Ed eccoci di nuovo qui. Per citare una famosa canzone “stesso posto, stessa storia, stesso bar”. Il bar effettivamente in realtà è la nostra camera, o la nostra sala, a seconda dell’organizzazione personale. Sta di fatto che siamo ancora lì, a guardare le nostre console old-gen, PS4 e Xbox One, piazzate sul mobile dove per anni hanno svolto il loro onorato servizio. Il fatidico momento è giunto. Ora non sono più parte della generazione in corso. Sono state superate. Da una parte il solito numero che diventa un +1 (scelta anonima ma sicura da parte di PS5) e dall’altra invece il consueto renaming generale del prodotto con Xbox Series X. Anzi no, magari ci fosse stato un renaming generale. Ci fosse stato davvero non ci sarebbe stata di certo l’impennata di vendite di Xbox One X (e chissà, quando prima o poi le persone si accorgeranno che il loro modello non gli garantisce l’accesso a tutti i giochi che verranno, quanto faranno i complimenti al settore brand di Microsoft).
Guardando quelle console si avverte già una profonda malinconia. I due araldi delle due compagnie di tecnologia che da ormai quasi vent’anni si contendono lo scettro di dominatore del mercato (e Nintendo che arriva costantemente con prepotenza, a sfida in corso, per reclamare il suo ruolo) non sembrano più così monolitiche e sicure di loro stesse, come sembravano fino a poche settimane fa. Sembrano due grandi attrici che si sono appena accorte che non verranno più messe al centro della scena; per loro, a poco a poco, solo ruoli secondari, poi una lenta decadenza, fino al pensionamento, dove saranno chiamate in causa solo per ricordare del passato che fu.
Io le guardo, e basta un attimo. Rivedo il me stesso del 2014 che entrava in quell’Unieuro di Milano centro, dove mi ero faticosamente recato per trovare una delle poche Xbox One in circolazione con il bundle che mi interessava (rigorosamente con Kinect, e so che Don Mattrick in questo momento mi sta pensando con affetto). Poi assisto a quando, qualche mese dopo, grazie a Gamestop e alle sue permute da saccheggio, sono uscito bello felice dal negozio con un sacchetto al cui interno riposava la PlayStation 4. Ripensando a quei momenti non si può fare a meno di ricordare la persona che eravamo, solo pochi anni fa.
La cosa bella del cambio generazionale è che è uno di quei momenti spartiacque che ti aiutano a tracciare una linea. Ti permettono di ancorare una vecchia immagine di te, che altrimenti sarebbe difficile da collocare nel tempo, e rimarrebbe meno vivida. Invece, anche grazie a loro, si ricordano vecchi usi, vecchie abitudini, e vecchie parti delle nostre vite. Riemergono con potenza, quasi che fossero Microsoft e Sony a decidere di immettere una nuova versione di noi sul nostro personalissimo mercato.
Tolti i ricordi più personali parte una seconda carrellata. Quella dei ricordi legati a questa generazione e ai suoi prodotti. Non per forza i migliori. Ma quelli che si sono ancorati nella nostra memoria assieme ad una sensazione peculiare e potente, assolutamente personale e non obiettiva. Quello che crea l’arte quando impatta con la persona che siamo e il momento che stiamo vivendo. Viene a cristallizzarsi una memoria a più sfumature, ma incredibilmente vivida. Il passaggio a PS5 e Xbox Series X dà il la a tutta una serie di discussioni che assumo troppa rilevanza rispetto all’attenzione che dovrebbe avere quella che, a tutti gli effetti, può essere considerata una vera e propria festa. Una festa di ricordi.
Nella festa dei ricordi
Se penso all’inizio della generazione, sbarcando dapprima sul territorio Microsoft, non si può non ricordare lo strambo rapporto iniziale che si ebbe con Xbox One. Vuoi per le forme per nulla concilianti, vuoi per lo strano e insistente utilizzo di Kinect foraggiato dalla compagnia sui titoli (chi ricorda D4: Dark Dreams Don’t Die?) e nella gestione della dashboard, il primo rapporto con la console della casa di Redmond è stato una sorta di strano mix tra un presente di gaming canonico, ed un futuro dalla visione stridente.
