Quando Windows stava su tanti floppy...
Un appuntamento sul "RetroWare" senza una pagina dedicata al Microfloppy da 3 ½ pollici è come una carbonara vegana: semplicemente non può esistere (non me ne vogliano i vegani).
Chiamato in cento modi, amato, odiato, bistrattato, smagnetizzato, piegato, forato, copiato e chi più ne ha, più ne metta: qualsiasi Microfloppy da 3 ½ pollici potrebbe raccontare storie di ordinaria follia, informatica e non, perché quel piccolo quadrato di plastica è stato protagonista della diffusione dell'informatica nelle case e negli uffici durante i primi anni '90.
Oggi siamo abituati a scaricare il sistema operativo da internet, metterlo su una pendrive e installarlo. Chi ha qualche anno in più ricorderà i DVD di Windows e, prima ancora, i CD. I diversamente giovani come me potrebbero addirittura ricordare che Windows 3.x veniva distribuito su 6/8 Microfloppy che venivano inevitabilmente copiati e distribuiti agli amici e proprio questo contribuì a rendere Windows il sistema operativo più diffuso al mondo.
I progenitori del Microfloppy da 3 ½ pollici: 8 e 5 ¼
Continuando con le metafore culinarie, sapete chi è il prezzemolo dell'informatica? Esatto, proprio la International Business Machine Corporation, IBM per gli amici, che alla fine degli anni '60 investì importanti risorse per studiare un nuovo dispositivo di archiviazione di massa che superasse i limiti dei nastri magnetici che erano ingombranti, lenti e non consentivano un accesso casuale.
Dopo analisi e prove, vide la luce il memory disk, un disco magnetico da 8" (circa 20 cm) suddiviso in 256 settori (38 tracce concentriche suddivise in 8 settori ciascuna) che potevano immagazzinare 319 byte ognuno per un totale di 80 KB.
Durante gli anni '70, il floppy disk da 8" divenne lo standard delle memorie di massa esterne anche grazie a successivi affinamenti tecnologici che ne aumentarono la capienza fino a 1MB e oltre. Tuttavia le dimensioni lo rendevano poco adatto all'uso con i primi PC, motivo per cui si iniziò a lavorare su un modello più compatto.
Fra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80 vide la luce la prima memoria di massa a elevata diffusione: il minifloppy disk da 5 ¼ pollici.
Nonostante le dimensioni notevolmente inferiori, il Minifloppy poteva memorizzare fino 98,5 o 110KB che diventarono 113KB e 140KB nell'implementazione scelta da Apple per il computer Apple II. Le differenze di capacità erano dovute non tanto all'aumento del numero di settori (tipicamente otto) o di byte per settore (256) bensì al numero di tracce concentriche.
Verso la metà degli anni '80 il Minifloppy da 5 ¼ pollici aveva più che decuplicato la sua capacità di memorizzazione grazie all'adozione di dischi scrivibili su entrambi i lati e, ovviamente, grazie a tecnologie che consentivano di scrivere più tracce, settori e byte a parità di spazio.
La tendenza alla miniaturizzazione è una costante dell'informatica nemmeno il floppy da 5" ¼ riuscì a sottrarsi a questo destino. Nato per rimpiazzare il disco da 8", proprio quando il suo regno era giunto alla massima espansione fu insidiato e, infine, espugnato dal floppy disk da 3" ½.
Il floppy da 3,5 pollici: dal prototipo Sony allo standard
Floppy, floppy disk, floppy-da-tre-e-mezzo, disco, dischetto e così via. Negli anni gli hanno affibbiato più nomi di quanti io ne possa elencare ma all'anagrafe informatica c'è scritto: MicroFloppy Disk abbreviato in MFD.
