EGAIR: alla scoperta dell'ente che sta cercando di regolarizzare le AI in Europa | Intervista a Lorenzo Ceccotti

Con l'arrivo di ChatGPT, le IA cominciano ad impensierire il nostro paese come l'Europa. Ed è qui che entra in gioco il lavoro di EGAIR.

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a cura di Raffaele Giasi

Senior Editor

Sviluppato da OpenAi, azienda fondata nel dicembre 2015 da un gruppo di imprenditori e ricercatori dell'IA, tra cui figuravano anche Elon Musk e Sam Altman, ChatGPT è stato, indubbiamente, un game changer del settore tecnologico degli ultimi anni, puntando all'attenzione di tutti, anche dei più disinteressati, quello che è il progressi e, presumibilmente, il futuro, del mondo delle intelligenze artificiali, in quello che è un contesto che, fino a quel momento, aveva avuto come confronto solo le limitate (per quanto già straordinarie) capacità di sistemi come la Siri di Apple, o la più comune Alexa di Amazon.

Con ChatGPT, tuttavia, le cose sono drasticamente cambiate, ed anzi l'arrivo delle ultime versioni, ovvero prima GPT 3 (che ha dato alla tecnologia una visibilità immensa), e poi di GPT 3.5, una forma leggermente più evoluta per linguaggio e costruzione grammaticale e proprietà di lessico, ha aperto la strada al futuro, ma anche alla paura che proprio le IA e chi le gestisce, possano impattare in modo sì positivo sul mondo, ma a discapito di un mucchio di professionisti e questo, come capirete, non per meri motivi di “lavoro rubato”, secondo la più comune e populista politica sociale, ma anche per ciò che riguarda il furto di opere d'ingegno altrui, il furto delle creativity o, più basilarmente, il furto di dati presenti in rete su cui, magari, gli utenti non hanno mai apertamente approvato un utilizzo per fini di addestramento delle IA.

La situazione, insomma, è caotica, per quanto ovviamente in fieri, ed ha già portato ad alcuni problemi, se non proprio ad alcune rotture, come ad esempio il recente ban di ChatGPT dal nostro paese, voluto da OpenAI a causa della mancanza di sicurezza nel trattamento dei dati, segnalata qualche mese fa dal nostro Garante della Privacy, con il risultato dell'impossibilità di utilizzare la chat in Italia, se non per mezzo di qualche trucco, come l'uso di una VPN.

Insomma, c'è molta strada da battere per una regolamentazione responsabile delle IA nel mondo ma, val la pena sottolinearlo, si stanno già compiendo alcuni passi in avanti, almeno dal punto di vista europeo dove, ad esempio, si sta facendo spazio EGAIR, un network europeo di creativi, fondato dall'artista e illustartore Lorenzo “LRNZ” Ceccotti (per altro già ospite di Tom's in almeno un altro paio di occasioni legate al mondo del fumetto), il cui obiettivo è proprio quello di spingere verso una regolamentazione europea, in quello che vuole essere un dialogo con le massime istituzioni continentali, sui rischi e i benefici di una corretta considerazione della tecnologia delle IA.

Riuscirà EGAIR nel suo ambizioso intento? Nel dubbio rispetto ad un tavoliere che, come capirete, è particolarmente complesso, abbiamo raggiunto direttamente Lorenzo Ceccotti per fargli qualche domanda su EGAIR, i suoi obiettivi ed i passi compiuti nei mesi dalla sua recentissima fondazione!

RG: Ciao Lorenzo, anzitutto grazie per il tuo tempo! Direi di partire subito in quarta: che cos’è EGAIR e di cosa si occupa?

LC: EGAIR, acronimo di “European Guild for AI Regulation”, è un network europeo di creativi che ha l'obiettivo di regolamentare l'utilizzo delle intelligenze artificiali in Europa. Posto che ci è chiarissimo che le intelligenze artificiali faranno parte del futuro dell'umanità e che sono giá una risorsa eccezionale dal punto di vista tecnologico, ci stiamo preoccupando di proporre una regolamentazione per il modo in cui questa tecnologia viene utilizzata, principalmente da una manciata di aziende private, per ora.