Quella strana sensazione che si crea quando sì osserva una prospettiva tecnologica irrimediabilmente già esaurita e tramontata. Nonostante questo, i comandi vocali di Kinect mi hanno agevolato di tanto in tanto, e le sfide con Kinect Sport rimarranno assolutamente indimenticabili. Un peccato non aver potuto rigiocare ai piccoli gioielli di 360 (Child of Eden, su tutti). Arrivò comunque abbastanza in fretta quel piccolo gioiello di Sunset Overdrive a dare senso all’estrema eterogeneità dell’hardware, con la sua pioggia di colori, irriverenza e musica punk. Uno di quei titoli che, pad alla mano in fiera, già ti aveva convinto che sarebbe stato un valido motivo per l’acquisto di una console.
Le ore e ore di divertimento in quella assurda città rimangono tutt’ora ineguagliate. Riguardando Xbox One è impossibile poi non pensare allo sbarco dell’attesissimo Halo 5: dopo la magnifica ripresa di Halo 4 e quel lacrimoso arrivederci tra Master Chief e Cortana si sbavava letteralmente sui pad in attesa di capire cosa diavolo sarebbe successo. L’unica cosa che però si pensa oltre a questo guardando Xbox One, e con rammarico, è come abbia fatto una console Microsoft a veder atterrare su di sé un solo capitolo della sua saga principale.
Sappiamo tutti com’è andata, ma è impossibile non legare anche questo ricordo più rammaricato ad una generazione Xbox dall’andamento intermittente. Gioie e dolori che si legano indissolubilmente alla storia della vita di una macchina. Un chiaro oscuro che finisce per assorbire anche il Quantum Break di Remedy. Titolo atteso spasmodicamente per la sua forte ambizione multimediale: quella di fondere episodi canonici di una serie Tv trasmessa direttamente sullo store di Microsoft, alla trama del gioco. Anche qui, sappiamo com’è andata. Ma l’idea di base rimane scolpita a fuoco nella memoria, come la sua altalenante efficacia.
Continuando a parlare di casa Microsoft e forti cambiamenti, questa generazione è stata sicuramente scandita dall’arrivo dello tsunami chiamato Gamepass. Arrivato prima in sordina, l’abbonamento è stato in grado lentamente nel tempo di imporsi. È impossibile non ricordare i primi mesi dove ti veniva letteralmente tirato dietro con offerte continue sullo store. Con l’esborso di una cifra assolutamente simbolica ti trovavi per le mani questo abbonamento trimestrale dove venivano aggiunti gradualmente un sacco di titoli che non eri riuscito ancora a recuperare. Poi l’annuncio, ad inizio 2018: esclusive al day-one. Un servizio che cambia per sempre le regole del gioco. E che, lentamente, inizia a crescere, cresce così tanto da diventare letteralmente imprescindibile per gli utenti Xbox. Attraverso di lui esperienze dolci, come l’incontro con quella splendida creatura chiamata Ori, e momenti più sgangherati, come quelli con le ciurme di Sea of Thieves.
Poi il 2019, l’E3, la prosecuzione dell’acquisizione di una lunga fila di studi, come fossero giocatori di calcio in una campagna faraonica; poi il recente colpo di Bethesda, che sa tanto del tentativo di avere in squadra anche un vero Cristiano Ronaldo. Non sono ricordi di gaming questi, ma sono ricordi che si legano alla percezione della potenza del marchio, prospettive di futuro, immagini che comunque la console fa riemergere anche solo guardandola.
Spostando lo sguardo sulla console Sony, che se ne rimane lì ancora gonfia di tutte le sue maxi-esclusive, non posso non pensare all’esclusiva che, personalmente, me la fa identificare come la miglior console della storia videoludica: PlayStation VR. Se devo pensare a questa generazione è la prima cosa che mi viene in mente: l’avveramento di un sogno. La possibilità di vivere gli ambienti e i giochi dall’interno, sentirci circondati da una storia. Sentirsi dentro, la storia. Nell’ambiente VR si è diffuso il detto che la VR la apprezza solo chi ce l’ha. Questa affermazione ha un che di vero.
È complesso raccontarne la sua potenza estrema, come medium. È’ tutt’ora difficile, ad esempio, mettere a terra con razionalità il momento in cui ho provato Farpoint, e mi sono sentito improvvisamente sbalzato in avanti di dieci anni nel tempo, come se quel prodotto provenisse dal futuro. Il visore, dal suo arrivo, ha ampliato il catalogo già mostruoso di Sony, consegnandoti una lista di titoli praticamente infinita. Avere Playstation 4 e Playstation VR è come avere letteralmente due console.
