Stando a Bloomberg, le principali società tecnologiche americane si stanno unendo alle richieste di applicazione dell'antitrust contro l'imminente acquisizione di ARM da parte di NVIDIA. Ciò fa seguito alla notizia dello scorso mese relativa all'inizio di indagini da parte delle autorità britanniche, dato che ARM è un'azienda con sede nel Regno Unito. Secondo le fonti di Bloomberg, il gruppo di società che richiedono questi controlli aggiuntivi include Google, Microsoft e Qualcomm, con almeno una delle tre che vuole lo scioglimento dell’accordo.
Il coinvolgimento di Google qui è particolarmente degno di nota, poiché la società sta attualmente affrontando le proprie indagini antitrust sia dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti sia da tutti e 50 i procuratori generali. Tutto nasce dalla preoccupazione che NVIDIA possa porre fine alla storia delle licenze aperte di ARM per i suoi chip. La compagnia aveva già promesso di mantenere la neutralità dell'azienda, tuttavia, dato che ARM ha perso 400 milioni di dollari nell'anno fiscale 2020, è possibile che NVIDIA debba apportare qualche tipo di cambiamento in ARM per giustificare un investimento così grande. Altre preoccupazioni emergono dalla posizione dell’azienda nel mercato dei chip rispetto all'attuale società madre di ARM, SoftBank, e su come NVIDIA potrebbe utilizzare l'acquisizione per limitare la fornitura di licenze ai suoi rivali.
Oltre all'indagine inglese sulla fusione, l'acquisto di NVIDIA è attualmente oggetto di investigazioni da parte della FTC, dell'UE e della Cina, a causa della natura globale della portata dell'azienda. Pertanto, non è chiaro cosa chiedano specificamente Google e gli altri concorrenti, a parte un'opportunità per esprimere la loro disapprovazione generale. Le fonti di Bloomberg non hanno fornito dettagli e la FTC ha rifiutato di commentare la vicenda. Ad ogni modo, modifiche alla leadership alla FTC potrebbero seriamente ostacolare la fusione e si tratta di una possibilità piuttosto concreta con i cambi al governo in corso con il neo eletto presidente Joe Biden. Questo potrebbe portare ad eventuali rinvii alla finalizzazione dell’accordo, prevista per il 2022, se non addirittura il suo annullamento.
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