Call of Duty Vanguard non ci ha sorpresi | Recensione

Call of Duty Vanguard fa alcuni passi indietro, ma la modalità multigiocatore è solida, frenetica e vanta un sistema di progressione ben congegnato.

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a cura di Martina Fargnoli

Editor

Nei mesi che hanno preceduto la recensione di Call of Duty Vanguard ha sempre più preso forza il convincimento che questo capitolo volesse mantenere un certo equilibrio tra il ritmo più ragionato di Modern Warfare e lo spirito più arcade di Cold War. Un FPS che recupera gli elementi migliori di entrambi senza stravolgere una formula ormai vincente, ma limitandosi a pochi piccoli ritocchi in aree mirate per dare ai giocatori qualcosa di diverso con cui misurarsi anche quest’anno.

La campagna promozionale di Call of Duty Vanguard ha posto grande enfasi sulla modalità per giocatore singolo - ve l'abbiamo anche raccontata nella nostra anteprima - che per smarcarsi da quanto già messo in scena da un corposo numero di videogiochi, punta tutto su una visione nuova della Seconda Guerra Mondiale e dei suoi interpreti. Tema dominante diventa la nascita del primo nucleo embrionale di forze speciali, o meglio, diventa narrare le gesta di questi individui straordinari: dei veri eroi invincibili ispirati a figure storiche reali, ma che dalla realtà prendono in prestito l'essenziale e forse è meglio così, visto che si tratta di una storia di fantasia con personaggi dalle abilità e dalla personalità molto marcate per fini di gameplay.

Nutrivamo qualche dubbio sul ritorno alla Seconda Guerra Mondiale dopo la Guerra Fredda di Black Ops Cold War, ma il progetto di Sledgehammer ci aveva fatto sperare in un racconto intenso e non banale. A uno sviluppo del tutto inedito, si sarebbero dovute intervallare queste cartoline di guerra dalle battaglie più significative e intense del conflitto. Purtroppo, con rammarico, dei grandi momenti della storia rimangono solo gli intenti, incompiuti e limitati da una durata di gioco che non permette alle buone intenzioni di svilupparsi appieno.

In trappola

Per essere un gioco sulla Seconda Guerra Mondiale, Vanguard inizia verso la fine del conflitto, nel 1945, durante un'infiltrazione su un treno in movimento. L’obiettivo è di deviarlo verso Amburgo e recuperare dei dossier sul nebuloso Progetto Phoenix. L'incognita più grande che fa brancolare tutti nel buio, giocatori compresi, che invece di essere coinvolti nel motivo centrale intorno al quale dovrebbero ruotare le missioni, si ritrovano davanti all'ennesimo banale pretesto per mettere in moto una campagna. Fortunatamente quando si tratta di sparare, il feeling con le armi è subito immediato e l'azione si mantiene vivace tra sparatorie sul tetto del treno e all'interno dei vagoni. Appena la campagna ingrana si cambia subito scenario e in un'escalation di eventi il nostro gruppo di soldati scelti si ritrova in prigione. Qui passeranno la totalità della campagna, affidando il resto del racconto a flashback sui personaggi.

Essendo gli operatori stessi, e la loro unicità sul campo di battaglia, l’unico collante che regge in piedi questa variegata squadra fatta di specialisti provenienti da diverse parti del mondo, è necessario che il gioco si prenda i giusti tempi per definire chi sono e perché sono stati scelti per questa missione. L’essere interrogati uno alla volta aiuta a non perdere il filo tra un salto temporale e l’altro, tuttavia, tutto finisce per essere compresso nelle standard 6-7 ore di campagna che soffocano un racconto che avrebbe potuto invece dire molto di più. Un numero maggiore di ore avrebbe permesso al team anche di trattare con maggiore serietà temi importanti che sono solo accennati, come il razzismo e la segregazione razziale nell’esercito.

Anche sul fronte del gameplay si nota un po’ di incostanza. In Vanguard ogni personaggio è speciale, ma le storie di origine e le abilità di questi specialisti non sono tutte allo stesso livello. A brillare in questo assortito cast di personaggi è Polina Petrova, tiratrice scelta russa ed eroina della battaglia di Stalingrado che è divenuta simbolo di speranza per tutto il suo popolo. La storia di Polina è molto sentita perché è l’unica che riesce davvero a mostrare una parte del lato umano della guerra. Anche a livello di caratterizzazione strettamente legata al gameplay, Polina si distingue per agilità che le permette di arrampicarsi per raggiungere postazioni di tiro, o di scivolare e intrufolarsi sotto scrivanie, macerie e passaggi stretti.

