Trump autorizza l'estrazione mineraria dai fondali marini

Trump firma l'ordine per estrarre minerali dai fondali marini: progetto ritenuto utile per la transizione energetica ma criticato per rischi ambientali.

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a cura di Andrea Maiellano

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L'amministrazione Trump ha riacceso il dibattito sull'estrazione mineraria dai fondali oceanici con una mossa che potrebbe ridisegnare gli equilibri delle risorse globali e sollevare importanti questioni di diritto internazionale. Giovedì scorso, con un tratto di penna, il presidente degli Stati Uniti ha dato il via a un ambizioso programma estrattivo sottomarino, puntando a garantire al paese l'accesso a materiali strategici per la transizione energetica. La firma dell'ordine esecutivo rappresenta un'iniziativa destinata a creare tensioni diplomatiche, considerando che prevede operazioni anche in acque internazionali, al di fuori della giurisdizione statunitense.

I fondali marini nascondono ricchezze minerarie di valore inestimabile. Litio, scandio e cobalto sono solo alcuni dei metalli rari che giacciono nelle profondità oceaniche, componenti essenziali per la produzione di batterie, pannelli solari e altre tecnologie verdi. La corsa a queste risorse si sta intensificando a livello globale, con la Norvegia che lo scorso anno ha fatto da apripista, diventando il primo paese al mondo ad autorizzare ufficialmente l'estrazione commerciale dai fondali.

L'iniziativa americana segue questa tendenza, ma lo fa con un approccio unilaterale che bypassa i meccanismi di governance internazionale. Secondo gli esperti di diritto marittimo, questa mossa potrebbe creare un pericoloso precedente, minando l'autorità dell'ISA (Autorità internazionale per i fondali marini), l'organismo delle Nazioni Unite creato proprio per regolamentare queste attività nelle acque internazionali.

La corsa all'oro dei fondali potrebbe trasformarsi in una catastrofe ecologica senza precedenti.

La questione assume contorni particolarmente delicati considerando che gli Stati Uniti, pur avendo firmato la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1994, non l'hanno mai ratificata formalmente. Questo status ambiguo consente all'amministrazione Trump di muoversi in un'area grigia del diritto internazionale, rivendicando il diritto di accesso a risorse che, secondo i principi stabiliti dalla comunità internazionale, dovrebbero essere gestite nell'interesse dell'umanità intera.

Gli ambientalisti hanno risposto con allarme all'ordine esecutivo, evidenziando i rischi ecologici potenzialmente devastanti. Le tecniche di estrazione mineraria sottomarina comportano infatti la distruzione di vasti ecosistemi ancora largamente inesplorati e la perturbazione di habitat che potrebbero ospitare specie sconosciute alla scienza. Gli oceani, già sotto pressione per inquinamento, riscaldamento globale e sovrapesca, potrebbero subire ulteriori danni irreversibili.

D'altro canto, i sostenitori del programma sottolineano l'imperativo strategico di assicurare agli Stati Uniti fonti indipendenti di minerali critici, riducendo la dipendenza da paesi come la Cina che attualmente domina il mercato di molte terre rare. In un contesto di crescente competizione geopolitica, l'accesso sicuro a questi materiali viene presentato come una questione di sicurezza nazionale, oltre che come un'opportunità economica.

La tensione tra esigenze economiche e protezione ambientale si riflette nelle posizioni contrastanti adottate dai diversi attori coinvolti. Mentre alcune aziende tecnologiche vedono nell'estrazione sottomarina una potenziale soluzione alla scarsità di materiali essenziali, numerose compagnie, tra cui giganti come Google e BMW, hanno invece firmato impegni a non utilizzare minerali provenienti dai fondali oceanici fino a quando non saranno disponibili evidenze scientifiche complete sui possibili impatti.

Il dibattito è destinato ad intensificarsi nei prossimi mesi, con la comunità internazionale chiamata a rispondere a questa iniziativa unilaterale americana. La posta in gioco va oltre il controllo delle risorse: riguarda il futuro degli ecosistemi marini profondi, patrimonio comune dell'umanità, e il rispetto delle norme che regolano gli spazi globali condivisi in un'epoca di crescenti nazionalismi e competizione per risorse sempre più scarse.

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