Negli ultimi giorni diversi possessori di licenze per Lightroom Classic, Photoshop, Premiere, Animate e Media Director si sono visti recapitare una mail in cui Adobe li avvisa di non essere più legalmente autorizzati all’uso delle versioni precedenti dei software.
In molti si sono chiesti come sia possibile non essere “legalmente” autorizzati ad usare un qualcosa che si è acquistato, ed è proprio qui che nasce il problema. Come spiegato da Dylan Gilbert, esperto di diritti d’autore dell’associazione dei consumatori Public Knowledge, in realtà le persone che usufruiscono di tali programmi non hanno acquistato nulla in realtà. “Viviamo in un mondo in cui il consumatore non possiede quasi mai nulla che contenga del software, di conseguenza a meno che Adobe non abbia violato il contratto con i consumatori (e sembrerebbe di no), non c’è nulla che questi possano fare”.
Il motivo per cui le licenze sono state ritirate sembrerebbe essere un contenzioso avviato da Dolby Labs contro Adobe, rea di non aver versato il giusto compenso per la licenza di alcune tecnologie. Nel 2013 Adobe è passata da un modello di vendita di software standard a uno ad abbonamento basato sul cloud, che ha portato un abbattimento dei costi di distribuzione ma anche un aumento dei prezzi per i clienti e di conseguenza incassi più alti. Dolby sostiene che i costi delle licenze a suo favore dovevano essere ricalcolati sulla base del nuovo modello adottato da Adobe, e non sulla base di quello precedente.
Adobe ha confermato l’autenticità delle mail arrivate ai consumatori, senza però fornire alcun ulteriore dettaglio. “Anche se Adobe dovesse essere nel giusto in merito al contenzioso con Dolby, ha comunque il potere di costringere i propri utenti ad aggiornare a nuove versioni più costose a suo piacimento, il che dimostra l’indebita potenza e l’influenza che l’EULA ha sui consumatori”.
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Anche l’attivista ed esperto di copyright Cory Doctrow ha sposato le parole di Gilbert aggiungendo, in una mail a Motherboard, che questo tipo di modello di pensiero è sempre più diffuso in innumerevoli settori inclusi i media basati su DRM, il software-as-service e persino i giochi come quelli acquistati da Steam e le varie piattaforme digitali di PC e console.
Questo cambiamento di modello rischia di essere particolarmente ostile ai professionisti, che difficilmente aggiornano i loro strumenti di lavoro, al fine di evitare di incorrere in inconvenienti come i bug dovuti alla gioventù di un software non ancora rodato.
"Quando i tuoi strumenti sono progettati per trattarti come un semplice affittuario, piuttosto che come un proprietario, sei soggetto ai capricci, alle macchinazioni e ai rischi imprevedibili del proprietario da cui affitti", ha aggiunto Doctorow. "E i tuoi diritti legali sono probabilmente definiti da un contratto che hai cliccato milioni di anni fa, il che significa che sei d'accordo sul fatto che non hai alcun diritto legale".
Insomma uno scenario che inizia a farsi preoccupante, e che secondo gli esperti non tenderà a cambiare nel breve periodo, lasciando agli utenti l’unica opzione di non acquistare da aziende che dimostrano di cambiare le carte in tavola improvvisamente.