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Recensione

Alaloth: Champions of the four Kingdoms | Recensione - Una piccola perla GDR che non ti aspetti

Dopo un denso periodo di Early Access, Alaloth: Champions of the four Kingdoms è stato rilasciato nella sua versione definitiva.

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a cura di Lorenzo Quadrini

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Dopo un denso periodo di Early Access, Alaloth: Champions of the four Kingdoms è stato rilasciato nella sua versione definitiva. Si tratta, per chi non lo sapesse, dell’ultima opera di Gamera Interactive, software house italiana già creatrice tra i vari titoli di Unit 4.

Premetto subito che siamo di fronte ad un gioco solido, con poche sbavature (ed anche pochi fronzoli) e con un’idea di intrattenimento certamente vecchia scuola (che potrebbe anche ricordarvi il buon vecchio Moonstone per Amiga). Ritengo che il punto centrale di tutta la produzione, al netto degli altri aspetti validi che vi andrò a spiegare, è quello della nostalgia. In altri termini, Alaloth è un grande tributo ad alcuni dei GDR del passato, pur con alcune sostanziali differenze sia in termini di usabilità che di esperienza.

Un GDR votato all'azione

Prima di espandere alcuni concetti specifici, ritengo utile stabilire subito, almeno per quanto mi riguarda, cosa è Alaloth. Sul titolo infatti si sono spese numerose etichette (GDR, action, souls-like, dungeon crawl) e sebbene le etichette siano notoriamente uno strumento limitato, comunque possono aiutare il lettore a contestualizzare meglio. Siamo di fronte ad un GDR hack and slash, che implementa evidenti elementi “esterni”, come appunto l’approccio souls-like del combattimento e del respawn nonché una sostanziale limitazione delle aree di combattimento in stile dungeon crawler. Rimane comunque, e ci tornerò dopo, un GDR hack and slash.

La trama di Alaloth: Champions of the Four Kingdoms rappresenta un evidente sforzo per gli sviluppatori, vista la mole impressionante di testo, personaggi e luoghi presenti all’interno del gioco. Cercando di riassumere al meglio, il mondo di gioco è suddiviso in quattro regni (e questo si poteva capire dal titolo) squassati dall’arrivo in terra del demone Alaloth. Alaloth ha sconfitto il pantheon di divinità di Plamen (il continente in cui è ambientato il videogioco) ed ha imposto la sua presenza fisica nel bel mezzo dei quattro Regni, ora appunto cinque. La venuta di Alaloth ha chiaramente gettato scompiglio tra le nazioni, che dopo 300 anni di dominio hanno deciso di rovesciare il demone, eleggendo ognuna un Campione, con l’obiettivo dichiarato di eliminare la presenza malefica una volta per tutte.

Alaloth è denso di informazioni

Al netto della necessaria brevitas che ho dovuto adoperare per riassumere la, ripeto, enorme massa di informazioni che il videogame fornisce durante una run, posso dire che Alaloth: Champions of the Four Kingdoms si impegna tantissimo per offrire una narrazione interessante e coinvolgente, riuscendoci solo in parte. La cura nel dettaglio c’è, così come è presente una varietà notevole di caratterizzazione - ogni nazione ha decine di casate, decine di punti di interesse, personaggi di “lore”, ramificazioni storiche, eventi memorabili, e via discorrendo. Tutti questi contenuti sono inoltre ben contestualizzati e tutto sommato godibili, sebbene manchino di una certa freschezza (non credo si possa dire che la sinossi del prodotto sia un qualcosa di mai sentito prima). Il vero problema della trama di Alaloth rimane però la mancanza di un forte elemento di narrazione emergente, ossia di quella necessaria compenetrazione tra quanto giocato e quanto poi effettivamente emerso nel racconto dei vari PNG e via discorrendo. Non che sia necessaria una vera reattività in termini di gameplay, è chiaro che molti titoli simili approcciano il racconto attraverso stratagemmi o script che possono creare l’illusione che ad ogni azione corrisponda poi un riverbero nel mondo di gioco.

In Alaloth questo elemento funziona poco o comunque non sempre. Il personaggio può scegliere un allineamento, che però rimane cristallizzato nella run e che, assieme alla razza e alla divinità, influisce sia sui bonus finali del PG, sia sulle linee di quest a disposizione, ma non realmente sulla percezione etica o morale di quanto deciso durante l’esperienza. Posso confermare che il numero di quest è davvero enorme e che effettivamente la disposizione dei diversi elementi sopra riportati comporta quest line diverse, ma rimane un approccio a compartimenti stagni, che non riesce a creare la sinergia voluta.