Gli oggetti dello scenario con cui Polina può interagire sono chiaramente limitati e l’andamento delle missioni molto lineare, ma il sentirsi in trappola, accerchiata da nemici, e riuscire comunque a prendersi gioco di loro è una bella sensazione. La vera abilità speciale di Polina, in realtà, è creare un diversivo con il suo coltello per attirare il fuoco dei cecchini e farli esporre, tuttavia, pur completando la campagna a Veterano, non ne abbiamo mai sentito il bisogno ed è un’abilità che abbiamo utilizzato prevalentemente quando il gioco la introduce per la prima volta.

A parte Polina che ha livelli costruiti intorno alle sue doti stealth, gli altri personaggi combattono praticamente quasi allo stesso modo in livelli che non hanno nulla di diverso da tanti altri in Call of Duty. Lucas Briggs è un esperto di esplosivi: può trasportare contemporaneamente bombe Gammon e molti altri tipi di granate. La maggior parte del tempo la passa a lanciare granate o a far esplodere carri armati contro un’intelligenza artificiale davvero tarata verso il basso. Arthur Kingsley, il leader del gruppo, può impartire ordini ai compagni, ma invece di poterlo fare liberamente scegliendo come e quando, l’interazione è limitata a sporadici momenti obbligati. Si limita a ordinare ai compagni di fare fuoco di soppressione quando compare l’icona di un bersaglio. Non sembra di avere davvero il controllo di una squadra, né è richiesta una particolare strategia per abbattere i bersagli più resistenti.

Il più fiacco dei personaggi è Wade Jackson. La sua sezione si apre con una missione aerea nel Pacifico, in una delle meno esaltanti scene di confronto armato tra velivoli, salvata soprattutto dall’ottimo sonoro che ci catapulta nel vivo dell’azione. I controlli, purtroppo, non aiutano ad essere precisi, ma non aiuta a immedesimarsi neanche la limitazione imposta dai confini di gioco. Quando Wade si trova a terra, può concentrarsi a tal punto da vedere le sagome dei nemici fin nel fitto bosco dell’Isola di Bouganville. Forse l’addestramento aereo ha affinato molto la sua vista, altrimenti non sappiamo spiegarci il perché di questa sua abilità. L’effetto è utile quando dobbiamo rilevare i nemici nelle fasi stealth, mentre è alquanto fastidioso quando si spara perché è come avere attivo l’aim assist che tiene incollati gli avversari nel mirino passando automaticamente da uno all’altro.

La campagna ha i suoi momenti esplosivi, irruenti e spettacolari in classico stile action movie, sorretti da una colonna sonora calzante e da un doppiaggio che si conferma ogni anno fiore all’occhiello della produzione. La spettacolarità è garantita anche dal passaggio all’IW Engine e si vede soprattutto nel dinamismo delle diverse superfici colpite dai proiettili e nella gestione dell’illuminazione che regala il meglio nelle fasi in notturna dove è più facile apprezzare le diverse fonti di luce e il modo in cui attraversano la scena. A differenza di Modern Warfare e Cold War, però, il colpo d’occhio è meno pulito e alcune texture sono risultate sbiadite e in bassa definizione. Forse per un difetto dell’opzione di streaming delle texture ad alta qualità ci siamo ritrovati talvolta di fronte a un modello low poly di alcuni volti. Il risultato finale, però, non è intaccato da questi sporadici momenti.

Ciò che invece penalizza l’esperienza finale è l’eccessiva linearità perché non permette di sperimentare liberamente con le abilità dei personaggi, che finiscono per perdere la loro unicità. Solo nel finale è possibile, infatti, sperimentare le doti dei quattro personaggi e vedere come le loro abilità si completino a vicenda per la buona riuscita di una missione. Se ci fossero stati più momenti come questo, la campagna avrebbe sicuramente assunto più sostanza e avrebbe dato maggiore spessore a questi soldati in quanto gruppo.

Purtroppo, la trappola a cui Call of Duty sembra non riuscire a sfuggire è quella di essere ormai un gioco con un ben definito corredo genetico. Ogni anno ci si aspetta che il gioco faccia esattamente ciò per cui è famoso e apprezzato, a tal punto che deviazioni troppo spinte dal percorso classico attirano le ire di parte della community. Questo capitolo, inoltre, ha la sfortuna di arrivare dopo Modern Warfare che, pur proponendo una campagna lineare, aveva dato maggior respiro agli scenari, ma soprattutto dopo Cold War che aveva osato maggiormente, tra missioni a libero svolgimento e diversi finali - qui la nostra recensione.

