Il caos delle tariffe di Trump: l'indecisione sulla tecnologia importata scuote il mercato e confonde gli investitori. Annunci contraddittori dall'amministrazione sulle esenzioni per smartphone e laptop hanno creato un clima di incertezza senza precedenti nel settore tech, mentre il presidente insiste sulla necessità di riportare la produzione elettronica negli Stati Uniti. La confusione è emersa dopo che la Casa Bianca ha prima annunciato e poi ritrattato un'esenzione per l'elettronica di consumo, generando preoccupazione tra aziende come Apple che dipendono fortemente dalla produzione in Cina.
La situazione è precipitata domenica, quando Donald Trump ha smentito categoricamente su Truth Social l'esistenza di qualsiasi esenzione tariffaria per i prodotti elettronici importati. "NESSUNO sta 'scampandola' rispetto agli squilibri commerciali e alle barriere tariffarie non monetarie che altri paesi hanno usato contro di noi, specialmente la Cina, che ci tratta peggio di tutti!", ha tuonato il presidente. La sua dichiarazione ha ribaltato completamente quanto comunicato appena due giorni prima dall'Agenzia delle Dogane americana, che aveva invece annunciato l'esclusione di smartphone, laptop e altri dispositivi elettronici dal regime di nuovi dazi.
L'apparente contraddizione non si è fermata qui. Il rappresentante per il Commercio USA Jamieson Greer ha tentato di chiarire la situazione durante un'intervista a "Face The Nation" su CBS News, affermando che quella per i semiconduttori "non è davvero un'eccezione", ma piuttosto uno spostamento "da un gruppo di tariffe a un diverso gruppo di potenziali tariffe". Una spiegazione che ha contribuito ad aumentare, anziché ridurre, la confusione generale.
Howard Lutnick, Segretario al Commercio, ha aggiunto un ulteriore strato di complessità sostenendo che qualsiasi esenzione per l'elettronica importata sarebbe stata solo temporanea. Durante un'intervista a "This Week" con Jonathan Karl, Lutnick ha anticipato che i dispositivi elettronici sarebbero stati inclusi nelle tariffe sui semiconduttori "probabilmente entro uno o due mesi", definendo la situazione attuale come una pausa momentanea piuttosto che un'esenzione permanente.
Queste dichiarazioni contrastanti rappresentano l'ultimo episodio di una saga tariffaria iniziata il 2 aprile, giorno che Trump ha battezzato come "Giornata della Liberazione", quando ha annunciato una serie di "tariffe reciproche" contro decine di paesi. Sorprendentemente, pochi giorni dopo ha implementato una pausa di 90 giorni su queste stesse tariffe, mantenendo solo un dazio base del 10% sulla maggior parte dei paesi. La Cina, tuttavia, è stata colpita con tariffe particolarmente severe del 145%.
Nonostante la confusione, la Casa Bianca ha mantenuto la propria retorica sul rafforzamento della produzione nazionale. Secondo una dichiarazione della portavoce Karoline Leavitt, "Il Presidente Trump ha chiarito che l'America non può dipendere dalla Cina per la produzione di tecnologie critiche come semiconduttori, chip, smartphone e laptop. Ecco perché il Presidente ha assicurato trilioni di dollari in investimenti statunitensi dalle più grandi aziende tecnologiche del mondo, tra cui Apple, TSMC e Nvidia". Un'affermazione che contrasta nettamente con l'incertezza che le stesse aziende stanno affrontando riguardo alle future politiche tariffarie.
Per ora, giganti tecnologici come Apple, che produce gran parte dei suoi dispositivi in Cina, rimangono in uno stato di sospensione strategica, incapaci di pianificare con certezza le loro future operazioni produttive e logistiche. La promessa di Trump che gli americani possano aspettarsi "più lavori e meglio pagati, fabbricando prodotti nella nostra nazione" si scontra con la realtà di una politica commerciale che cambia direzione quasi quotidianamente, creando un clima di instabilità economica difficilmente compatibile con investimenti di lungo termine.
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