Queste aziende offrono servizi che sembrano tutti eccezionali, troppo belli per essere veri: offrire la possibilità di scrivere in qualsiasi stile, di disegnare in qualunque stile, su qualunque tema, con qualunque soggetto e con qualsiasi tecnica con il solo input di un breve testo che descriva cosa vogliamo ottenere, scritto in linguaggio naturale.

Sembra tutto troppo bello per essere vero perché, come spesso accade in questi casi, non è affatto vero: tutto quello che questi software producono, come nel caso artistico, non arriva dal nulla, dalla pura tecnologia, ma è il frutto di un'analisi statistica di materiale che è stato prodotto da persone, nella fattispecie noi creativi. Dalle nostre opere, insomma. Anche in quei casi in cui producono immagini fotorealistiche che rappresentano persone davvero esistenti (le foto del Papa col puffer jacket ad esempio), o testi in cui vengono nominate persone viventi (la biografia di una persona famosa, ad esempio), queste sono il frutto dell’analisi di dati sensibili protetti da privacy: l’aspetto fisico, la voce, così come altre informazioni riservate. Coinvolge non solo gli artisti, quindi,  ma anche tutti gli individui liberi, siano essi cittadini europei o meno. Se questi dati non fossero presenti nei database su cui vengono creati i modelli deep learning sarebbe impossibile per questi software essere in grado di imitarli. Rimanendo sull’esempio di prima, Midjourney è in grado di rappresentare il Papa in maniera impeccabile perchè ha processato i suoi dati biometrici a partire da una serie di immagini, altrimenti non potrebbe mai rappresentarlo con una simile perfezione. Regolamentare il modo in cui queste aziende si procurano questi dati, presi senza nessun consenso informato da parte né degli artisti né dei legittimi proprietari dei dati coperti dalla privacy, è importantissimo: avremmo servizi basti su business model sani e che offrirebbero soluzioni autenticamente utili a far prosperare un mercato nuovo.

RG: Mi è tutto chiarissimo, ma mi chiedo: come si fa a fare una roba del genere? Come si riesce a convincere a legiferare su un argomento nuovo e complesso, su cui fino ad oggi, effettivamente, nessuno si è mai posto il problema?Soprattutto, come ci si comporta con quei dati che sono stati già fagocitati?

LC: Andiamo con ordine, parto dalla fine però. “Ormai” non è una parola che ci piace; esistono dei casi già in cui è stata applicata una procedura specifica che si chiama "Algorithmic Disruption” o “Algorithmic Disgorgement”, in cui società che sono state trovate a utilizzare dati sensibili - in alcuni casi schede mediche, dati sensibili o foto di bambini - sono state costrette a distruggere i data set, a distruggere gli algoritmi e i loro software bannati dalla rete. Si sono ritrovati a dover ripartire da capo con dei dati che potessero essere certificabili come “puliti”.

RG: Okay, ma perché un'azienda dovrebbe dare delle foto di bambini non autorizzate in pasto ad una IA?

LC: Sono software, non sono persone e non vanno antropomorfizzati. Quando fai vedere un gatto per la prima volta a un bambino, glielo indichi e gli dici “quello è un gatto” e lui impara che è un gatto. Un software di intelligenza artificiale generativa può vederne sette milioni di gatti e comunque non sarebbe in grado di dirti cosa è un gatto; quello che può fare è analizzare statisticamente le configurazioni di pixel che gli hanno proposto durante la fase del machine learning, individuare dei pattern in essi e restituirti una configurazione di pixel che imita i dati di partenza, in linea in con il modo in cui i gatti sono stati etichettati e cercando di essere più rilevante possibile rispetto all’utente che pone il quesito con il prompt.

