Huawei non è più un nome che ha bisogno di presentazioni. Seconda al mondo per profitti nel settore degli smartphone (complice, è vero, il disastro Samsung con il Note 7), produce alcuni dei dispositivi più interessanti del momento: Huawei P9, Mate 9 e Mate 9 Pro.
Non tutti,però, sanno che l'azienda cinese è una potenza anche sul piano delle infrastrutture: buona parte degli apparati in casa dei gestori telefonici che fanno funzionare la telefonia mobile 3G/4G è prodotta proprio da loro.
Ma com'è strutturata un'azienda cinese di successo? Come si coniugano le difficoltà imposte da un regime chiuso e protezionista con le necessità di un'azienda super tecnologica? Andiamo a scoprirlo...
Il campus nel cuore industriale della Cina
La prima tappa del viaggio è stata Shenzen, cuore pulsante della produttività cinese e che nel suo circondario ospita innumerevoli fabbriche. Nel 1978, anno in cui è stata scelta come futuro centro strategico per l'industria hi-tech cinese, questa cittadina contava 20mila abitanti circa, che sono diventati più di 10 milioni e mezzo in meno di 30 anni.
Qui Huawei ha un enorme campus che ospita diverse divisioni di ricerca e sviluppo attivi sia in ambito professionale sia in ambito consumer. Una visita allo showroom ci mostra come le tecnologie di Huawei vengano usate in patria in ambiti molto diversi da quelli ai quali siamo abituati: dal controllo delle linee ferroviarie alla videosorveglianza automatica, passando per domotica e gestione avanzata dei video.
La sezione dedicata al 5G è particolarmente ricca dal momento che si tratta della tecnologia più importante in sviluppo per il prossimo futuro. Abbiamo visto antenne di tutti i tipi e di tutte le forme che andranno a coprire le esigenze sempre più complesse della nostra connettività mobile.
"La densità delle antenne sarà maggiore" - ci spiega l'ingegnere che guida il tour al lab - "perché la capacità di penetrazione delle frequenze dedicate al 5G è minore rispetto a quella in uso per le altre tecnologie". Questo implica anche che sarà necessario pensare a molti modi nuovi per piazzare le apparecchiature a cui i nostri cellulari si collegheranno.
"Abbiamo antenne da applicare ai lampioni" - continua - "altre, molto piccole e poco invadenti, da piazzare sui muri esterni dei palazzi per coprire le tante zone in ombra che si verranno a creare e altre con una organizzazione simile a quella di un alveare: molte antenne satellite faranno riferimento a un'antenna centrale per permettere una migliore gestione della banda a disposizione".
Il loro know-how per quello che riguarda le apparecchiature infrastrutturali torna molto utile quando poi si passa alla creazione degli smartphone.
"Huawei" - ci dice Wan Biao, presidente delle divisioni MBB & Home Device - "ha un grande vantaggio rispetto a tutti gli altri produttori quando si tratta di progettare uno smartphone: noi sviluppiamo sia le antenne per gli operatori, sia i chipset che integrano la connettività per gli smartphone. Questo ci permette di testare a lungo gli apparati e finiamo per conoscerli così bene da poterli regolare in modo che funzionino perfettamente tra di loro, garantendo le prestazioni migliori nei vari scenari possibili".
"Le antenne per gli operatori" - continua - "e i chipset per gli smartphone vengono sviluppati contemporaneamente e da team che lavorano su entrambe le tecnologie perché per testare le infrastrutture in sviluppo ci servono i chipset da connettere. Possiamo quindi dire che i nostri prodotti sono testati a fondo dal primo momento in cui iniziamo a lavorare su di una tecnologia di trasmissione dati e adesso siamo anche pronti a vendere i nostri chipset agli altri produttori".
Ma ovviamente lo sviluppo di un nuovo telefono non si ferma alla creazione del chipset di comunicazione. Sim Wang, Vice President della serie P e Mate (un nome, un destino, verrebbe da pensare), ci svela alcuni passaggi del processo di progettazione.
