L'IA aggiungerà una sesta fase al lutto: la resurrezione

L'intelligenza artificiale sta aprendo nuove frontiere nel modo in cui affrontiamo la morte e il lutto. Scopriamo cosa sono i deadbot.

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a cura di Andrea Maiellano

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L'intelligenza artificiale sta aprendo nuove frontiere nel modo in cui affrontiamo la morte e il lutto. Secondo un recente rapporto di NPR, alcune aziende stanno sviluppando avatar digitali di persone decedute in grado di conversare e interagire con i familiari in vita.

Una di queste società è la cinese Silicon Intelligence, che sta creando repliche digitali realistiche di parenti scomparsi. Questi "deadbot" (robot dei defunti) possono essere utilizzati per videochiamate dall'aldilà, offrendo una sorta di FaceTime con i morti.

Volete fare una videochiamata con i vostri cari defunti? I deadbot saranno la soluzione per voi.

Per quanto l'idea possa sembrare inquietante, il concetto sta guadagnando popolarità. La qualità di questi cloni digitali dipende dalla quantità di dati disponibili sulla persona deceduta: foto, video, registrazioni vocali e persino post sui social media vengono utilizzati per ricreare la personalità dell'avatar.

Alcuni di questi avatar possono essere connessi a internet per rimanere aggiornati sugli eventi attuali e discuterne. Ciò permetterebbe di effettuare con loro conversazioni sulle notizie di attualità o inerenti alla cerchia di persone collegate ai social network del defunto.

Tuttavia, questa storia sta sollevando parecchie questioni etiche sulla rappresentazione autentica della personalità del defunto, considerando che spesso sui social media non mostriamo il nostro vero io.

L'utilizzo di questi avatar digitali potrebbe interferire con il naturale processo di elaborazione del lutto. Le cinque fasi del dolore (negazione, rabbia, contrattazione, depressione e accettazione), difatti, culminano nell'accettazione della perdita e nel lasciare andare. Con i deadbot, invece, si rischia di non superare mai completamente la morte di una persona cara e di aggiungere una sesta fase basata sulla resurrezione digitale.

Sun Kai, un dirigente di Silicon Intelligence che utilizza regolarmente la versione deadbot di sua madre, descrive la tecnologia come un modo per trascendere la morte: "Non importa se è viva o morta, perché quando penso a lei posso trovarla e parlarle. In un certo senso, è viva. Almeno nella mia percezione, è viva."

Questa affermazione solleva interrogativi sulla natura delle relazioni umane nell'era digitale. Con la crescente diffusione di chatbot AI come ChatGPT e Google Gemini, il confine tra conversazione umana e digitale diventa sempre più sfumato.

Molti ritengono che il test di Turing, che valuta la capacità di una macchina di esibire un comportamento intelligente indistinguibile da quello umano, sia già stato superato.

Anche se i deadbot potrebbero non raggiungere questo livello, la tendenza umana ad antropomorfizzare hardware e software potrebbe portare all'accettazione di queste interazioni digitali post-mortem.

Un aspetto critico di questa tecnologia riguarda la gestione dei dati personali. La creazione di avatar digitali realistici richiede l'accesso a grandi quantità di informazioni private sul defunto.

In un clima di crescente attenzione alla privacy online e di tensioni geopolitiche, l'utilizzo di questi dati da parte di aziende straniere solleva preoccupazioni.

Nonostante ciò, è probabile che vedremo presto l'emergere di servizi simili anche da parte di aziende occidentali. Meta, ad esempio, ha recentemente lanciato strumenti di AI su Instagram che permettono di generare immagini fantastiche basate sui selfie degli utenti.

Non è difficile immaginare un'evoluzione di questa tecnologia verso la creazione di avatar post-mortem su piattaforme come Facebook e WhatsApp.

L'introduzione dei deadbot aggiunge una nuova dimensione al modo in cui affrontiamo la morte e il ricordo. Come disse Peter Pan, "Morire sarà una grandissima avventura". Ma questa nuova tecnologia potrebbe alterare profondamente il nostro rapporto con la morte e il lutto.

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