Le intelligenze artificiali hanno questa necessità di processare grandi moli di dati, e queste vengono tirate giù da bot che sanno nulla di quello che prendono. Esiste sì un lavoro enorme di etichettatura fatta da esseri umani, ma una parte considerevole avviene sicuramente in automatico basandosi anche sui tag delle immagini originali:  i nomi delle immagini, i testi che le descrivono per l’accessibilità a non vedenti, ma anche le parole contenute all'interno delle immagini etc. Questa fase del lavoro non è esattamente una procedura di cui le aziende hanno pieno controllo.Le foto dei bambini non è che finiscono nei data set di proposito, quindi. Se le ritrovano là dentro perché sono dati che non stanno controllando. Questo è gravissimo, perchè sono sicuramente responsabili dei software che stanno creando e dei media file che possono generare a partire da quei dati.

Tornando alla possibilità di legiferare: quello che stiamo facendo è un'operazione complessa che avviene su un sacco di piani diversi. Facciamo attivismo e lobbying. Artisti, manifestazioni o associazioni che fanno già parte di EGAIR si stanno impegnando a illustrare un position paper, una forma estesa dei punti del nostro manifesto, al governo del proprio paese. Attualmente stiamo dialogando con Francia, Italia, Germania, Olanda, Spagna e Romania e stiamo crescendo. Facciamo questo lavoro diffuso con i governi degli stati membri e al contempo partecipiamo a dei tavoli di discussione in sede europea con i relatori della AI Act.

RG: AI Act? Di che si tratta?

LC: Si tratta di un documento della Comunità Europea, che si sta ponendo l'obiettivo complicatissimo di regolamentare le IA. Tratta le IA categorizzandole per vari livelli di pericolosità, di rischio. Quelle che operano nell'ambito della difesa, ad esempio per le attività militari, o la genetica o la sicurezza relativa ai dati biometrici sono in cima alla lista. Con l’arrivo di ChatGPT al grande pubblico, ora il discorso si è allargato, e noi crediamo che sia fondamentale che l’AI Act cominci a interrogarsi anche sulle opere d'ingegno e sui diritti della privacy dei cittadini europei. Stiamo battendo le stesse strade che hanno portato al GDPR, ed anzi vorremmo integrare nel GDPR tutta una serie di nuove regole che sono legate alla diffusione di modelli creati su dati non consensuali.

Per quanto possa sembrare un obiettivo irrealistico, bisogna considerare è che non è che stiamo parlando di miliardi di piccole aziende che operano in maniera invisibile alle istituzioni. Sono pochissime aziende, estremamente potenti.

RG: Realisticamente quante sono?

LC: Quelle famosissime sono Open AI, Google, Midjourney, Stability AI (che si porta dietro tutte le sue corollarie come Lensa che fa la sua applicazione per fare i ritratti anime delle gente utilizzando una versione modificata di Stable Diffusion). È ragionevole partire a regolamentare da questi grandi player per poi scendere a cascata su tutto il resto.

Prendi il caso di Napster: si trattava di un’azienda privata che aveva gli occhi di tutto il mondo addosso. La tecnologia era lì: fra un sistema di compressione molto potente come l’mp3 e la banda larga ed è sembrato inevitabile che la musica fosse distribuita gratuitamente, distruggendo di fatto le vendite dei discografici.

I Metallica gli fecero causa e all'epoca furono odiati da tutti, additati di essere dei retrogradi avari perché, come dire, hanno rovinato un po' la festa della musica gratis per sempre per tutti. Le loro ragioni erano però tutt'altro che insensate. Non è che siccome qualcuno ha scritto quattro righe di python in croce la loro musica poteva diventare di tutti e soprattutto non può esserci un'azienda che lucra su questo processo.

Con qualche acciacco non da poco, I danni li pagheremo ancora a lungo. Da quel caso è nato il mercato della musica digitale (streaming, vendita di media file etc) e gli acciacchi a cui mi riferisco sono sostanzialmente ascrivibili al fatto che si è diffusa comunque l'idea che la musica non abbia alcun valore. Gli utenti pagano Spotify per la comoditá di un servizio che raccolga tutto lo scibile della musica a una cifra per cui sbattersi a cercarla e scaricarla a mano con sistemi illeciti non vale la pena. L'utente medio di Spotify non paga per la musica, paga per il servizio di libreria ed è una differenza enorme. Paga per non pagare la musica, se mi consenti il paradosso. Chi ci ha rimesso praticamente tutto con questo business model? Gli artisti e la musica, che oggi è a un passo dall'essere considerata una commodity.