Call of Duty Vanguard Multiplayer

Se la campagna non ha del tutto convinto, la modalità multigiocatore ha fatto dimenticare in un attimo il lancio non proprio eccelso di Cold War. Non abbiamo riscontrato problemi di connessione e le partite si sono svolte con molta fluidità, salvo per i problemi nella rotazione degli spawn già rilevati durante l’alpha e la beta. È una problematica che sembra affliggere ogni CoD al lancio e questa criticità è molto più evidente nelle mappe piccole con un numero elevato di giocatori: spesso si torna in gioco dietro le linee nemiche o circondati dalla squadra avversaria.

Il numero di mappe, questa volta, è di ben 20, di cui 16 solo per le modalità della playlist core – Deathmatch, Cerca e Distruggi, Uccisione Confermata e Postazione per citarne alcune - e ciò fa di Vanguard il Call of Duty con il numero più elevato di contenuti multigiocatore all’uscita. Nel complesso gli scenari proposti spaziano tra tutti i fronti in guerra e permettono di ingaggiare i nemici sia negli spazi stretti che con linee di tiro pulite dalla lunga distanza. Si alternano obiettivi in campo aperto ad altri all’interno degli edifici con un uso abbastanza convincente della verticalità per alcune mappe. Le minacce possono arrivare da diverse direzioni, ma il layout delle mappe non è così complesso da impedire una facile lettura del posizionamento avversario.

I campi di battaglia sono più contenuti rispetto a Modern Warfare, tra l’altro è presente anche una versione rimasterizzata di Dome direttamente da World at War che per dimensioni medie e struttura si trova ancora perfettamente in linea con le altre mappe più recenti. Mappe non dispersive permettono di avere scontri con ritmi sempre molto elevati anche nel caso di partite 6vs6. L’introduzione della distruttibilità degli elementi in punti mirati della mappa come porte, finestre, o muri a copertura di un obiettivo, è un passo in avanti nel cercare di togliere alcune sicurezze ai camper più incalliti, prima fra tutte la certezza che i muri esterni assorbano i proiettili e le esplosioni a tal punto da proteggerli da morte certa.

Sia chiaro che per camper non intendiamo l’onesto lavoro di copertura di un cecchino, ma quei fastidiosi comportamenti di chi preferisce passare l’80% della partita accucciato in un angolino con il fucile a pompa o sdraiato tra l’erba nelle aree di passaggio. La distruttibilità non è un aspetto su cui Call of Duty ha costruito il suo successo, quindi l’impatto in gioco è calibrato per non essere devastante e predominante come in altri titoli. Si tratta comunque di una caratteristica da non sottovalutare per padroneggiare le mappe. Come punto di partenza è un buon inizio, magari i prossimi titoli potranno ampliarla e renderla ancora più stimolante in termini di gameplay.

L’altra novità riguarda il Ritmo Battaglia: si tratta di un nuovo filtro per le playlist che permette di impostare il numero dei giocatori presenti in una partita. In modalità partita veloce si può gestire il filtro scegliendo tra Ritmo battaglia Tattico per un'esperienza meno caotica, Assalto per sessioni di gioco bilanciate e Blitz per scontri frenetici allo stato puro. Il caos potrebbe risultare eccessivo in alcuni frangenti, soprattutto su mappe molto piccole come Das Haus. Ciò che manca per avere maggiore controllo, però, è la possibilità di votare le mappe e le modalità di gioco quando ci si trova nella lobby. Questa feature è al momento assente.

Per quanto riguarda le nuove modalità di gioco, Pattuglia è una piacevole aggiunta che rende più dinamico l’approccio tipico di difesa e conquista di una posizione. Infatti, a differenza proprio di Postazione, il punto di controllo si muove costantemente sulla mappa, indipendentemente se qualcuno lo sta conquistando o meno. Ciò obbliga la squadra a trovare strategie in corsa per sorprendere gli avversari o ad anticipare l’arrivo della zona di controllo presidiando il punto verso cui sta convergendo. Peccato che le modalità a obiettivi vengano spesso giocate come se fossero dei deathmatch, ma questo è il lato negativo di qualsiasi FPS in cui si gioca in lobby pubbliche senza una squadra già formata.

