Astro Bot: Rescue Mission
Da quando il videogioco moderno è approdato sulle sponde delle tre dimensioni è passato davvero tanto tempo. Per il medium videoludico si trattò di un'innovazione pazzesca, un momento in cui i canoni del game design si aprirono a nuovi modi di concepire quella ricerca di divertimento e unicità che, oggi come ieri, soggiacciono al successo di un titolo. L'entusiasmo generazionale dei videogiochi anni '90 si condensò, così, attorno al genere platform, la via più naturale attraverso cui fiorirono le infinite possibilità che il 3D aveva portato al mondo videoludico: dai grandi classici di Nintendo agli iconici brand nati per i CD-Rom Playstation, il panorama platform ci ha fatto vivere momenti fantastici.
Negli anni, poi, le meccaniche tradizionali di questa categoria vennero assorbite con prepotenza (anche) dal genere degli sparatutto, dando vita a quel filone di titoli action-adventure che, nelle loro diverse declinazioni, hanno traghettato alcuni dei migliori successi delle ultime tre generazioni. Tralasciando il sempreverde apporto dato dalla grande N al genere platform tradizionale, solo recentemente questi ultimi hanno cominciato a tornare al centro dell'attenzione, con il ritorno in questa generazione di personaggi come Crash e Spyro via remastered che la dice lunga a riguardo.
Conscia di questo e continuando a puntare sulla crescita della sua realtà virtuale, Sony tira ora fuori dal cilindro delle su IP un nuovo titolo esclusivo per Playstation VR, ASTRO BOT Rescue Mission, un platform che si rifà alle meccaniche delle origini coniugandosi con il nuovo orizzonte dettato dalla realtà virtuale. Dopo aver accompagnato ASTRO BOT nella sua avventura siamo pronti a tirare le fila sul titolo sviluppato dai ragazzi di Japan Studio, ecco la nostra recensione.
Eroe spaziale
I personaggi di ASTRO BOT Rescue Mission li conosciamo già da qualche anno, da ben prima che SIE e Japan Studio ne rivelassero lo sviluppo qualche mese fa: i protagonisti di questo platform VR sono, infatti, nientemeno che i robottini di The Playroom, l'applicazione in realtà aumentata che ha accompagnato il lancio di Playstation 4 e Ps Camera nel 2013. Con l'arrivo sugli scaffali di PS VR due anni fa, i piccoletti tornarono sulla scena, questa volta con una piccola raccolta di mini-giochi dedicati alla realtà virtuale.
Oggi i simpatici robottini di casa Playstation tornano in un nuovo titolo VR, un platform dalle meccaniche semplici ma ben congegnate: dopo una triste disavventura con un bullo alieno tanto viscido quanto prepotente, Asobi, la nave spaziale dei nostri robottini, viene gravemente danneggiata, perdendo alla deriva nello spazio cinque componenti fondamentali e tutto il numeroso equipaggio che la popolava. L'unico membro riuscito a scampare il disastro, Capitan Astro, diventa così l'intrepido eroe che guideremo nella "Rescue Mission" che sottende il titolo del gioco.
Alla ricerca dei suoi compagni dispersi e dei cinque pezzi dell'astronave, ci troviamo dunque ad accompagnare Capitan Astro fra cinque diversi mondi, ognuno di essi suddiviso fra quattro stage. Affrontando piccole creature ostili, esplorando l'ambiente saltando fra angoli e piattaforme, in ogni livello il nostro obbiettivo è arrivare alla fine ritrovando più robottini possibile degli otto nascosti in ciascuno di essi. Ogni stage nasconde inoltre un camaleonte che, se individuato, sblocca una sfida bonus separata; se viene completata con i requisiti richiesti, permette di recuperare altri due robottini della nostra ciurma spaziale.
Completati i quattro livelli di ogni mondo possiamo cimentarci con il suo boss finale, a patto di aver ritrovato un numero sufficiente di compagni per sbloccarne lo scontro. Questi, in tutti i mondi, sono contro esseri di grandi dimensioni con caratteristiche particolari, che non brillano per strutturazione o difficoltà ma che, senza dubbio, riescono nell'intento di strapparci un sorriso genuino. Ogni boss sconfitto ci permette di sbloccare una nuova sfida e di recuperare uno dei pezzi perduti della nave, sbloccando il mondo successivo con cui darsi da fare.
Questioni di prospettiva
In ogni situazione, la prospettiva con cui ci muoviamo è quella di robot di grandi dimensioni di supporto ad a Capitan Astro che ne segue i movimenti, un punto di vista alto e ampio che ci consente di osservare i movimenti del piccolo eroe da angolazioni diverse in base a come si sviluppa lo stage in fronte noi: ci troveremo a vederlo correre davanti a noi ma anche ad arrampicarsi su pareti e oggetti che ci girano intorno, portandoci in modo naturale e muovere il capo per seguirne i movimenti anche quando sembra che lo stiamo perdendo di vista: fra salti con il jetpack e piccole interazioni con l'ambiente, le situazioni in cui troviamo immersi sono decisamente semplici, quasi semplificate nella loro struttura ma, nonostante ciò, riescono sempre ad essere piacevoli e appaganti.
A volte ci è capitato non riuscire a seguire il piccoletto a causa della prospettiva, soprattutto quando si è reso necessario fargli fare qualche passo indietro sul percorso, ma non si è trattato di situazioni inficianti rispetto al resto dell'esperienza. Le interazioni dirette che abbiamo noi con l'ambiente aggiungono un pizzico di diversità al gameplay, inducendoci a sfondare muri o colonne usando la nostra testa e, soprattutto, aggiungendo dei gadget specifici al nostro controller per dar manforte a Capitan Astro in alcuni frangenti: proseguendo nei livelli capita di trovare alcune componenti fra cui una sorta di verricello, un cannone ad acqua e altri ancora che ci consentono di creare ponti, sbloccare porte o aprire passaggi usando il touchpad del Dualschock 4 mentre continuiamo a controllare il nostro Astro BOT.
Alla fine, ASTRO BOT Rescue Mission offre dalle quattro alle sei ore circa di contenuti, portandoci ad attraversare bellissimi scenari sospesi in cielo, caverne e antri sotterranei, boschi e paesaggi sottomarini sempre curati e ricchi di dettagli: nella sua linearità generale, il titolo di Japan Studio sembra non perdere mai di vista il presupposto giocoso e fantasioso che tanto aveva caratterizzato il genere platform nella sua età dell'oro, riuscendo confezionare un'esperienza divertente e riuscita, a dispetto della ridotta longevità.
Grazie a una colonna sonare piacevole, a un dettaglio visivo elevato e a una pulizia dell'immagine sempre ricercata, ogni scenario mostra una resa tecnica eccellente e ben definita anche nelle proporzioni degli elementi a schermo, con l'uso di colori caldi e tratti tondeggianti a dare vivacità a un design artistico ispirato e giustamente cartoonesco; il fattore chinetosi, come sempre, resta un'incognita estremamente soggettiva ma possiamo dire che il punto di vista "sopra" il movimento del protagonista evita quasi del tutto l'insorgere del fenomeno.