A questo elemento già determinante per la qualità di vita di una console, si aggiungono i tanti momenti in cui una delle Playstation exclusive ti ha letteralmente fatto spalancare gli occhi per la meraviglia: si pensi alle centinaia di scelte e la responsività della narrativa di Detroit, alla qualità di scrittura e al gameplay di God of War e The Last of Us Parte II. Più di tutto, però, salta alla mente quel ‘migliore amico’ che PlayStation 4 è stata in grado di portare sui nostri schermi. Si chiama Trico, il grifone co-protagonista di The Last Guardian. Osservando la macchina di Sony non si può non essere certi di una cosa: siamo stati di fronte ad un vero e proprio portale delle meraviglie.
Ambedue le console poi, se ascoltate, gridano due nomi altisonanti: The Witcher 3 e Red Dead Redemption 2. Attraverso questi titoli la generazione ha trovato forse la sua più alta forma di incarnazione. Questi anni di innovazione e sviluppo videoludico ci hanno portato tante conquiste ma sicuramente, più di tutto, ci hanno consegnato dei mondi incredibilmente evoluti. Gli open world sono riusciti finalmente ad innovare la loro formula, dimostrando che quello che avevamo avuto modo di vedere non era altro che un giro di prova di una macchina che solo ora può dimostrare davvero le meraviglie sconfinate che il videogioco sarà in grado di creare da qui al prossimo futuro. Grazie a queste evoluzioni abbiamo vissuto sulla nostra pelle un west mai nemmeno immaginato così nel dettaglio, e abbiamo partecipato ad un’epopea fantasy con un mondo più vivido che mai, capace di far passare in secondo piano la main quest dell’opera. Ad accumunare queste due storie protagonisti fra loro in qualche modo affini, con i loro caratteri burberi e dalla risposta sagace sempre pronta. Mi rimarranno per sempre nel cuore, una parte a testa, a destra Geralt di Rivia e a sinistra Arthur Morgan: reietti dei loro mondi, ma in grado di portarseli comunque sulle spalle.
La fine del viaggio
Snocciolata questa breve sequela di ricordi preziosi che la generazione si sta portando via con sé, le campane celebrative che suonano per PS5 e Xbox Series X si scontrano con l’attaccamento affettivo verso PS4 e Xbox One che, in questi anni, hanno saputo regalarci esperienze differenti e dirompenti. Attraverso di loro il mondo videoludico è cambiato, e grazie agli sviluppi che hanno saputo sostenere sarà in grado, nel futuro, di evolvere ulteriormente, dando continuità allo sforzo fatto dalle produzioni a cui abbiamo assistito.
Un continuum che deve ricordarci sempre di dare il giusto merito al vecchio quando passa il suo testimone, evitando di dimenticarlo troppo in fretta. Per preservare la cultura videoludica e tutti quei momenti importanti, più personali, che non devono sbiadire col tempo. Personalmente, davanti a loro, guardando quelle due console, mi chiedo se sia davvero il momento di passare a PS5 e Xbox Series X, o se è forse il caso di farle girare ancora un po’ in pista. Sono stanche, lo si sente in ogni loro sussulto, fra un tempo di caricamento più lungo del previsto o un rallentamento improvviso quando gli elementi da calcolare a schermo diventano davvero troppi.
Ma, guardando il backlog, e la poca offerta effettiva di prodotti esclusivi, la necessità di dare retta al nuovo vacilla. Forse possono restare, ancora un po’. La gratitudine verso un oggetto tecnologico la si dimostra anche sfruttandolo fino in fondo. Fino a quando ne ha. E poi fa sentire maledettamente bene l’idea di valorizzare ancora di più il piccolo investimento fatto con il loro acquisto. Quindi forse possono davvero restare ancora un po’ con noi. A tenere viva la fiammella di questo presente prima di farlo diventare definitivamente un passato dolce, a cui andremo a ripensare, come di consueto, per ricordarci di loro e, attraverso di loro, ricordarci cosa abbiamo vissuto, chi siamo stati, negli anni di questa ottava, magnifica, generazione. E voi, che farete, invece? Sbarcherete subito in questa nona generazione?
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