Mi è chiarissimo che la pirateria c’è e ci sarà sempre, noi non è che vogliamo azzerare la pirateria, sarebbe una battaglia persa in partenza. Pensiamo però che si debba comunque chiamare pirateria, furto, plagio, violazione del diritto, come volete voi e che i confini di cosa è lecito e cosa no venga messo in chiaro. Crediamo che vada valorizzata l'importanza del dato, del lavoro di ingegno, dell'identitá. È fondamentale che ci sia una situazione in cui chi continuerà a utilizzare questi modelli costruiti su dati non legittimi sta facendo un illecito, lo sta facendo in una zona grigia, chiamala come ti pare, però non può tirarci su un'azienda di capitali su questa attività.

RG: Quindi, riassumendo, ill punto di EGAIR è tracciare una linea di demarcazione all'interno del grigiore legislativo per definire che cosa è legale e che cosa non è legale, rispetto, per esempio, alle opere artistiche e di ingegno e quello su cui noi diciamo globalmente, cioè il diritto d'autore.

LC: Esatto. Noi vogliamo arrivare a una condizione che preveda tre scenari principali.Stability AI vuole usare i miei dati.Mi chiede i dati per metterli nel suo dataset. Io posso rispondergli sostanzialmente in tre modi che sono:

  • Sì, ve li regalo;
  • No, non voglio che li usate in nessun caso
  • Ve li do con uno scambio economico su cui ci possiamo accordare in termini di ambito di applicazione e finalità d'uso, quindi durata della licenza d'uso, paese in cui vogliamo che vengano distribuiti modelli. Termini e condizioni di sfruttamento, quindi, né più né meno come avviene oggi con i content provider, per esempio lo streaming online.

L’alternativa che abbiamo ora è lo scraping indiscriminato per silenzio assenso.

Un'obiezione diffusa che viene fatta all'idea che lo sfruttamento dei dati andrebbe retribuito è che sarebbe talmente insignificante l’apporto individuale di ogni singolo dato nei vari contenuti AI generated che finiremmo a dover pagare cifre infinitesimali per ogni prompt o contenuto generato, una specie di versione ancora peggiore del modello di business di Spotify.

RG: Immagino non sia questo il punto del discorso.

LC: Infatti no. Noi stiamo facendo un discorso più serio, proponendo un approccio più realistico, cercando di estendere alle AI la stessa logica che regola l’industria creativa e lo sfruttamento dell’ingegno umano sui media. Qualora, ad esempio, Midjourney volesse poter utilizzare tutta l'opera di Hans Ruedi Giger, per fare un esempio di un artista famosissimo (per chi non lo sapesse è l’artista dietro al design della serie cinematografica Alien. Ndr.), crediamo che si debba mettere d'accordo con la Fondazione Giger che ne detiene i diritti.

Non si parla di pagare per ogni pixel utilizzato, quindi, ma sottoscrivere dei contratti per lo sfruttamento del diritto d’autore all’interno di chiari termini e condizioni scritte nero su bianco. Una storia completamente diversa e decisamente più praticabile e ragionevole.Esattamente come Netflix non paga i suoi film per ogni secondo visualizzato, ma li paga upfront assumendosi il suo rischio di impresa, lo stesso crediamo debba avvenire fra creativi e aziende di AI che vogliano offrire fra i loro servizi l’imitazione di specifici artisti o l’aspetto di specifici individui come attori, modelli, sportivi etc.

RG: Come sta andando il dialogo con le istituzioni dal punto di vista pratico?

LC: Dal punto di vista pratico molto bene. EGAIR è giovanissima come rete, anche se lavoriamo dall'estate scorsa.

RG: La fondazione effettiva a quando risale?

