Cari genitori, non è Fortnite il problema, ma voi!

Se siete genitori e pensate che Fortnite sia un problema, ci dispiace ma siete in torto: ecco perché.

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a cura di Alessandro Adinolfi

Nel corso degli ultimi giorni ha fatto molto rumore una class action di alcuni genitori canadesi contro Fortnite. L'azione legale, cominciata nel 2019, ora sta per finire in tribunale, con Epic Games chiaramente pronta a difendersi. Nei documenti, presentati dai genitori, si accusa il Battle Royale più famoso al mondo di creare una sorta di dipendenza, arrivando persino a una comparazione piuttosto forte, ovvero quella con la cocaina.

La class action ha raccolto testimonianze di tantissimi genitori, preoccupati per la salute dei loro figli. Dalle ore di gioco accumulate (come per esempio le 7.700 in meno di due anni di un bambino) fino all'isolamento totale del minore, con tanto di docce saltate e perdita di appetito. Il tutto è sostenuto dai legali che guidano la battaglia contro il gioco, che accusano Epic Games di aver progettato Fortnite per creare dipendenza. Ma è davvero così oppure no?

I veri numeri di Fortnite

La realtà, molto spesso, è decisamente più complessa di così. La verità è che Fortnite ha tratto in inganno tutti, soprattutto i genitori dei bambini più piccoli. Come scrive Repubblica, infatti, il gioco ha riscontrato fin da subito il favore di tutti i papà e le mamme grazie alla grafica colorata e l'assenza di una violenza vera e propria. A differenza di Call of Duty, per esempio, non esiste il sangue e i suoni sono molto meno realistici. Il tutto è stato ovviamente pensato per strizzare l'occhio proprio ai più piccoli, ma non ne possiamo fare una colpa a Epic Games. E forse bisognerebbe anche guardare i dati.

Secondo BusinessofApps, l'età media dei giocatori del Battle Royale viaggia tra i 18 e i 24 anni, dove si è maggiorenni praticamente in tutto il mondo. La disponibilità del gioco su tutti i device esistenti (funziona anche con Xbox Cloud, per esempio, dove non è necessario né un PC né una console) ha sicuramente ampliato il bacino d'utenza, arrivando proprio anche a colpire i più piccoli, che stregati dai loro content creator presenti su YouTube e Twitch hanno sicuramente avuto modo di entrare in contatto con il gioco. Di per sé questo non è un problema, ma è ovvio che alla base della class action manchino sicuramente due elementi che scagionano il titolo.

Fare i genitori: strumenti di responsabilità

Fortnite, Call of Duty, GTA e altri videogiochi sono strumenti che non fanno del male a nessuno. Certo, si possono sempre utilizzare per delle truffe o per bullizzare qualcuno, ma allo stesso modo anche i social network o la sezione commenti dei giornali online possono essere sfruttati per nuocere alle persone. Quello che manca in realtà è la disciplina, il controllo e ovviamente il dialogo. Tutti elementi che dimostrano quanto fare il genitore sia difficile. Un papà o una mamma devono necessariamente assumere un ruolo nella vita di un bambino che è quello di educatore, e la stessa educazione non passa solo da doveri e diritti da insegnare a un figlio. Imporre dei limiti o dei paletti non funziona più come una volta, poiché è necessario anche (e soprattutto) il dialogo. E nella class action emergono quelle che sembrano diverse falle nell'educazione impartita ai ragazzi.

Partiamo, banalmente, dal tempo di gioco: mettere un paletto al tetto massimo di ore passate davanti al computer senza spiegare il perché non funziona. Tutti noi vorremmo passare le nostre giornate a fare altro, ma nella vita ci sono obblighi che alla fine ci ricompensano (almeno un minimo) e ci danno la possibilità di coltivare i nostri hobby. Per l'adulto è il lavoro, per il bambino potrebbero essere i compiti e lo svolgimento di piccoli lavori in casa, per educarli a quella che sarà la vita. Anche per le microtransazioni (altro argomento tirato in ballo dalla class action, con un bimbo di 10 anni che avrebbe speso oltre 600 Dollari) c'è possibilità di dialogo. Non parliamo di educazione finanziaria, ma di semplice gestione del denaro: per ogni cosa da comprare bisogna riflettere bene, altrimenti c'è il rischio che i conti sfuggano di mano.

Chiaramente fare il genitore è molto più di tutto ciò, ma è chiaro che la mancanza di dialogo con i figli sia uno dei principali problemi di questi tempi. Anche il solo sforzo di voler imparare a giocare a Fortnite (ma a qualsiasi altro videogioco) e prendere per mano il bambino in questo percorso avrebbe potuto "salvare" i ragazzi, se non tutti almeno una parte.

Le responsabilità di Epic Games

Sarebbe però ingiusto scaricare tutte le colpe sulle famiglie. Epic Games, così come tante altre case editrici, non ha creato Fortnite con lo scopo di non guadagnarci. Ed è palese che al suo interno si nascondano meccaniche predatorie, che spingono i giocatori a grindare (ovvero passare ore e ore) per puro piacere personale. Ovviare a tutto ciò sarebbe anche abbastanza semplice e in Italia, per esempio, l'AAMS obbliga i bookmaker a imporre limiti di deposito giornalieri o mensili per tutti i siti dove si gioca d'azzardo. Un sistema simile nei giochi online andrebbe a tamponare il problema, ma quello a cui pensiamo è che forse disclaimer e una corretta informazione verso i genitori e i più piccoli sarebbe la soluzione migliore. E no, non si tratta di una soluzione campata per aria: prima del lancio di Nintendo Switch, il colosso nipponico ebbe l'atteggiamento corretto con il Parental Control integrato nella console.

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