Strategia anti-fuga: Google paga esperti di IA per non fare nulla

Un numero sempre maggiore di sviluppatori IA si trova intrappolato in clausole di non concorrenza e periodi di preavviso estremamente lunghi.

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a cura di Andrea Maiellano

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Il labirinto contrattuale di Google DeepMind sta creando crescente insofferenza tra i professionisti dell'intelligenza artificiale. Un numero sempre maggiore di sviluppatori IA si trova intrappolato in clausole di non concorrenza e periodi di preavviso estremamente lunghi, che possono confinare un talento nel limbo professionale fino a un anno intero. Una strategia che sembra progettata per immobilizzare competenze preziose piuttosto che valorizzarle, come denunciato recentemente da Nando de Freitas, ex dipendente di Google DeepMind, in un post su X che ha acceso i riflettori su alcune pratiche contrattuali controverse.

La situazione appare particolarmente paradossale: Google preferirebbe pagare stipendi elevati ai propri talenti per non fare nulla, piuttosto che vederli contribuire all'avanzamento dell'IA presso aziende concorrenti. Un approccio che solleva interrogativi non solo etici ma anche strategici, in un campo dove l'innovazione procede a ritmi vertiginosi e dove un anno di inattività forzata può significare un'eternità in termini di evoluzione tecnologica e competitività professionale.

De Freitas, ora Vice Presidente AI presso Microsoft, ha rivelato come ogni settimana riceva messaggi disperati da ex colleghi che cercano vie d'uscita da queste restrizioni contrattuali. "Ogni settimana uno di voi mi contatta disperato chiedendomi come sfuggire ai vostri periodi di preavviso e ai patti di non concorrenza", ha scritto nel suo post, evidenziando una problematica apparentemente sistemica all'interno dell'azienda.

Le manovre contrattuali di Google DeepMind sembrano riflettere la crescente tensione nella corsa all'acquisizione dei migliori talenti nel campo dell'AI. Mentre la Federal Trade Commission ha vietato i patti di non concorrenza in stati come la California lo scorso anno, Google DeepMind, con sede nel Regno Unito, mantiene ancora ampio margine di manovra nell'imporre tali clausole ai propri dipendenti, approfittando di un contesto normativo differente.

La risposta ufficiale dell'azienda, raccolta da Business Insider, non fa che confermare l'approccio strategico: "I nostri contratti di lavoro sono in linea con gli standard di mercato. Data la natura sensibile del nostro lavoro, utilizziamo i patti di non concorrenza in modo selettivo per proteggere i nostri legittimi interessi." Una dichiarazione che, pur giustificando la pratica come necessità di protezione della proprietà intellettuale, non affronta la questione dell'impatto umano e professionale di tali restrizioni.

De Freitas non offre soluzioni miracolose ai colleghi intrappolati, ma propone un consiglio tanto semplice quanto difficile da seguire per chi ha bisogno di uno stipendio regolare: non firmare questi contratti. Un suggerimento che risuona come un monito per i futuri talenti dell'AI, ma che può risultare utopistico per chi si trova davanti all'opportunità di un lavoro ben retribuito e non ha il lusso di poter rifiutare condizioni sfavorevoli.

La competizione per il personale AI qualificato è così intensa che teoricamente i professionisti dovrebbero avere il potere contrattuale per evitare clausole così restrittive. Tuttavia, la realtà mostra come le grandi aziende tecnologiche riescano ancora a imporre quello che lo stesso de Freitas definisce un "abuso di potere", approfittando dell'asimmetria negoziale con i singoli professionisti.

Questo fenomeno solleva degli interrogativi più ampi sull'evoluzione del mercato del lavoro nell'ambito delle tecnologie avanzate, dove le competenze più ricercate diventano anche oggetto delle strategie di contenimento più aggressive. In un settore dove l'innovazione è il motore principale del progresso, immobilizzare i talenti per impedirne la migrazione verso la concorrenza potrebbe rivelarsi una strategia miope che, nel lungo termine, rischia di rallentare l'intero ecosistema dell'intelligenza artificiale.

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