Infangava Xiaomi online, condannato a scusarsi e pagare €20.000 di danni

Ha confessato: diffuse fake news sulla proprietà di Xiaomi, fomentati conflitti con altre aziende, causati danni reputazionali ed economici.

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a cura di Luca Zaninello

Managing Editor

Un individuo che diffondeva false informazioni su Xiaomi ha pubblicamente ammesso le proprie colpe e si è scusato con l'azienda cinese e il suo fondatore Lei Jun. La persona, conosciuta online come "DeepSea142183002", ha riconosciuto di aver fabbricato storie sulla proprietà straniera di Xiaomi e di aver cercato di fomentare conflitti con altre aziende cinesi.

L'ammissione di colpa rappresenta una vittoria significativa per Xiaomi nella sua battaglia contro la disinformazione online. L'azienda aveva precedentemente intrapreso azioni legali in casi simili, dimostrando il suo impegno nel contrastare la diffusione di notizie false che possono danneggiare la sua reputazione e causare perdite economiche.

L'individuo ha riconosciuto che le sue voci avevano danneggiato significativamente l'immagine aziendale di Xiaomi e ne avevano peggiorato la reputazione. Ha espresso sentimenti di profonda colpa e rammarico per le sue azioni, riconoscendo le conseguenze negative che aveva causato. La persona ha trasmesso le sue sincere scuse a Xiaomi e ha dichiarato di aver fornito un risarcimento finanziario (150.000 yuan, circa 20.000 euro) per far fronte alle perdite subite dall'azienda.

L'incidente ha suscitato reazioni contrastanti tra gli utenti online.

L'episodio ha riacceso il dibattito sulla necessità di contrastare efficacemente la diffusione di notizie false sui social media e sulle piattaforme online. Cresce la richiesta pubblica di conseguenze più severe per chi diffonde deliberatamente disinformazione, data la gravità dei danni che può causare sia a individui che ad aziende.

Il caso Xiaomi evidenzia come le grandi aziende tecnologiche stiano diventando sempre più proattive nel difendere la propria reputazione dalle false informazioni online. Allo stesso tempo, solleva interrogativi su come bilanciare la libertà di espressione con la necessità di proteggere individui e organizzazioni da accuse infondate potenzialmente dannose.

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