Atomic Heart | Recensione del Bioshock sovietico
Atomic Heart è finalmente pronto per essere giocato su PC e console: un action RPG con chiara ispirazione a Bioshock e System Shock.
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a cura di Lorenzo Quadrini
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Sviluppato a partire dal 2017, rinviato più volte e spesso al centro di numerose polemiche, Atomic Heart è finalmente pronto per essere giocato su PC e console. Si tratta dell’opera prima di Mundfish, studio di sviluppo fondato in Russia e attualmente di base a Cipro.
Atomic Heart ha avuto uno sviluppo travagliato, complici sia alcune discussioni nate attorno a un “downgrade” di quanto promesso nelle prime fasi di promozione rispetto ai video di gioco successivi, sia alla situazione politica internazionale attuale, per la quale la software house di origini russe non ha mai rilasciato dichiarazioni esplicite. Per quanto riguarda il primo punto, ossia quello del depotenziamento dell’idea originale del gioco a favore di un approccio più blando e rodato, ne parlerò dettagliatamente all’interno della recensione. Per quanto riguarda invece la seconda, vista la delicatezza dell’argomento, preferisco rinviare ad altre sedi.
Una storia già sentita...
Atomic Heart si è sempre presentato come uno sparatutto con ibridazioni GDR, chiaramente ispirato a titoli quali Bioshock - a sua volta ispirato a System Shock - ma con un millantato approccio di maggiore compenetrazione tra il mondo di gioco e le azioni del personaggio. Nei primissimi trailer l’impressione è quella di poter fare e agire su vari aspetti della realtà ludica, approcciando con estrema eterogeneità alle diverse sfide che il titolo propone. D’altronde, in periodi più recenti, alcune discussioni sui problemi di budget del team, uniti a una mancanza di materiale a disposizione del pubblico e della stampa, hanno portato a creare una “frangia” di scettici nei confronti del videogame. La questione è annosa e ha antesignani noti quali No Man’s Sky, Cyberpunk, Kingdom Come, solo per citare i più recenti.
Personalmente, è chiaro giocando ad Atomic Heart che la “libertà” concessa al giocatore si attesta su binari ludici più che noti, non stravolgendo nulla di quanto già ben conosciuto da stampa e pubblico. Allo stesso tempo, però, il titolo è tutto fuorché vuoto o incompleto, rappresentando un lavoro solido e in linea con gli standard attuali.
Atomic Heart narra di un’ucronia dove l’Unione Sovietica ha vinto la seconda guerra mondiale (funestata da un ultimo colpo gobbo dei nazisti, un’arma biologica nota come “peste bruna”) e si è imposta come potenza egemone globale grazie alla scoperta dei “polimeri”. Questa tecnologia ha permesso ai sovietici di sviluppare degli automi avanzatissimi, di creare una rete neurale di controllo degli stessi e di manipolare in maniera sconvolgente la materia organica e inorganica, raggiungendo traguardi inimmaginabili. Al centro di questa rivoluzione c’è il dottor Sechenov, scopritore dei polimeri e creatore della base top secret 3826. Ovviamente il lettore avrà capito che questo idillio si rompe abbastanza presto, che i robot cominceranno a non comportarsi come dovrebbero (idem tutte le altre stravaganti tecnologie sviluppate nel complesso) e che a risolvere la situazione viene chiamato il maggiore P-3, ossia il protagonista. Ad aiutarlo c’è Charles, l’intelligenza artificiale collegata al guanto da cui promana il 99% delle abilità che scopriremo nel corso del gioco.
Senza spoilerare i complessi intrecci della trama, avviso subito che la sensazione di chi ha letto questo paragrafo (una sensazione del tipo “questa storia assomiglia tanto a Bioshock”) è più che fondata. Atomic Heart ripropone, senza troppa vergogna, una struttura narrativa in tutto e per tutto simile al titolo edito da 2K Games. Una scelta non originale, che però viene mitigata dalla buona scrittura dei due protagonisti: P-3 e Charles. Il primo ruvido, sboccato, ma anche gioviale e buontempone (personalmente una boccata fresca in questo panorama di protagonisti sempre tetri e riflessivi), il secondo forse non particolarmente innovativo nel proporre il solito cliché della IA puntigliosa e precisina, ma comunque gradevole.
