Nel nuovo appuntamento della nostra rubrica incentrata sui videogiochi del passato, vogliamo parlarvi di un titolo a tratti controverso, che ha avuto un impatto non indifferente nel panorama videoludico e che, a distanza di otto anni, riesce ancora a dire la sua. Ci riferiamo a Heavy Rain, terza opera di David Cage e della sua Quantic Dream, uscita in esclusiva PlayStation 3 nel 2010. Dovessimo farvi venire l'acquolina in bocca, sappiate che il titolo è disponibile tra i giochi gratuiti di luglio, tramite l'abbonamento a PlayStation Plus. Fatta questa precisione, non fatevi scoraggiare dal torrido caldo di queste giornate estive, e armatevi di ombrello: inizia la nostra caccia al killer dell'origami.
Una pioggia che sa di morte
Una cittadina anonima di Philadelphia è stata sconvolta da una serie di omicidi. Nel corso di due anni la polizia ha ritrovato otto cadaveri di bambini, ogni volta nella stessa impostazione iconografica: volto ricoperto di fango, un'orchidea sul petto, e un origami chiuso nella mano. Così si identifica l'operato del killer. Tra le vittime rischia di esserci anche Shaun Mars, bambino scomparso davanti agli occhi del padre Ethan, mentre giocano al parco. L'evento fa da elemento catalizzatore per le vicende dei quattro protagonisti: il già citato Ethan Mars, la giornalista Madison Paige, l'investigatore privato Scott Shelby, e l'agente dell'FBI Norman Jayden. Attraverso i loro sguardi, le loro mani, le loro voci, viviamo un thriller psicologico, ambientato lungo un arco narrativo di 72 ore, fortemente basato sul pathos e sulla tensione.
Quattro differenti punti di vista per indagare e scoprire la verità, il tutto senza il ricorso diretto all'azione, perché la giocabilità di Heavy Rain si fonda sulle nostre scelte e sui Quick Time Events (QTE). Le meccaniche sono infatti riprese da Fahrenheit, titolo di Quantic Dream del 2005, ma in questo caso sono perfezionate: gameplay e trama sono strettamente connessi, in quanto il nostro coinvolgimento deriva dalla capacità del titolo di buttarci, quasi letteralmente, dentro la storia, e dalla possibilità di influenzarla pesantemente. In questo senso, il ricorso ai QTE serve a trasmettere le sensazioni di disagio, paura, rabbia, adrenalina, provate dai nostri protagonisti, senza spezzare il ritmo della narrazione. Ogni azione, anche la più insulsa come bere il succo d'arancia dalla bottiglia, è funzionale per la nostra immedesimazione, e per conoscere i personaggi in tutte le loro sfaccettature, anche le più quotidiane.
Pure il comparto tecnico gioca un ruolo fondamentale per la nostra immersione. La pioggia, vero simbolo del gioco, tinge di colori scuri, lugubri, pesanti, i luoghi che andiamo a visitare, o le persone con cui andiamo a interagire, creando un'atmosfera tetra, quasi opprimente, che rispecchia lo stato d'animo dei nostri quattro personaggi. Certo, sono pur sempre passati otto anni da quando è uscito, ma all'epoca Heavy Rain, con il suo dettaglio grafico in grado di rendere nitida la ricrescita della barba o la particolare luce degli occhi, è stata una vera rivoluzione, da spacca-mascella. Musicalmente poi, i brani del compianto Normand Corbeil, morto nel 2013, non fanno altro che enfatizzare la malinconia che impregna il titolo.
Sapere andare oltre
Forse proprio perché il nostro coinvolgimento è così elevato, alla fine restiamo con l'amaro in bocca nello scoprire i diversi buchi narrativi che punteggiano la storia di Heavy Rain. In effetti un gioco basato prettamente su una trama thriller non può presentare errori grossolani come incongruenze e informazioni errate. Inoltre, al giorno d'oggi, le avventure dinamiche sono ormai pane quotidiano per molti giocatori, grazie al successo di titoli come Life is Strange o dei giochi Telltale, entrambi basati sugli stravolgimenti della trama per mezzo delle nostre decisioni. Eppure, contestualizzando quanto è stato detto sinora, sarebbe ingiusto togliere meriti a Heavy Rain, che otto anni fa ha avuto il coraggio di scardinare le regole portanti del videogioco e di proporre un nuovo tipo di esperienza, in grado di rendere David Cage una delle personalità più discusse del panorama videoludico.
La parole d'ordine dell'autore francese è quella di creare una storia che spinga noi giocatori ad andare avanti nel gioco e compiere azioni fuori dall'ordinario, il che può tradursi ad uccidere qualcuno, a guidare in autostrada contromano, o a fare a pugni. Ciò è evidente in Heavy Rain, che può essere considerato il vero apripista delle produzioni Quantic Dream. Rigiocarlo ancora, dopo il meritevole Detroit: Become Human, rende chiaro il percorso svolto dalla software house francese e dal suo fondatore nel corso degli anni. Un percorso che è diventato un marchio di fabbrica, ben definito, tra l'offerta videoludica di Sony.
Questo stile caratteristico, quasi ibrido poiché prende tanto dal cinema, potrà piacervi o meno, ma è indubbia la singolarità delle opere di David Cage, riconoscibili sin da subito per il loro stile e le loro caratteristiche. Heavy Rain è un titolo che, nonostante tutto, merita di essere giocato per vivere una storia a 360 gradi, per comprendere la crescita e la maturazione narrativa che il videogioco ha conquistato nel corso degli anni, e per avere un'esperienza diversa nel vasto mare videoludico, spesso ritenuto piatto a causa dell'omologazione dettata dai ritmi spietati di mercato. Nel caso aveste già provato tutto ciò otto anni fa, o in occasione della remaster del 2016 per PlayStation 4, sappiate che ripeterlo oggi sarà comunque un piacevole tuffo tra le onde del passato e delle emozioni.
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