Tra combattimento ed esplorazione

Il pezzo forte della produzione, che forse paradossalmente contribuisce ad oscurare il lato narrativo, rimane quindi il combattimento l’esplorazione della mappa. In questo Alaloth dà il meglio di sé, facendo emergere quell’anima hack and slash di cui sopra e riportando sensazioni molto simili a quelle del magnifico Diablo II. Sensazioni che non scimmiottano, ma che al contrario celebrano uno stile di gioco duro, a volte legnoso, ma allo stesso tempo competitivo e di grande impatto. Fulcro dell’esperienza è dato dal sistema di dungeon, disseminati all’interno della mappa ed obiettivo del nostro Campione.

Alaloth propone dungeon con difficoltà crescente e sempre rigiocabili, all’interno dei quali è possibile trovare i frammenti necessari per poter accedere al Regno del Demone omonimo. Esplorare i dungeon non è un’attività troppo cervellotica (il level design è più che sufficiente ma non rappresenta il core dello sviluppo), ma combattere al contrario è complesso e molto soddisfacente. Il prodotto offre centinaia di armi, equipaggiamenti, pozioni ed ogni altro ben di Dio che possa servire ad un avventuriero, oltreché un sistema di crafting semplice ma efficacissimo. Combat system ed esplorazione della mappa rappresentano il cuore pulsante del videogame e non posso che consigliare ai fruitori di affrontare la sfida con spirito sereno (e paziente). Qui si può notare inoltre questo approccio “souls” isometrico, che si esprime in uno scontro dinamico e ponderato sia nell’approccio del nemico - grazie ai differenti stili di combattimento, alla schivata ed al parry - sia nella scelta di equip e consumabili.

Molto interessante infine la modalità più competitiva, nel quale il nostro Campione andrà a competere con gli altri eletti dei rispettivi Regni. In questo caso, alla già notevole difficoltà dei dungeon proposti dal videogame, si somma la necessità di stare molto attenti ai Campioni avversari - non sempre specchiatamente sportivi. Una corsa contro il tempo che si riverbera positivamente anche nell’utilizzo della mappa-esplorazione.

Pulito tecnicamente

Alaloth: Champions of the Four Kingdoms svolge un buon lavoro anche tecnicamente, grazie ad un approccio old school che riprende i grandi classici (come non menzionare Baldur’s Gate 2). Alla relativa semplicità delle texture si accompagna una cura notevole degli ambienti e del design dei diversi dungeon, delle città, dei punti di interesse. Ottime anche le animazioni, che creano uno stimolante effetto straniante tra l’approccio retrò dei personaggi e la fluida modernità degli effetti relativi al combat ed alle magie.

Il punto più alto, però, sono le musiche. Ho apprezzato moltissimo l’approccio diversificato dei diversi brani dedicati agli encounter e alle zone di esplorazione, notando un sincero omaggio alla celebre linea di chitarra elettrica di Diablo 2.

In chiusura un altro pollice alzato per una cosa che mi sta molto a cuore: Alaloth: Champions of the Four Kingdoms è perfettamente compatibile con Steam Deck - e gira molto bene sulla console portatile di casa Valve.

Voto Recensione di Alaloth: Champions of the four Kingdoms


7.5

Voto Finale

Il Verdetto di Tom's Hardware

Pro

  • Ottimo sistema di esplorazione su mappa

  • Sistema di combattimento stratificato

  • Bell’atmosfera retrò

Contro

  • Elementi ruolistici abbondanti ma poco efficaci

  • I dungeon potevano dare qualcosa di più lato esplorazione

  • Telecamera non sempre perfetta

Commento

Alaloth: Champions of the Four Kingdoms è un titolo che si impegna molto per offrire un’esperienza a tutto tondo. Come già detto nel corpo della recensione, non credo che Alaloth possa o voglia essere messo a paragone con i GDR più spiccatamente ruolistici, nei quali quindi la narrazione non è solo racconto ma è anche obiettivo di gameplay. Al contrario, quello dove Alaloth riesce meglio e con profitto è nel proporre un’esperienza più votata all’action, all’esplorazione e alla gestione degli incontri, pur sempre all’interno di un contesto fortemente descrittivo. Se ci mettiamo un comparto tecnico di tutto rispetto ed un risultato finale molto pulito in termini di UX, il giudizio finale è positivo. Il consiglio per il futuro forse è solo quello di puntare prima e subito su certi elementi di forza (dungeon più intricati, maggiore attenzione al combat dei compagni, per esempio) a discapito di quegli aspetti ludonarrativi che, nonostante l’impegno profuso, non riescono ad emergere al meglio. 
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