Nel mondo digitale i semiconduttori giocano un ruolo essenziale: sono il cuore dei dispositivi che usiamo ogni giorno e si trovano ovunque, dalle auto ai dispositivi IoT, passando ovviamente per computer e smartphone che usiamo quotidianamente. Tutto ciò che è digitale è basato su un chip. L’economia del silicio è previsto che raggiunga un valore diretto di mille miliardi di dollari entro il 2030.
Ma come si fabbrica un chip? Ne abbiamo parlato con Markus Weingartner, Intel Communications Director EMEA, che ci ha raccontato come funziona la filiera, dalla sabbia fino ad arrivare al prodotto finale, che finisce all’interno dei nostri dispositivi.
Come accennato, tutto inizia dalla sabbia di quarzo, che ovviamente deve essere di una certa qualità: la sabbia di quarzo è praticamente diossido di silicio (o silice), che viene sciolto per essere purificato. Successivamente viene inserito un piccolo cristallo, che fa da “base” per la cristallizzazione del materiale e per la creazione di lingotti.
Questi lingotti sono larghi 300mm e possono essere lunghi anche 1,5 metri. Successivamente vengono tagliati in dischi che a loro volta vengono lucidati, creando quelli che conosciamo come wafer, larghi 300mm e spessi solamente 1mm. Intel non produce direttamente i wafer, ma li acquista dai propri fornitori, che si trovano per lo più in Giappone.
Il lavoro delle Fab dell’azienda inizia qui, con la fotolitografia (o litografia). il processo, che può essere eseguito anche un centinaio di volte su un wafer, prevede l’applicazione di fotoresist liquido su tutta la superficie; successivamente, viene impressionato con raggi ultravioletti sfruttando delle maschere che coprono alcune zone e delle lenti per ridurre le dimensioni di queste maschere, solitamente grandi 10-20 cm, a quelle di un singolo chip. In questo processo si usa solitamente la tecnologia DUV, ma quando necessario viene usata anche quella EUV, molto più complessa e avanzata; Intel sarà la prima azienda a usare la tecnologia High-NA EUV di ASML, capace di raggiungere una risoluzione di 8nm, decisamente migliore di quella di 13nm raggiunta dai macchinari attuali, e cruciale per i nodi successivi ai 2nm.
Una volta che il fotoresist ha reagito con la luce, viene lavato via con dell’acido, lasciando sul chip solamente quello che non ha reagito e creando la struttura presenta sulla maschera. Successivamente, il wafer attraversa il processo di doping, dove viene bombardato con ioni di germanio, di boro o di altri elementi, per impiantare delle imperfezioni nella struttura del silicio “mangiata” in precedenza dall’acido, e renderlo un conduttore, dopodiché viene rimosso il fotoresist protetto in precedenza dalla maschera.
Terminata la fase di doping si passa all’etching, dove si usa nuovamente il fotoresist per proteggere una struttura, ma non si bombarda il wafer con gli ioni. Usando fotoresist e acido, si manipola la struttura fisica del wafer “mangiando via” delle aree che non sono necessarie. Anche questo processo viene eseguito decine di volte, per arrivare ad avere la struttura finale. Questi processi servono a costruire i transistor pass-passo, fino ad arrivare al transistor finale.
A questo punto si passa all’electroplating (in italiano galvanostegia), che viene usato per applicare uno strato di rame sul wafer, che agisce da catodo nel processo. Una volta depositato lo strato di rame, viene rimosso quello in eccesso tramite un sofisticato processo di pulizia, che lascia il materiale solamente dove necessario, ad esempio nei due fuori che collegano il transistor al layer sottostante.
Un chip è fatto di strati, è una struttura 3D, costruita “poggiando” questi strati uno sopra l’altro; per crearli si ripetono decine e decine di volte questi processi, fino ad arrivare al prodotto finito.
Come potete vedere, la produzione di semiconduttori è un processo articolato e compresso, ma anche estremamente affascinante, che sfrutta tecnologie all’avanguardia per fare una vera e propria magia: trasformare della “semplice” sabbia di quarzo in ciò che muove la quasi totalità dei dispositivi che usiamo oggi. Probabilmente, si tratta del processo di produzione più complesso mai realizzato dall’uomo.