You è quella serie TV che tutti guardano e che quasi nessuno vuole ammettere di amare. Tra alti e bassi, lo show ideato da Sera Gamble e Greg Berlanti torna su Netflix a partire dal 9 febbraio con la prima parte della Stagione 4; i restanti episodi saranno disponibili sulla piattaforma dal 9 marzo. Questo lungo thriller psicologico vede come interprete principale Penn Bagdley, meglio noto per il suo ruolo in Gossip Girl.
Il lupo perde il pelo ma non il vizio: anche qui l'attore interpreta un personaggio dai comportamenti altamente discutibili. L'intero thriller, in realtà, possiede una morale assai contestabile, eppure per molti spettatori quello di You è un ritorno tanto atteso. E dove termina il confine tra una serie eticamente controversa e un racconto accattivante e ben strutturato? Insomma, perché scatta il senso di colpa nel dire che un prodotto del genere possa piacere al pubblico?
You: perché la serie su Netflix è un guilty pleasure?
- You: la strana storia di Joe Goldberg
- Un guilty pleasure complesso
- Tutti pazzi per Joe?
- Come approcciarsi a You?
You: la strana storia di Joe Goldberg
Basata sull'omonimo romanzo di Caroline Kepnes, la prima stagione della serie You arriva su Netflix nel 2018. È la storia di Joe Goldberg, giovane uomo che, tra il lavoro come librario e una vita alquanto solitaria, si invaghisce facilmente di una donna, Guinevre Beck, studentessa universitaria e aspirante scrittrice. Questo interesse amoroso, tuttavia, finisce con lo sfociare in una vera e propria ossessione che porta il protagonista a smascherare le proprie tendenze da maniaco, fino ad azioni inimmaginabili. La particolarità di You sta nel fatto che, per i motivi più svariati, ogni stagione abbia un'ambientazione diversa e, soprattutto, una nuova donna per cui Joe, sotto falsa identità, sviluppa una rinnovata fissazione.
Elemento caratteristico della serie è la presenza di una costante voce narrante, prevalentemente quella di Goldberg, con cui lo spettatore viene a conoscenza dei pensieri del personaggio, molto spesso contraddittori rispetto alle azioni che compie. Potrebbe sembrare una presenza costante e fastidiosa, ma in realtà è una delle chiavi per interpretare al meglio la psicologia di Joe, molto più complessa di come sembra. Nel bene o nel male, e con qualche titubanza negli ultimi anni, You dimostra di essere un'opera particolare, quasi unica nel suo genere, e per quanto non sia un prodotto eccellente ha sicuramente i suoi punti di forza nella sua struttura.
Un guilty pleasure complesso
Negli anni il parere del pubblico si divide sempre più, non tanto sulla qualità della serie ma più sulle perplessità che la riguardano e che toccano l'etica e la morale. Perché guardiamo You, assistendo e "assecondando" i comportamenti disumani del protagonista? Perché si dà adito ad un'opera che porta sul piccolo schermo esempi totalmente negativi e distruttivi?
Quello intorno a You è una dilemma recentemente incontrato in un altro prodotto Netflix, sfociato in una feroce polemica: Dahmer, biopic sul Mostro di Milwaukee diretto da Ryan Murphy (American Horror Story). Quella del true crime è una tendenza da sempre esistita, soprattutto nel panorama americano. Lo spettatore a contatto con questo genere è messo di fronte ad una scelta difficile: farsi conquistare dalla qualità di un prodotto o lasciarsi scoraggiare dal suo contenuto, in quanto spesso si tende a porlo fuori dalla messa in scena.
You è un caso diverso, puramente fittizio, che non riporta alla memoria vittime innocenti ma che, tuttavia, si riferisce ad una categoria che subisce davvero ciò che Joe Goldberg fa: le donne che cadono nella sua trappola sono comunque una rappresentazione di una plausibile realtà, seppur con elementi decisamente cinematografici e poco verosimili che indeboliscono un possibile contatto con il mondo concreto. Proprio per questo si è spesso a metà strada tra il prendere la serie semplicemente per ciò che è e, di contro, l'idea che da anni si alimenti una storia priva di qualunque spunto positivo.
Tutti pazzi per Joe?
Altro tasto dolente è il rapporto che lo stesso pubblico possiede con Joe. In numerosi thriller si sviluppa una particolare tendenza, quella di simpatizzare con un protagonista negativo, che sia un killer, uno stalker, un maniaco... O tutt'e tre. L'espediente prima citato, quello di far trapelare i pensieri del libraio attraverso la sua voce, cerca proprio di costruire un legame tra personaggio e spettatore, e questo è uno dei principali motori di un comune pensiero: "devo sentirmi in colpa se mi affeziono a lui?". Un dilemma che, probabilmente, non ha neanche una risposta definitiva, posto il fatto che avvicinarsi ad un personaggio non implichi necessariamente accettazione. Insomma, non si tratta di un sistema di "causa e conseguenza".
Come approcciarsi a You?
Benché non ci sia una risposta univoca intorno a questo guilty pleasure, è importante sapere che esiste una sostanziale differenza tra il farsi catturare dalla storia raccontata l'essere affascinati dal racconto di una storia. È un gioco di parole il cui ordine è fondamentale: c'è una distinzione tra ciò che viene narrato e le modalità con cui la narrazione avviene. Il pubblico che ama You lo fa perché probabilmente, e senza sovrastrutture, vuole guardare un buon thriller, messo in piedi con mezzi intriganti, capaci di stuzzicare la curiosità di sapere fino in fondo ciò che a prima vista sfugge.
Per prendere visione di una trama "pericolosa" come quella di You è necessaria tanta consapevolezza degli esempi sbagliati, accettando così l'idea che la sua narrazione possa comunque stimolare il pubblico a riflettere, ad indagare, e che questo non sia certo sinonimo di cieca approvazione. Questa serie, come tante altre, può suscitare delle emozioni nel pubblico che non possono essere sempre ridotte ad un sistema polarizzato (nero o bianco, cattivo o buono, sbagliato o giusto) senza considerare tutte le sfumature che fanno parte della fruizione di un'opera.