Su Baldur’s Gate 3 sono state scritte tante cose: innumerevoli lodi, diversi motivi per cui da molti è ritenuto il gioco migliore del 2023, in certi casi anche critiche per alcune carenze, a volte giuste e assennate, altre per lo più pretestuose. È un gioco complesso, denso e stratificato, quindi non mi aspettavo niente di meno da un titolo che ha ridefinito gli standard degli RPG moderni.
Un livello qualitativo che infatti è stato largamente riconosciuto da critica e pubblico nei mesi scorsi. Dopo aver fatto incetta di trofei ai The Games Awards, recentemente l’opera di Larian Studios ha vinto, tra gli altri, il premio per la Migliore narrativa ai BAFTA Games Awards. Ora, non ho intenzione di disquisire sul merito della premiazione in sé, ma questa circostanza mi dà l’occasione di analizzare un aspetto del suo narrative design che ritengo eccellente, ovvero la gestione del finale.
Prima che saltiate a conclusioni: no, non parlo dei finali dei personaggi. Anche io, come molti, sono rimasto abbastanza scontento da come si chiudono diverse storie personali dei protagonisti prima di arrivare ai titoli di coda. Mi riferisco invece alle ultime battute della storia generale.
Per ovvie ragioni, nell’articolo saranno presenti spoiler sulla trama di Baldur’s Gate 3. Quindi se non lo avete ancora portato a termine vi consiglio di non leggere oltre.
Capita abbastanza spesso che un gioco abbia più di un finale che si sblocca a seconda di una o più scelte del giocatore. Ma quasi sempre queste versioni sono i classici “bad ending”, “good ending” o il finale “migliore”, canonico o altro. Diversi modi di chiudere il racconto che però si traducono in dei “what if” che guardiamo per sfizio prima di volgere inevitabilmente verso il miglior finale possibile, magari cercando come sbloccarlo online o guardandolo direttamente su YouTube. Lo facciamo tutti, è ormai una pratica comune. In tal modo, però, la nostra scelta è in qualche modo depotenziata, svilita, perché esiste di fatto un finale più “giusto” a cui vorremmo sempre puntare.
Anche in quei giochi dove non c’è un finale migliore rispetto agli altri, spesso non si sente davvero il peso della responsabilità delle proprie scelte, perché magari esiste un percorso ideale, una serie di cose da dover fare per fare tutto bene.
Baldur’s Gate 3 scuote questo status quo, non si accontenta di farci scegliere un’opzione che ci piace, ma ci mette nelle condizioni di fare scelte ben più scomode, obbligandoci a fare uno sforzo di tipo morale. Lo vediamo quando dobbiamo scegliere cosa dire a Mayrina, quando dobbiamo decidere se salvare il Duca di Ravengard, o decidere il destino delle 7000 progenie di vampiri e in diverse altre occasioni.
Nonostante i vari dilemmi, durante la mia esperienza di gioco ho proseguito nell’avventura prendendo le mie decisioni mantenendo bene a mente il mio allineamento. E lo ammetto, ogni tanto ho sbirciato qualche guida online per capire quali potevano essere le mie migliori opzioni e le eventuali ripercussioni. Niente però poteva prepararmi alla potente scelta che il gioco pone nelle battute finali del gioco.
Quando diventa chiaro che per sconfiggere il Cervello Netherese è necessario un mind flayer, la scelta diventa particolarmente ardua, soprattutto se il proprio Tav è di allineamento buono. Se si dà retta all’Imperatore bisogna sacrificare Orpheus e condannare i githyanki al dominio di Vlaakith (oltre al forte rischio di perdere Lae'zel dal party). Se invece si salva Orpheus, qualcuno (Tav, Karlack o Orpheus stesso) deve comunque diventare un mind flayer; e nonostante le linee di dialogo che si possono scegliere in seguito per addolcire la pillola, resta il fatto che tale trasformazione equivale a perdere l’anima e diventare una creatura ben diversa dalle altre razze, aliena, che può anche essere votata al bene, ma che avrà sempre bisogno di uccidere per nutrirsi di cervelli.
È una situazione che scuote la coscienza. E non c’è trucco o guida che ci possa salvare dal dover prendere una decisione disagevole. Nessuna di esse è ideale, ognuna richiede un sacrificio, e siamo costretti a vivere con le conseguenze di tale scelta.
Ecco, è di più situazioni come questa che abbiamo bisogno nei videogame. Situazioni in cui non basta scegliere l’opzione giusta perché tutti vivano felici e contenti, perché la realtà è estremamente più complessa di così e in questa realtà siamo chiamati a prendere delle decisioni.
Inizialmente non potevo credere che non ci fosse un modo per ottenere un accettabile “good ending” (vedete come ci hanno viziato?) e ho tentato diverse opzioni possibili, fallendo. Questa è stata una lezione che Baldur’s Gate 3 mi ha insegnato: non tutto può essere sotto il mio controllo. A volte non si può ottenere tutto, a volte è necessario sacrificare qualcosa. Quello che posso fare è decidere qual è la cosa giusta da fare ascoltando la mia coscienza e accettando le conseguenze.
E lo so, per molti questo approccio potrebbe sembrare inappagante, quasi crudele verso il giocatore. Dopotutto per molti i videogiochi sono un luogo dove rifugiarsi dal mondo reale e le sue responsabilità. Perché negare anche qui un bel finale in cui tutto va bene?
I videogiochi possono però essere anche un mezzo per metterci di contatto con noi stessi, i nostri valori e le nostre priorità, per imparare lezioni che possono esserci utili nella vita. Quello che vorrei per il futuro del medium è un maggior numero di giochi come Baldur’s Gate 3 in cui possiamo sperimentare scelte difficili in un ambiente sicuro.