Se il MFD avesse un certificato di nascita, nel campo relativo alla maternità ci sarebbe senza dubbio il nome Sony perché fu l'azienda nipponica a sviluppare il primo disco in questo formato. L'adozione da parte di Sony e di altri giganti del settore costrinse l'industria dell'hardware a sedersi ad un tavolo che prese il nome di MicroFloppy Industry Committee. In tempo record questo consorzio si accordò sull'utilizzare il MicroFloppy della Sony quale base per ciò che poi divenne lo standard della memoria di massa più diffusa negli anni '80.
Il successo dei MFD è racchiuso in numerosi fattori che sono stati perfettamente riassunti da Donald Norman, ingegnere e professore del MIT specializzato nello studio dell'ergonomia e del design tanto da essere chiamato alla corte di Apple:
Un semplice esempio di buon design è il disco magnetico da 3½", un piccolo cerchio di materiale magnetico in un involucro di plastica rigida. I precedenti supporti non avevano un contenitore di plastica a protezione del disco magnetico. Una lamina metallica a scorrimento protegge la superficie magnetica quando il dischetto non è usato ma si apre autonomamente quando lo inserite nel computer. Il disco ha una forma quadrata e sembra che ci siano otto modi possibili per inserirlo nel computer ma quello corretto è uno solo. Cosa succede se ci si sbaglia? Provo ad inserirlo di lato. Ah, il progettista ci ha pensato. Una veloce misurazione dimostra che l'involucro non è perfettamente quadrato: è rettangolare quindi è impossibile inserirlo dal lato più lungo. Provo ad inserirlo al contrario. Il disco entra solo in parte. Piccole sporgenze, rientranze e instagli impediscono di inserirlo al contrario: delle otto possibilità, soltanto una permette di inserire il floppy e farlo funzionare. Un design eccellente.
(Donald Norman, Il design delle cose di tutti i giorni)
Sotto il vestito (di plastica)
Sotto il profilo prettamente fisico, le differenze più evidenti rispetto ai dischi da 5¼" erano l'assenza dell'apertura per la lettura/scrittura dei dati, la mancanza del foro centrale e la maggiore rigidità, caratteristica che rendeva il MicroFloppy Disk molto più resistente ma molto meno floppy degli altri (floppy, in inglese, significa flessibile).
La chiusura della finestra e del foro centrale contribuirono a rendere il MFD meno soggetto ad errori dovuti a sporcizia ed il secondo aveva anche il merito di consentire una miglior presa al dispositivo di lettura e, quindi, una maggior velocità di rotazione.
All'interno, invece, le cose erano pressoché identiche. Un disco di materiale magnetico ruotava a (relativamente) alta velocità fra due strati di tessuto che avevano il duplice compito di trattenere lo sporco ed evitare lo sfregamento del disco contro la plastica dell'involucro.
Anche la logica di funzionamento rimase praticamente immutata.
Il disco era suddiviso in tracce o, per dirla con un termine della geometria, in corone circolari concentriche delimitate da un raggio esterno "R" maggiore di quello esterno "r". Se non siete pratici di geometria, vi basta pensare agli anelli presenti nei tronchi degli alberi.
Oltre alle tracce, il disco aveva anche un certo numero di settori circolari che potete immaginare come fette di pizza o di torta. Considerando che, di norma, un disco a bassa densità era suddiviso 80 tracce e 18 settori circolari, si ha un totale di 1.440 settori i cui potevano essere memorizzati 512 byte di dati per un totale di 737.280 byte ovvero 720KB.
Tuttavia, i dischi potevano essere scritti e letti su entrambi i lati con il risultato di raddoppiarne la capacità. In questo caso si parla di MicroFloppy Disk HD (High Density).
Il numero di settori e tracce, tuttavia, non era una costante. Appositi drive o programmi permettevano di formattare i floppy aumentando uno o entrambi questi parametri e, di conseguenza, la capacità totale. Così facendo si potevano ottenere dischi capaci di memorizzare 2MB o Questo, tuttavia, poteva influire negativamente sull'affidabilità che, per la natura di questo tipo di supporti, non era sicuramente al livello degli attuali dispositivi di archiviazione.