LC: L’uscita pubblica è stata il 14 febbraio. È stata fondata da me in collaborazione con MEFU (Mestieri del Fumetto). Parte con un piccolo zoccolo duro di persone creative che sono state facili da mettere insieme: il fumetto è una comunità piccola di grandi professionisti. Questa cosa qua ci ha permesso di partire con un primo, significativo gruppo di persone informate. Da lì si sono aggiunte associazioni di categoria di ogni genere, illustratori, fumettisti, registi, coder, festival, aziende come case editrici, case di produzione, ma anche game designer, programmatori, attori, musicisti, doppiatori e chi ne ha più ne metta. In EGAIR partecipano davvero tutte le categorie di creativi immaginabili, perché tutti hanno capito che questa cosa ci coinvolge in egual misura.EGAIR poi è appunto una rete europea a tutti gli effetti e tutti i membri del network operano nel proprio Paese, parlando con le proprie istituzioni, con tempi e modi relativi alla situazione che trovano, ma coordinati da Vera, l’agenzia di lobbying che ci segue in tutte le valutazioni strategiche.

RG: Quindi c’è effettivamente un dialogo in corso?

LC: Ad oggi abbiamo avuto modo di parlare con molteplici istituzioni. Lo staff del sottosegretario Butti, che fa capo al Ministero dello Sviluppo Tecnologico e alla Transizione Digitale, ed è stato un incontro molto fruttuoso, oltre ogni più rosea aspettativa. Abbiamo trovato persone preparatissime, che hanno riconosciuto l’esistenza di un problema, pronte ad accogliere un’istanza come la nostra. Ci è stato detto che ci sono dei presupposti solidi, e che anche loro erano allarmati dalla situazione, che può portare a degli illeciti su scala inedita, e quindi si sono proposti di creare una discussione interministeriale per poi estenderla alla Comunità Europea. Abbiamo ricevuto udienza in commissione cultura, le nostre istanze sono state presentate in un ordine del giorno al parlamento, abbiamo avuto incontri con i membri del COREPER, con il garante della privacy e con l’AGCOM. In Francia abbiamo un grande sindacato degli autori che sta operando con il ministero della cultura, in Germania siamo a stretto contatto con lo European Illustrators Forum e stiamo dialogando con la più grande associazione tedesca in difesa del diritto d’autore. Soprattutto abbiamo anche avuto modo di parlare più volte con lo staff dei relatori dell’AI Act. Stiamo andando avanti a testa bassa su tutti gli aspetti che verranno discussi nella stesura finale di questo importantissimo documento sempre tenendo vive le due strade di privacy e diritti umani da un lato e protezione del  diritto d’autore dall’altro. Chiaramente c’è da fare ancora tantissimo lavoro, però da qualche parte bisogna pur cominciare.

RG: E nel piccolo le persone come possono aderire a EGAIR?

LC: Possono aderire facendo due cose fondamentali: uno è firmare il nostro manifesto ponendo una firma su Change.org e noi saremo ben lieti di registrarli come firmatari. Il manifesto è composto da cinque punti brevissimi. Il manifesto è in inglese, in rumeno, in francese e in italiano. E’ possibile scaricarlo, condividerlo. Ci sono anche dei template per i social network: se uno fa l'artista e vuole usare un artwork o una propria foto per accompagnarlo può assolutamente farlo, ci sono tutte le istruzioni del caso per “metterci la faccia”.Poi la seconda è donare su una petizione su Change.org perché abbiamo grande bisogno di risorse economiche per pagare l’agenzia di lobbying e comunicazione che ci sta aiutando in questa impresa. Si tratta infatti di un'operazione che da un lato viene dall'attivismo di artisti di tutto il mondo, dall’altro, visto che non siamo certamente degli esperti di diritto internazionale, abbiamo bisogno del supporto di tecnici che ci permettano di parlare la lingua tecnica in sede politica nazionale ed europea, che ci aiutino a capire se le nostre richieste sono valide o non sono valide, se sono effettivamente attuabili.

