Google effettua delle controproposte per evitare lo smembramento

Google si oppone alle misure proposte dal Dipartimento di Giustizia, rifiutando la vendita di Chrome e proponendo delle alternative.

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a cura di Andrea Maiellano

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Google ha presentato una proposta per rimediare alle violazioni antitrust di cui è stata accusata dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti. La proposta, depositata venerdì sera, suggerisce modifiche ai contratti con le aziende di browser e i produttori di dispositivi Android per renderli più flessibili.

La mossa arriva dopo che il giudice Amit Mehta della Corte distrettuale degli Stati Uniti per il Distretto di Columbia ha stabilito ad agosto che Google ha violato la Sezione 2 dello Sherman Act, definendola "un monopolista". Il Dipartimento di Giustizia aveva chiesto a Google di vendere Chrome e di affrontare restrizioni che le impedissero di favorire il proprio motore di ricerca su Android.

I browser potrebbero cambiare il motore di ricerca predefinito ogni 12 mesi.

Nella proposta, Google afferma di non essere d'accordo con la sentenza, ma suggerisce comunque delle soluzioni, fra le quali quella di proporre un cambio di motore di ricerca ogni 12 mesi agli utenti, anche su Chrome.

Secondo Lee-Anne Mulholland, VP of regulatory affairs di Google, la proposta permetterebbe alle aziende di browser come Apple e Mozilla di "continuare a offrire Google Search ai loro utenti e guadagnare da questa partnership", consentendo al contempo "accordi multipli su diverse piattaforme e modalità di navigazione, senza rendere i servizi offerti da Google predominanti".

Inoltre, la proposta darebbe ai produttori di dispositivi "maggiore flessibilità nel preinstallare più motori di ricerca" e nel preinstallare qualsiasi app Google indipendentemente da Search o Chrome.

Google ha annunciato l'intenzione di appellarsi alla decisione del giudice prima di un'udienza prevista ad aprile. L'azienda presenterà una proposta rivista il 7 marzo. Mulholland ha definito la proposta del Dipartimento di Giustizia "eccessiva", sostenendo che riflette un "programma interventista" e "va ben oltre ciò di cui tratta effettivamente la decisione della Corte - i nostri accordi con i partner per la distribuzione della ricerca".

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