Postare le foto dei propri figli minorenni su Facebook e altri social: un gesto apparentemente naturale ma che in realtà, come spiegato più volte anche su queste pagine, è carico di rischi per i soggetti coinvolti loro malgrado, spesso solo per soddisfare l'ego del genitore. Ebbene, secondo il Tribunale di Mantova viste le implicazioni, è indispensabile che ci sia l'accordo di entrambi i genitori, altrimenti le immagini andranno rimosse.
La sentenza - storica - è arrivata in merito a una diatriba tra genitori separati. La madre infatti pubblicava le foto dei figli sui social contro il volere del padre, che si è rivolto così al giudice.
In realtà la richiesta del padre era molto più articolata e coinvolgeva anche l'accordo sull'affido condiviso, compresa la residenza a casa della madre dei minori coinvolti. Il giudice invece ha sentenziato senza stravolgere il precedente accordo.
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"L'inserimento di foto di minori sui social network costituisce comportamento potenzialmente pregiudizievole per essi", si legge nel provvedimento, soprattutto a causa della concreta possibilità che le immagini vengano diffuse "fra un numero indeterminato di persone, conosciute e non, le quali possono essere malintenzionate".
Una sentenza inappuntabile, non solo da un punto di vista morale (quanti si preoccupano di utilizzare i filtri che pure diversi social mettono a disposizione invece di lasciare semplicemente le immagini pubbliche?), ma anche giuridico.
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Il giudice infatti, nell'emettere la sentenza, si è rifatto a tutte le leggi e le direttive più avanzate in materia, come l'articolo 10 del Codice civile in merito della tutela dell'immagine, il decreto legislativo 196 del 2013 sulla tutela della riservatezza dei dati personali, la Convenzione di New York sui diritti dell'infanzia e il Regolamento generale sulla protezione dei dati con cui dal 2018 la commissione europea intende rafforzare e rendere più omogenea la protezione dei dati personali dei propri cittadini.
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La sentenza insomma fa riferimento a una sfilza di diritti sui quali invece oggi si interrogano davvero in pochi, genitori e non. C'è infatti una diffusa superficialità nella condivisione della propria vita personale, tra l'altro assolutamente trasversale per ceto e istruzione, che molto probabilmente ha a che fare più con una sorta di analfabetismo informatico che con l'ignoranza tout court. Ora non resta che sperare nell'opera dei legislatori che rendano organiche sentenze di questo tipo all'interno di un quadro normativo ancora eccessivamente lacunoso in materia.