RG: Realisticamente, come vedi lo sviluppo dell'utilizzo delle intelligenze artificiali nell'arco del prossimo diciamo quinquennio?

LC: Quello che posso dirti è quello che spero da artista, visto che come tale mi conosci bene: io non sono solo un artista che opera in digitale, sono un fanatico della sperimentazione sul digitale e ho fatto ininterrottamente arte generativa dalla fine degli anni ‘90. Prendi ad esempio il poster di Lucca Comics 2018: era un poster generato partendo da data set che ho disegnato io a mano, immagine per immagine, di cui ho scritto le regole con l’apporto inestimable di Mauro Staci al codice. Sono un'artista che non vede l'ora di poter utilizzare questa tecnologia senza la sensazione di stare a rubare il lavoro di qualcuno. Voglio arrivare il prima possibile in uno scenario in cui usare questa tecnologia sia possibile con la massima serenità, senza scendere a compromessi con la propria integrità artistica.

RG: E tu pensi che sia possibile raggiungere questo risultato?

LC: Non solo lo penso, ma penso che sia stato già raggiunto in diversi casi.  Uno te lo racconto perchè sono sicuro che ti interesserà: nel 2020 - tre anni fa - Kioxia, una società informatica giapponese, ha lavorato con la fondazione Osamu Tezuka (considerato tra i padri del manga, e creatore di Astro Boy. Ndr.) per la realizzazione di un nuovo manga in occasione di Tezuka 2020, uno speciale  anniversario dedicato alla fantascienza di Tezuka. In questa operazione la famiglia Tezuka ha ceduto volontariamente un enorme data set di immagini del grande maestro giapponese. Questo data set è stato utilizzato per il deep Learning di una IA che ha prodotto un fumetto supervisionato da una serie di sceneggiatori di manga professionisti. Per farla breve, questa IA ha creato un fumetto inedito intitolato “Phaedo” che tratta tematiche care a Tezuka, con lo stile di Tezuka. Il disegno è stato generato dalla IA su carta, con l’ausilio di un braccio meccanico che ha disegnato tutte le tavole con dei pennini identici a quelli che usava il grande maestro giapponese. Il risultato finale è chiaramente un’opera che non può essere in nessun modo considerata di Tezuka. E’ una storia  generata da un’IA utilizzando materiale coperto da diritto d’autore, sviluppato all'interno delle regole dell'editoria classica, per capirci. I dati utilizzati da Kioxia sono rimasti privati: ha sviluppato il materiale necessario alla produzione della storia e poi la collaborazione si è compiuta con la pubblicazione. Tutta questa operazione è a mio avviso un esempio lampante di utilizzo consapevole e corretto della tecnologia.

RG: Tutto questo è bellissimo, ma penso che la “limitatezza” della realizzazione è data anche dal contesto. Nel senso che questo specifico progetto richiedeva di dover fare riferimento solo a Tezuka. Invece se adesso andassi per ipotesi da Midjourney e gli dicessi “disegnami un fumetto”…

LC: Farebbe lo stesso, solo che starebbe rubando da qualcuno e tu non sapresti neanche da chi.

RG: E quindi come si fa? Quello che mi spieghi ha senso se uno vuole realizzare una cosa molto specifica come “Phaedo”, ma come si farebbe in un ipotetico futuro con migliaia di artisti sul pianeta Terra? Bisognerebbe immaginare che effettivamente c'è la possibilità di stringere accordi commerciali o meno?

LC: Non cambierebbe poi molto, per l’utente. Midjourney starebbe sempre lì ad aspettare che qualcuno gli compri un po’ di immagini, solo che ti direbbe: “questi sono gli stili che riconosciamo perché abbiamo i diritti di utilizzo”. Tutto qua. Che poi tu questi stili possa mischiarli fra di loro sono fatti tuoi, ci puoi fare legittimamente quello che ti pare visto che gli artisti hanno accettato di far parte della cosa e magari si sono fatti pagare per questo.