Ci sono anche numerosi comprimari, ma il succo rimane quello sopra esposto. Se quindi la trama non è originale, ma intrattiene con buona qualità, quello che manca è la caratterizzazione del contesto storico. Non voglio essere frainteso: i riferimenti all’Unione Sovietica sono tantissimi, ma rimangono fermi a una funzione di colore e di riempitivo, con pochissimo spazio per un approfondimento storico (o meglio, ucronico) del mondo di gioco. Vista la provenienza del team di sviluppo mi sarei aspettato una chiave di lettura molto più profonda e introspettiva di quanto proposto, nel bene o nel male.
Non è presente una chiara e decisa critica sociale al comunismo sovietico (al contrario per esempio di quanto fatto in Fallout riguardo al capitalismo americano), ma allo stesso tempo non è presente neanche una presa di posizione a favore dei soviet. Non vi è nemmeno una trasposizione efficace di quella che sarebbe dovuta essere la vita del cittadino sovietico, pur se nettamente migliorata dalla tecnologia polimerica. Ora, non ritengo ovviamente necessaria una presa di posizione, né una critica (o un elogio) alla vecchia URSS. Quello che mi aspettavo, però, era un racconto che trasudasse di elementi storici e non soltanto di orpelli privi di potenza immaginifica come l’utilizzo del termine “compagno” o le riproduzioni onnipresenti della falce e del martello. Sembra strano da dire, ma il mondo di Atomic Heart è davvero difficile da distinguere da quello del Bioshock di turno, ed è un peccato.
L'approccio monumentale di Atomic Heart
Diverso, e molto più positivo, è invece il discorso estetico. La struttura e i disegni delle ambientazioni sono, al contrario della ricostruzione narrativa, molto più pertinenti. C’è innanzitutto uno spiccato senso dell’approccio monumentale, caratteristico dell’architettura sovietica degli anni '50 e '60, brillantemente riprodotto già a partire dal prologo (da notare la grande somiglianza dell’edificio centrale del complesso 3826 con l’università di Mosca). A questo si aggiunge un lavoro di ricostruzione del design dell’epoca, aggiornato al maggior grado di benessere raggiunto dalla CCCP di Atomic Heart e influenzato - molto di più della controparte reale - all’arte figurativa russa. Le strutture tubulari, le sfere, l’acciaio e il vetro dominano i dungeon del gioco, mentre i colori pastello e gli ambienti semplici ma densi di particolari caratterizzano gli ambienti esterni. Un lavoro notevole, che ho trovato forse una delle cose di maggior pregio dell’intera produzione.
Il gioco vero e proprio si dipana su percorsi invece molto più conosciuti dai giocatori, e non è obbligatoriamente un elemento negativo. Atomic Heart è un FPS, ibridato con meccaniche GDR che si concentrano quasi esclusivamente sulla raccolta di risorse, sull’esplorazione della mappa e sul crafting di oggetti. Gli sviluppatori hanno optato per un approccio alla raccolta delle risorse basilare: si tiene premuto il tasto F e il nostro guanto raccatterà tutto quello che c’è di utile, senza necessità di filtrare, di gettare o di ricomporre. Ogni volta che si incontra una delle numerose (e moleste) macchine per il crafting potremo costruire nuove armi o migliorare quelle esistenti.
Intrattenimento e grande fluidità
I percorsi sono sempre a doppio senso: tutto quello che viene costruito o sbloccato può essere annullato senza perdere quanto speso. In questo modo si invoglia il giocatore a provare un po’ di tutto e a cambiare build a cuor leggero. Nonostante questo è previsto un inventario delle armi e dei consumabili (con slot piuttosto risicati), che costringe quindi a scegliere con cura cosa utilizzare e cosa lasciare in deposito. Le skill seguono in maniera identica questo filone di gameplay, non sono numerosissime e nemmeno troppo originali (uno scudo, la scossa elettrica, un getto di polimeri, un soffio ghiacciato, la telecinesi e via di questo passo), ma fanno il loro dovere e presentano al loro interno un percorso di upgrade interessante ed abbastanza complesso.
Il mix delle due cose è ottimo e si riverbera con soddisfazione nel gameplay vero e proprio, dove è necessario stare attenti a risorse e munizioni, nonché ad approcciare i mob ostili facendo riferimento alle debolezze degli stessi e mescolando combattimento da mischia e combattimento a distanza. Ho trovato il risultato complessivo di questo sistema di gioco più che soddisfacente, pur se non innovativo e nemmeno così profondo come mi aspettavo: il combattimento di Atomic Heart non è grezzo, ma rimane ancorato a dinamiche rodatissime (schivare con lo scatto, click sinistro per tirare mazzate senza soluzione di continuità, switchare arma per sparare ai nemici lontani e mescolare il tutto con i due poteri utilizzabili all’interno del roster proposto).
