Il web è pieno di robaccia e Google ci guadagna

Alcuni siti generati dalle IA, senza controllo umano, guadagnano soldi tramite pubblicità. Google contribuisce al problema mostrando tali siti nei risultati di ricerca e lucrando dalle inserzioni pubblicitarie. Ciò porta a contenuti di bassa qualità, informazioni erronee e spreco di investimenti pubblicitari. Il mercato pubblicitario potrebbe dover tornare a negoziare direttamente con siti affidabili se l'IA rende difficile distinguere tra contenuti generati e umani.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Le IA sono strumenti di lavoro validi, ma c’è chi si sta mostrando un po’ troppo intraprendente. Per esempio chi ha messo online siti con contenuti completamente generati e senza controllo umano; il risultato sono siti di bassissimo livello, ma riescono comunque a fare un po’ di soldi con la pubblicità.

Google è parte del problema: da una parte l'azienda predica continuamente sul tema dei migliori contenuti possibili, ma poi mettono nei risultati di ricerca siti spazzatura. E, allo stesso tempo, fanno profitti dalle inserzioni pubblicitarie su quei siti, perché se anche ci resti per pochi secondi uno o due banner li vedi, quindi poi l’inserzionista deve pagarlo all’intermediario, che poi paga Google.

Si tratta del sistema noto come programmatic advertising che, ironia della sorte, a sua volta è quasi completamente automatizzato. Un sistema che ha fatto nascere il problema delle content farm, e ora sembra che le IA stiano peggiorando le cose.

Chi ci guadagna sono quindi il creatore del sito, che come costi ha giusto l’infrastruttura e l’abbonamento a ChatGPT, e la stessa Google. A farne le spese sono i lettori, che fidandosi di Google cliccano su un sito senza informazioni di qualità, magari completamente false. E ne fanno le spese gli inserzionisti, che stanno pagando per posizionare annunci su siti di bassa qualità, dove il loro denaro va sprecato.

Un panorama complesso, dove il ruolo di Google è cruciale. Il loro motore di ricerca è di gran lunga quello più usato al mondo, e per molti di noi è il punto di partenza quando ci si collega al Web. Pensiamo che sia affidabile, e tendiamo a trasferire questa autorevolezza anche al sito che visitiamo: il pensiero è, più o meno, se questo sito è primo su Google, dev’essere un buon sito.

È anche il pensiero di Google, che negli anni non ha mai smesso di sforzarsi per mettere ai primi posti i siti migliori. Almeno a parole, perché poi in pratica tra i primi risultati spesso si infilano risultati di bassa qualità, come questi siti generati da IA appunto. Il fatto che Google un po’ ci guadagni è un’aggravante piuttosto seria.

Tra le altre conseguenze indesiderate c’è il diffondersi di informazioni erronee o del tutto false, che in alcuni casi stanno alterando il modo di pensare e di ragionare delle persone.

Il rischio più immediato è che il web diventi ancora più pieno di errori e di spam, invaso fino a scoppiare di contenuti generati dalle IA. Si andrebbe creare un mostro insaziabile, pronto a inghiottire miliardi di investimenti pubblicitari. Un’associazione di inserzionisti statunitense stima ogni anno vengono sprecati circa 13 miliardi di dollari a livello globale su questi siti.

Ma ora abbiamo le IA che generano siti di questo genere, e il loro giro d’affari potrebbe aumentare ancora, perché permettono di creare più siti spazzatura con meno sforzo. Ci sono già siti che creano oltre mille contenuti al giorno, con una certa possibilità di ricevere la spinta extra di Google Discover, di tanto in tanto.

Tanto poi se Google ti scopre e ti blocca il sito ne apri altri dieci e siamo punto a capo. NewsGuard, che valuta la qualità dei siti web su Internet, afferma di scoprire circa 25 nuovi siti generati dall'intelligenza artificiale ogni settimana. Ne ha trovati 217 in 13 lingue da quando ha iniziato a monitorare il fenomeno in aprile.

In teoria Google proibisce di mostrare pubblicità del suo sistema su siti generati o “spammosi”, ma il sistema di controllo non funziona molto bene. Questi siti continuano a guadagnare cifre più che discrete, e metterli online non costa praticamente nulla. Google afferma di eseguire controlli rigorosi sulla qualità dei contenuti, ma c’è chiaramente qualcosa che non va. E comunque ci sono altri circuiti di Programmatic Advertising oltre a quelli di Google.

In prospettiva, le cose potrebbero anche peggiorare. Oggi Google riesce a riconoscere e bloccare almeno alcuni contenuti generati, ma con l’evolversi degli algoritmi potrebbe diventare molto più difficile, forse persino impossibile, distinguere tra contenuti generati e contenuti creati da esseri umani.

La risposta potrebbe essere un nuovo cambiamento del mercato pubblicitario: gli inserzionisti sono passati al programmatic perché è più semplice e costa meno, ma se viene meno la garanzia di avere posizioni solo su siti di qualità, potrebbero decidere che è meglio tornare indietro, parlare di nuovo con i singoli siti per comprare spazi. Uno scenario in cui a parlare sarebbero le persone, ma forse anche i bot avrebbero un ruolo da giocare.Immagine di copertina: chayanity

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