Questo fattore viene evidenziato anche dalla schermata MVP Team a fine partita dove tutti i membri della squadra possono votare il miglior giocatore tra i tre messi in evidenza dal gioco. Spesso i riconoscimenti vanno a chi ha fatto più uccisioni, chi ha il rapporto U/M maggiore, mentre chi ha fatto più conquiste non viene votato. L’assenza di un sistema di Serie di Punti, in favore di un sistema di ricompense basato sulle uccisioni, non incentiva comunque a giocare per gli obiettivi. Molto più riuscita in tal senso è la modalità Collina dei Campioni dove l’obiettivo finale è sopravvivere e quindi concentrarsi sulle kill per azzerare le chance avversarie di competere fino alla fine. La modalità è una fusione ben riuscita tra Scontro e Warzone, che strizza molto di più l’occhio agli amanti dei battle royale.

È chiaro che Warzone è diventato in breve tempo importantissimo per Activision e quindi meccaniche e sistemi di gioco si riflettono anche nei capitoli principali della serie, tra cui il sistema di progressione che ormai da tre capitoli - contando Vanguard - ha abbandonato completamente il vecchio sistema dei prestigi optando per una soluzione che mantiene armi ed equipaggiamenti al reset. Riprendendo spunto proprio da Modern Warfare e Cold War, i punti esperienza guadagnati dalle armi faranno ottenere accessori – equipaggiabili fino a un totale di 10 dall’Armaiolo - e mimetiche per la personalizzazione. Anche gli operatori avranno il proprio sistema di crescita che permetterà di salire di livello semplicemente giocando, completando sfide per ottenere ricompense e skin, e accelerando i progressi equipaggiando l’arma preferita dall’operatore.

Zombi in attesa del proprio futuro

Treyarch ha iniziato a svecchiare la modalità Zombi già in Cold War, dove avevamo premiato la scelta dello sviluppatore di rendere la modalità più accessibile inserendo dell’ottima segnaletica per indirizzare i giocatori senza togliergli il piacere di capire cosa fare all’interno delle arene. Uno dei pregi – per altri magari è un difetto - della modalità Zombi è infatti sempre stato quello di affascinare per il suo essere criptico.

È come un grande puzzle che di ondata in ondata i giocatori iniziano a decifrare mentre diventano sempre più forti per affrontare nuove minacce. I giocatori di vecchia data sanno che ci sono indizi, che la cooperazione è necessaria e che non sarebbe zombi senza perk, macchinari e armi incredibili. Se togliamo a Zombi la componente puzzle alla ricerca continua di easter egg, allora ci troviamo di fronte all’offerta Zombi di Vanguard al lancio. La modalità incentrata sulla quest principale, infatti, arriverà solo con il lancio della prima stagione il 2 dicembre.

Tutto è pensato per essere più immediato: la partita ha inizio in un hub centrale dal quale poter potenziare il personaggio e scegliere quale degli strani portali attraversare. I portali servono a teletrasportarci in altre aree, come Hotel Royal, ed è suggestivo combattere i non morti sui tetti di una delle mappe più riuscite di Vanguard. Gli obiettivi possono essere diversi: siamo passati dall’eliminare tutti i nemici presenti allo scortare un globo di energia per la mappa, o a depositare risorse dentro poco rassicuranti dispositivi. Avanzare sblocca anche nuove zone nell’area di ritrovo nelle quali è possibile ottenere ulteriori potenziamenti.

Giunti al quinto round, potremmo tentare un’estrazione per fuggire, o decidere di continuare per affrontare minacce sempre più terrificanti. La varietà dei nemici non è il punto di forza e tutto si gioca puntando sulla numerosità degli zombie schierati, ma tutto sommato questa modalità più veloce e semplificata si è rivelata divertente da affrontare con gli amici per quando si vuole fare una pausa dal multigiocatore.

Questa scelta di lanciare il gioco con una sola modalità molto diversa dalla classica esperienza Zombi potrebbe dividere la community, mentre potrebbe attrarre nuove persone che fino a oggi si sono tenute un po’ distanti dalla carneficina di non morti a causa di una non sempre chiarezza negli obiettivi. Il percorso intrapreso da Treyarch per questa rivisitazione degli Zombi ci è sembrato comunque molto in linea con quanto mostrato con le modalità Epidemia e Carneficina.

Avremmo preferito che Vanguard venisse lanciato insieme a una modalità più corposa dal punto di vista della storia perché Der Anfang rischia di essere un’attività che si fa per far salire le armi di livello e poi si abbandona in fretta. Non possiamo valutare contenuti che non sono ancora disponibili, ma chiaramente siamo consapevoli che Zombi è destinata a espandersi nel corso delle stagioni.

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