Cosa dire, infine, della mappa? Probabilmente farà storcere il naso a chi si aspettava un ambiente di gioco gigantesco, pieno di cose da fare e di missioni da seguire. Non è così, o comunque solo in parte (e mi trova pienamente d’accordo). Atomic Heart si divide in due grosse esperienze: i dungeon, che sono il fulcro della trama e che rappresentano il primo grande spezzone di gioco; le zone all’aperto, che sono esplorabili e fondamentali per ottenere le ricette degli upgrade e seguire le diverse missioni. Il titolo non è sovrabbondante, pur avendo molta carne sul fuoco, e l’esplorazione risulta piuttosto limitata. Il risultato è notevole proprio grazie alla scelta fatta da Mundfish di evitare un ambiente eccessivo - che poi doveva per forza di cose essere riempito con contenuti di scarsa qualità - prediligendo un focus sul combattimento e sullo spostamento all’interno di un numero di ambienti limitato. Se siete dei patiti degli open world comunque non dovete preoccuparvi: c’è libertà di movimento, ma il nocciolo della questione rimane seguire la trama.
Tecnicamente parlando Atomic Heart rappresenta un lavoro di pregevole fattura. Innanzitutto sottolineo la buona ottimizzazione, che permette, dopo un caricamente non propriamente velocissimo ma sopportabile, di fruire del gioco senza attese, senza pause e senza alcun calo di prestazioni (ho giocato il titolo su un PC di fascia alta, ma di questi tempi non è scontato che ad un hardware di livello corrispondano prestazioni adeguate). Visivamente poi, il titolo colpisce sia per la qualità dei dettagli che per la pulizia delle texture. Certo, non si grida al miracolo, e si notano le numerose riproposizioni di oggetti e ambienti, che hanno sicuramente facilitato gli sviluppatori nel riempire il mondo di gioco senza appesantire il tutto. Le animazioni scorrono fluide e dotate di buona originalità (anche se, lo devo dire, i primi trailer di gioco non corrispondono a realtà). I dungeon rimangono a mio parere più ispirati del mondo esterno, nonostante quest’ultimo sembri più di impatto: purtroppo però si nota che i primi abbiano molto più da raccontare del secondo, anche grazie a una struttura e un design delle mappe più ragionato. Nel complesso insomma abbiamo un gioco visivamente appagante, dettagliato e per nulla grezzo come si poteva pensare qualche mese fa.
La vera chicca, però, arriva nel finale della recensione ed è data dalle musiche e dal lavoro sul sonoro fatto in Atomic Heart. Per quanto mi riguarda, il titolo rappresenta una delle migliori produzioni per quanto concerne il comparto audio degli ultimi tempi. Colonna sonora che inframezza il lirismo dei grandi temi della musica classica, passando per il folklore della balalaika, arrivando con naturalezza ai tappeti di sintetizzatori utilizzati per sottolineare i momenti di tensione precedenti allo scontro. A questo si aggiunge un ottimo lavoro di doppiaggio italiano (forse con una traduzione non sempre perfetta, ma questa è più una mia impressione scaturita da alcune frasi poco “armoniose”), un bellissimo doppiaggio in russo e un doppiaggio inglese anch’esso gradevole ma meno indicato (sinceramente, sentire i personaggi parlare come in Peaky Blinders rovina la magia del gioco.
Voto Recensione di Atomic Heart - PC
Voto Finale
Il Verdetto di Tom's Hardware
Pro
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- P-3 e Charles sono un gran bel duo
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- Ambientazione densa di elementi
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- Musiche eccellenti
Contro
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- Trama già vista
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- Gameplay non sempre all'altezza delle aspettative
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- C'è poco soviet in questa URSS
Commento
Atomic Heart è un bel gioco. Non è il miracolo che ci si aspettava nel 2017, quando le prime immagini dell'ucronia di Mundfish giravano il mondo, promettendo un'interazione che è molto lontana, oggi, dalla verità. Il titolo però è solido, con una trama coinvolgente (ma già vista), un'ambientazione densa (che poteva dare di più) e un combat system rodato. Nel complesso Atomic Heart non rivoluzionerà il genere degli action RPG, ma sono convinto che si inserirà di prepotenza nella lista dei "must have" di tutti gli appassionati. D'altronde, non è sempre obbligatorio cambiare il mondo, ma l'importante è che ci sia qualità, e questa non manca in Atomic Heart.