"Iniziamo a lavorare su di uno smartphone" - inizia Wang - "circa 15 mesi prima della data prevista per il lancio e una parte consistente del lavoro viene fatto addirittura prima, per capire cosa vorranno i consumatori quando lo smartphone finalmente arriverà sul mercato".
"Ogni nostro telefono" - continua Wang - "ha una caratteristica principale, sulla quale ci concentriamo per portare innovazione e massime prestazioni. Per il P9, per esempio, il focus principale era sulla fotocamera e abbiamo stipulato l'accordo con Leica per avere una resa eccezionale".
"Ai nostri telefoni" - ci confida - "diamo dei nomi in codice che variano a seconda della serie. Per la serie P abbiamo usato nomi di città (il P9 era Manhattan), mentre per Honor usiamo dei nomi di frutti".
Alla domanda su cosa vedremo prossimamente negli smartphone e come considera la mossa di togliere il jack delle cuffie da parte di un loro concorrente (che abbiamo evitato accuratamente di nominare per questioni di etichetta), Wang risponde: "E' sempre complicato scegliere cosa mettere in uno smartphone e le nuove tecnologie devono essere adottate solo se servono davvero. Qualsiasi piccolezza venga inserita in uno smartphone ha un costo in termini di dimensioni, peso e durata della batteria. Ovviamente noi guardiamo a cosa fa la concorrenza, ma fino a un certo punto: iniziamo a lavorare i nostri prodotti 15 mesi prima che vengano messi in commercio, se anche vediamo qualcosa che ci piace nel prodotto di un concorrente è ormai troppo tardi per modificare i nostri piani".
Ecco, quindi, uno dei motivi che ha contribuito in maniera più evidente al successo di Huawei: hanno smesso di copiare e basta. Adesso la tecnologia la sviluppano e nello scorso anno hanno depositato qualcosa come 4000 brevetti, piazzandosi in cima alla classifica delle compagnie più innovative.
Dal 10 al 15% dei ricavi annui vengono reinvestiti in Ricerca e Sviluppo, attraverso sedici laboratori distribuiti in tutto il mondo e aprendone di nuovi ogni anno. Inoltre, si investe molto anche sui dipendenti grazie a una serie di strutture pensate per il legarli all'azienda.
La sede di Shenzhen, enorme e dotata di tutto quello che serve agli impiegati per "vivere bene" la propria sede di lavoro (dalle mense ai giardini con laghetto e cigni), è affiancata da una serie di alloggi per gli ingegneri appena assunti che possono contare su ospitalità gratuita che si trasforma in un affitto mitigato dopo i primi tre mesi, permettendo ai neo laureati di pagare circa l'equivalente di circa 1000 euro al mese per appartamenti che nel resto della città vengono affittati al triplo.
I dipendenti hanno a disposizione una clinica dedicata per esami medici e prestazioni di base, con la possibilità di allargare la copertura medica tramite integrazioni a prezzi convenzionati.
Infine, l'università Huawei forma i futuri ingegneri fornendo oltre alla preparazione scolastica anche tutta l'assistenza logistica necessaria, oltre a una serie di ristoranti indiscutibilmente d'alto livello.
Ma non è solo nella struttura e nella gestione del personale che si capisce perché Huawei punta in alto. Quello che ci ha stupito è la mentalità che contraddistingue i dirigenti.
Per Huawei, l'Italia è il secondo mercato mondiale e questo traguardo è stato raggiunto grazie a una struttura che non è comune nelle aziende asiatiche (soprattutto se sbarcate da poco in "terra straniera"): l'80% del management nella sede italiana è italiano.
Gente che conosce il mercato e che prende decisioni con una autonomia che è raro vedere nelle multinazionali. Basti guardare la nuova campagna pubblicitaria chiamata "Prospettiva personale" dedicata al P9, fatta di immagini molto poco convenzionali per un mercato come quello degli smartphone, per capire quanta libertà si possano permettere nel nostro Paese e quanto questa faccia bene al marchio Huawei.
Quei pochi asiatici presenti in Italia come dirigenti sono anche loro persone estremamente interessanti e lo si capisce soprattutto se si confronta quello che accade in Cina con la nostra realtà quotidiana.