RG: Tornando al discorso di EGAIR, immagino che vi siate dati una tabella di marcia, considerando anche quello che è l'attuale tavoliere geopolitico che ci offre pochissime prospettive per il nostro futuro, scarsissime. Dunque, al di là del risultato già raggiunto dal punto di vista del dialogo nazionale ed europeo, quando pensate che, realisticamente, si possa cominciare a esserci una legiferazione o comunque una messa in regola?

LC: I tempi sono lunghi, non sono mai rapidi. Come EGAIR ci siamo dati un primo obiettivo a due anni, , che corrispondono agli obiettivi della nostra prima campagna. A febbraio 2025 tireremo le somme, e da lì tracceremo nuovi percorsi. Sarà un inizio complesso, perché sta succedendo tutto molto in fretta, ma arriveremo piano piano, sentenza dopo sentenza, tavolo di discussione dopo tavolo di discussione, a stringere le maglie di quella che deve essere una tutela imprescindibile, lo stanno dicendo praticamente tutti. Non c' è un singolo ente governativo che non si sia allarmato per la tenuta anche sociale, politica, dei paesi di fronte alla potenza di questo strumento.

RG: Ma come sta andando invece il discorso con le aziende? Avete provato a parlare con Open AI o Open AI sta parlando di voi?

LC: No, io credo che non sia nostro dovere parlare con queste aziende, se loro vorranno parlare con noi, noi siamo disponibilissimi a spiegare le nostre necessità, ed a più riprese sono state fatte una serie di annotazioni anche pubbliche. Diciamo, però, che le risposte dei CEO, o comunque delle figure cardine, di queste aziende non sono sempre state cristalline o “impeccabili”. Basti pensare al capo di Midjourney, che candidamente ha ammesso che la sua azienda ha fatto scraping di tutti i dati su internet senza tenere conto di nulla, così come Emad Mostque di Stability AI, che pure ha assunto posizioni molto chiare su quella che è la loro visione del mondo. Posizioni che, per inciso, non condivido.

RG: Quali sarebbero?

LC: Mostaque ha detto che in realtà il lavoro di un artista è già quello di una macchina, che l'arte è una “commodity”, e che il processo creativo è una seccatura che bisogna saltare. Bisogna andare in una direzione in cui tutti sono in grado di fare tutto, senza il bisogno dell'intervento umano. A me sembra una bella promessa di marketing, che non tiene conto del fatto che loro per fare quello che riescono a fare hanno assolutamente bisogno del lavoro degli artisti, sennò non potrebbero produrre le immagini che producono. In più, come se non bastasse, vorrebbero rimuovere del tutto il diritto d'autore nella fase di acquisizione dei dati e garantirsi la possibilità di esercitarlo sulle immagini che producono. Irricevibile. Anche Open AI ha delle teorie abbastanza risibili su quello che succederà grazie a queste AI, teorizzando addirittura un modello che garantirebbe un reddito universale, dove Open AI si fa garante di un mondo dove le attività lavorative sono svolte dalle intelligenze artificiali che loro producono, e tutto il resto dell'umanità guadagna un piccolo stipendio che è stabilito in base alla disponibilità che si livellerebbe sulle condizioni di salute di queste aziende.Francamente non mi sembra un grosso superamento del capitalismo, quanto il sogno del capitalista più sfrenato possibile. Avremmo dei poli di guadagno senza freno, da cui deriva una distribuzione omogenea di elemosina, una specie di curva gaussiana asfissiante per tutti gli altri.

RG: Senza contare che dovremmo dipendere strettamente dall'azienda per vivere più di quanto non facciamo adesso, no?

LC: Esatto, bravo. Ma infatti uno dei punti della loro comunicazione sta nel provare a convincerci, lentamente, che noi abbiamo bisogno di loro per fare tutte queste cose. La verità, tuttavia, è che sono loro ad aver bisogno del nostro processo creativo, perché non potrebbero offrire i servizi a pagamento che offrono senza di noi, quindi è esattamente il contrario. E questa piramide logica deve essere ribaltata rimettendo i dati, la più grande ricchezza che abbiamo, in mano ai legittimi proprietari.