sperato.

Il resto come si suol dire è storia, una nuova ondata di progetti collaterali invase il mercato in seguito al successo di Pokémon Oro e Argento. La mitologia dietro alle creature di Tajiri venne consolidata da quel sequel così importante, e le linee guida per il futuro della serie erano state tracciate. Pokémon divenne un fenomeno culturale così imponente da occupare al giorno d’oggi il primo posto fra i franchise più redditizi al mondo, ma anni paragonabili a quelli della Pokémania che invase il mondo fra il 1998 e il 2000 non si ripresentarono più.

Il brand vive tutt’oggi dei regolari picchi di successo su scala globale (basti pensare al fenomeno di Pokémon Go o alla recente nuova primavera delle carte da gioco), ma si tratta di eventi mediatici di dimensioni più contenute rispetto a quegli anni. D’altronde ci sarà una ragione se Pokémon Verde, Rosso, Blu, Giallo, Oro e Argento rimangono i titoli più venduti della serie. 

Pokémon Spada e Scudo, gli ultimi titoli della serie, offrono un ottimo punto di partenza, o ripartenza per i vecchi appassionati, e sono disponibili qui.
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