Una piccola curiosità riguarda i fori presenti lungo il bordo inferiore. Uno di essi, dotato di una parte mobile in plastica, serviva per attivare e disattivare la protezione dalla scrittura. Un secondo foro, invece, era presente solo sul MFD ad alta densità e serviva per permettere al controller di distinguerli da quelli a bassa densità.
Tuttavia, proprio perché i Floppy Disk HD costavano di più ma non vi erano altre reali differenze, era normale acquistare dischi a bassa densità ed aprire manualmente il secondo foro.
Infine, poiché i fori erano distanziati 80 mm, era possibile usarli per inserire i floppy nei tipici raccoglitori presenti ancora oggi in qualsiasi ufficio.
Il successo e... la fine
Facilità di trasporto, capienza (per l'epoca), leggerezza e standardizzazione spianarono la strada e decretarono il successo del MFD.
Qualunque PC prodotto da metà degli anni '80 a metà degli anni '90 era dotato di un lettore di Floppy Disk da 3,5" che divenne il mezzo preferito per lo scambio di file e programmi, legittimi e non. Nelle case e negli uffici erano normale trovare contenitori in plastica colmi di floppy il cui contenuto spesso era un mistero anche per i proprietari.
Oggi misuriamo lo spazio in TB perché anche i GB iniziano ad andarci stretti, ma nell'Aprile del 1992 Microsoft iniziò la distribuzione di Windows 3.1 e bastavano sei floppy disk da 3,5" per contenere un intero sistema operativo.
Grazie alla nostra macchina del tempo possiamo fare un salto in avanti fino al 1995, l'anno in cui uscì Windows '95. Nonostante i CD-ROM stessero già prendendo il sopravvento, Microsoft lo distribuì anche su floppy disk e ne bastavano 13 (seppure formattati per contenere più degli usuali 1,44MB).
Fa quasi tenerezza pensare che oggi abbiamo in tasca minuscole pendrive capaci di immagazzinare 256GB di dati, spazio più che sufficiente per tenere una copia dei file di installazione di qualunque sistema operativo Microsoft o Apple uscito dal 1990 ad oggi. Anzi probabilmente ci sarebbe spazio anche per buona parte dell'album di famiglia.
Tuttavia, quando la quantità di RAM si misurava in kilobyte e lo spazio degli hard disk in decine o centinaia di Megabyte, 1,44MB erano un mucchio di spazio.
L'evoluzione (e la fine) della specie
Nell'ultimo scorcio del millennio apparvero sul mercato i cosiddetti Super Floppy. Nonostante dimensioni di poco maggiori rispetto al MFD da 3,5", i Super Floppy erano in grado di immagazzinare da molte decine a diverse centinaia di MB.
L'esponente più illustre di questa categoria fu sicuramente lo Zip Drive di Iomega. Grazie ad una capienza iniziale di 100MB, lo Zip Drive divenne popolare in moltissimi uffici. Tuttavia il costo elevato sia del drive sia dei dischi non gli permise di diventare un vero prodotto di massa e questo nonostante la capacità si sia elevata fino a 250MB e 750MB.
Iomega non fu la sola azienda a lanciarsi nel capo dei SuperFloppy. Il consorzio formato da Imation (società del gruppo 3M) e Matsushita (Panasonic) portò sul mercato il LS-120, un drive capace di memorizzare 120MB che presto diventarono 240.
Anche Sony imboccò la strada dei SuperFloppy con il "150MB Sony HiFD" ma alcuni problemi di gioventù lo relegarono ai margini del mercato.
Si trattò di interessanti tentativi per rispondere alla crescente domanda di spazio per lo storage ma nessuno di questi sopravvisse a lungo. Come dicevo all'inizio, eravamo alla fine del millennio ed il tempo era maturo per il Compact Disk Read-Only Memory (CD-ROM)... ma questa è un'altra storia.