Nelle sedi Huawei che abbiamo visitato c'è una gerarchia molto forte ed evidente, che si manifesta anche tramite protocolli rigidi e dettagli che non si vedono altrove.
Negli showroom dell'azienda siamo stati accompagnati da personale addetto di medio livello, con un protocollo molto rilassato e quasi informale, simile a quello che si trova in altre aziende in molte parti del globo.
Quando abbiamo incontrato Sim Wang e Wan Biao, invece, il fatto che i due rivestissero cariche molto elevate è diventato immediatamente evidente.
Gli incontri si sono tenuti in sale riunioni molto belle, con poltrone in pelle, tavoli di legno lucido e delle hostess che ci hanno servito il tè durante le interviste collettive seguendo una procedura rigidissima che prevedeva che venissero serviti tutti gli ospiti prima del vicepresidente.
A seconda dei gusti dell'intervistato, ci hanno fornito in un caso dei biscotti e in un altro della frutta accuratamente sbucciata al coltello (tra la quale spiccava uno spicchio di mandarino perfettamente ripulito).
In entrambi i casi, la persona dell'azienda era al centro dell'attenzione anche da un punto di vista geometrico, con una persona che valutava le domande e interveniva in caso di necessità per "smussare" le spigolature nel linguaggio usato.
Nell'incontro con James Zou, General Manager Consumer Business Group di Huawei Italia e alto dirigente anche in Cina, le cose sono andate in maniera molto diversa.
Sebbene la sala fosse sempre "presidenziale", James Zou ha abbandonato il protocollo rigido per sedersi molto più vicino a noi, tagliando quelle distanze che si sono viste negli altri casi e dimostrando la voglia di adattarsi al contesto occidentale quanto più possibile. Una flessibilità che non si vede spesso.
Durante la chiacchierata con lui sono emersi anche altri temi interessanti e importanti per Huawei, primo su tutti quello della diversificazione delle attività.
La semplice produzione di smartphone non potrà mantenere una profittabilità alta ancora a lungo e per evitare che i margini vengano erosi dalla competizione, serve lanciarsi in attività diverse.
Huawei è già, in realtà, attiva su ambiti diversi con la produzione di impianti di comunicazione per gli operatori telefonici in primo piano, ma ci tiene a tenere ben presente tutti gli sviluppi tecnologici attuali e del prossimo futuro per cogliere le varie opportunità.
Durante le nostre visite abbiamo visto uno showroom dedicato alla smart home, un ambito in cui per il momento Huawei produce solo dei gateway multiprotocollo che possono gestire praticamente tutti gli standard presenti nel settore, ma che viene monitorato attentamente per valutare la possibilità di creare una soluzione integrata a proprio marchio.
La sezione che produce macchine per le aziende è molto sviluppata in Cina e prevede linee di storage di alto livello e di server ad alta capacità di calcolo, oltre che soluzioni di cloud dedicate che hanno nomi sempre molto evocativi.
La linea di prodotti per lo storage si chiama "OceanStore", per richiamare la vastità degli oceani e compararla alla quantità di dati che viene gestita dalle loro macchine, mentre quella di server porta il nome di una montagna locale e simboleggia la solidità del servizio offerto.
Non manca la serie di prodotti desktop con mini pc, thin client e normali desktop aziendali. Mancano, se vogliamo, i notebook, ma Wan Biao ci ha confermato che già da quest'anno potremo vedere delle novità targate Huawei in questo settore, forse con un form factor spostato verso i 2 in 1.
Importante dal punto di vista delle prospettive future è anche l'Innovation Lab di Shangai, un posto dove, a detta di chi ci lavora, passano tutto il loro tempo guardando film di fantascienza per capire quali tecnologie potrebbero diventare realtà e come portarle nel mondo reale con il marchio Huawei.
Ovviamente molta della loro attenzione è attualmente rivolta a realtà aumentata e realtà virtuale, ma non è stato possibile strappargli altri dettagli.
Sicuramente c'è anche chi tiene d'occhio anche lo sviluppo del software, come testimoniano le 4 ragazze che hanno compiuto il viaggio in Cina insieme a noi giornalisti.
Esperte in settori diversi, Elisa Wang (programmatrice con una vocazione da data scientist), Eleana Sana (specialista in ottimizzazione di processi), Laura Parenti (dedicata a interfacce e design) e Marta Signorini (Marketing specialist) hanno partecipato al Beauty Hack di Firenze dove, con una app ideata e creata in meno di 30 ore, hanno vinto il concorso indetto da Huawei per la durata dell'evento.
Il premio era una visita alle sedi cinesi di Huawei, per vedere come funziona una realtà multinazionale e mostrare il loro lavoro a chi, magari, potrebbe sponsorizzarne lo sviluppo finale.
Ma non è tutt'oro quel che luccica.
Nonostante Huawei sia sicuramente una realtà eccellente, bisogna ricordarsi che è calata in uno scenario complesso.
Durante il nostro tour abbiamo visto moltissima tecnologia e voglia di fare, ma anche alcune avvisaglie di difficoltà che potrebbero affacciarsi sul percorso dell'azienda (e in realtà di tutte le aziende cinesi).
Innanzitutto, abbiamo la forte sensazione che i salari stiano crescendo molto rapidamente e che per molti impiegati abbiano già raggiunto cifre importanti. Come potrebbero, altrimenti, dei neo laureati permettersi di pagare sui 1000 euro al mese per un piccolo appartamento che viene concesso a canone agevolato?
E come potrebbero permettersi di pagare almeno 3000 euro al mese di affitto quegli impiegati che non abitano negli alloggi Huawei, se non guadagnano molto di più?
Il basso costo del lavoro ha permesso alla Cina di arrivare dove si trova adesso, diventando il cuore produttivo dell'intero Pianeta. Un aumento dei costi non potrebbe cambiare le cose?
Inoltre, durante questo magnifico viaggio, non abbiamo potuto visitare nessuna fabbrica. Il motivo ufficiale è che al momento c'erano molti cantieri nei siti produttivi e non sarebbe stato sicuro andare a visitarle, ma se non era sicuro per noi, è sicuro per chi ci lavora? In Huawei ci dicono di sì.
Alvin Zhang, Head of Honor Italy che ci ha fatto da guida "locale", ci ha svelato che Huawei sta costruendo delle nuove fabbriche nell'entroterra, lontano da Shenzhen e molto avanzate. Sul perché sia stata scelta una posizione così decentrata, Zhang ha detto che a Shenzhen non c'è più molto spazio e a questo punto valeva la pena scegliere un luogo più adatto (dove forse anche i salari tornano a livelli più bassi, ci viene da pensare).
Fino a due mesi fa, sottolinea Huawei, le fabbriche erano liberamente accessibili a stampa e partner, ma in queste settimane sono state evitate le visite per i molti lavori in corso che avrebbero reso i percorsi guidati delle vere e proprie gimcane. In ogni caso, dall'anno prossimo potremo vedere le nuove strutture.
Saranno fabbriche più efficienti, più sicure e dove le condizioni di lavoro saranno anche migliori di quelle attuali, portando lavoro in una zona al momento sicuramente meno sviluppata della caotica Shenzhen.
Del resto, il miglioramento delle condizioni sociali ed economiche di un territorio passano proprio per operazioni come questa.
In conclusione, da questo viaggio abbiamo visto come Huawei sia una realtà proiettata molto in avanti, forse più del Paese stesso che la ospita. Dinamica e concentrata sulla sua missione di conquista in vari campi tecnologici, ha i mezzi e le strutture per imporsi come una potenza mondiale.
Quello che ci ha impressionati di più è l'attenzione alla ricerca e sviluppo che viene posta in tutti i settori: dal design ai nuovi materiali, senza aver paura di decentralizzare i laboratori e sparpagliarli in tutto il mondo (Italia inclusa) pur di ottenere il meglio a disposizione al momento.
Un approccio come questo riflette appieno il loro motto "make it possible" e di cose ne renderanno possibili molte nel futuro prossimo.