Una squadra sulla via del tramonto, un uomo ambizioso e un futuro da scrivere. Non potremmo aprire diversamente il nostro articolo dedicato a Winning Time – L’ascesa della dinastia dei Lakers, la nuova serie televisiva targata HBO in arrivo il prossimo 2 giugno su SkyAtlantic e NowTV, incentrata sull’età d’oro dell’NBA.
Ovviamente non stiamo parlando di una squadra semplice di cui scrivere perché è quella tra le più vincenti della storia della pallacanestro, che ancora oggi primeggia nelle classifiche, continuando a vincere molto più di quello che gli stessi azionisti, presidenti, allenatori e magazzinieri della società, quarant’anni fa, avrebbero mai immaginato. Qui stiamo parlando di una sfida, di un sogno sorretti dall’ambizione e di una storia di coraggio ambientata nella Los Angeles degli anni ’80, in una cornice storica dove lo sfarzo, il sesso e la perdizione erano all’ordine del giorno, mentre tutto cambiava al ritmo dei palleggi dei Celtics, la squadra più titolata dell’epoca.
Una produzione dal ritmo coinvolgente
Abbiamo guardato in esclusiva la prima stagione composta da dieci episodi, ognuno incentrato sull’acquisizione, la presentazione della nuova società e la preparazione atletica dei Lakers fino ad arrivare alle partite decisive e ai momenti drammatici dei protagonisti. La trama parte con un deterrente classico per chi oggi sogna in grande ma che, all’epoca (ricordiamo che quella di Winning Time – L’ascesa della dinastia dei Lakers è tratta da una storia vera), poteva significare il fallimento o una vittoria pirrica, nel quale qualcuno poteva andare in bancarotta da un momento all’altro ma comunque vivere in maniera agiata.
La storia ruota attorno all’imprenditore americano Jerry Buss (interpretato da John C. Reilly, Licorice Pizza) che, annoiato dalla monotonia derivata dalla troppa ricchezza e dal non saper come sperperare il proprio denaro, decide di comprare i Los Angeles Lakers, tagliando di netto i suoi investimenti, vendendo e chiedendo prestiti alla sua ex moglie. Intanto, il primo episodio dovrebbe già farvi brillare gli occhi perché alla regia c’è Adam McKay, celebre negli ultimi mesi per Don’t Look Up (a tal proposito, ecco la nostra recensione). Il suo taglio registico è il reale fiore all’occhiello della produzione: la sua ironia, il suo sarcasmo e il suo talento si avvertono immediatamente, proponendosi come sempre in modo dissacrante e ironico, dando la sensazione di poter stupire da un momento all’altro con una battuta, una scena iconica o un momento rilassato.
Di sicuro, Winning Time – L’ascesa della dinastia dei Lakers comincia mostrando il sogno di un imprenditore, ma non si accontenta soltanto di questo, anzi: la cinepresa si sposta in Michigan, a Lansing, nel quale un giovane Magic Johnson (Quincy Isaiah) sta per imbarcarsi nei draft dell’NBA, inconsapevole di quello che potrebbe attenderlo nel futuro ma sicuro di poter diventare uno dei protagonisti del campionato.
Se da una parte abbiamo la sicurezza di un imprenditore fuori dagli schemi, dall’altra c’è un ragazzo che sogna di palleggiare in faccia a grandi nomi e farsi le ossa, con la speranza di diventare il miglior playmaker della storia. Il secondo episodio è diretto da Jonah Hill (Dont’ Look Up, The Wolf of Wall Street) ed è incentrato sulla figura di Magic Johnson e le sue aspirazioni. Una storia che parte dal basso, insomma, come tante altre, ma raccontata in maniera leggera e spensierata, per quanto i temi al suo interno siano densi ed emozionanti. Ma c’è anche altro, molto altro, e riguarda direttamente un personaggio storico dei Lakers: Jerry West, interpretato per l’occasione da Jason Clarke (L’uomo dal cuore di ferro).
La sua interpretazione del noto cestista dei Lakers è quella più leale alla sua controparte reale, che nella serie televisiva ricopre il ruolo dell’allenatore della squadra. L’attore americano è riuscito a replicare il carattere controverso, isterico e volubile della bandiera dei Lakers, regalando un’interpretazione divertente e a tratti comica. Ma a lasciare il segno è stato Adrien Brody (Peaky Blinders, La Sottile Linea Rossa), che si è calato nei panni di Pat Riley, un altro giocatore dei Lakers a cui manca giocare, vivere le partite e che rincorre il sogno di rivivere le emozioni e le sensazioni di un tempo, come se potesse far rimbalzare la palla al ritmo dei suoi ricordi.
Nel cast sono presenti nomi celebri come Jason Segel (How I Met your Mother), che veste i panni di Paul Westhead, il braccio destro del leggendario e amato Jack McKinney (Tracy Letts), due personaggi storici importanti per la storia dei Lakers. Le loro interpretazioni offrono due personaggi con i loro fantasmi, i loro drammi e le loro paure, che si ritrovano proiettati in un mondo ben diverso dalle sicure pareti del mondo universitario da cui provengono.
E come non citare Solomon Hughes, che per l’occasione ha interpretato l’inventore del gancio cielo Kareem-Abdul Jabbar? Un personaggio affascinante e rilevante per la narrazione, approfondito nel corso dell’intera stagione in maniera azzeccato, scelto dalla regia per l’incredibile somiglianza con il famoso cestista dei Los Angeles Lakers e per il suo talento. Calarsi nei panni di un campione del genere non è affatto semplice, specie quando si parla di chi ha contribuito alle annate d’oro dell’NBA mentre affrontava gli strascichi della società americana nella lotta per i diritti civili dei cittadini di colore. La sua storia è infatti collegata a quella di Malcolm X e Martin Luther King, con alcune sequenze suggestive in bianco e nero dedicate a entrambi.
Ci siamo resi conto, una volta conclusa la prima stagione, che ogni personaggio diventa protagonista come se ciascuno avesse una sua importanza e fosse, a suo modo, un protagonista. La produzione, ovviamente romanzata per tenere incollati allo schermo, si concentra sulle reazioni e le emozioni – positive e negative – dei comprimari e dei personaggi più importanti. A convincere, insomma, sono le interpretazioni di ciascuno di loro: mai banali e mai stereotipate, risultano coerenti e delineate in modo omogeneo.
Una storia che si evolve con maturità
Forti di una regia e di uno svolgimento narrativo convincente, la prima stagione di Winning Time – L’ascesa della dinastia dei Lakers cattura con semplicità grazie a una scrittura di qualità e a dialoghi ricchi di sfumature. Ogni momento, sensazione ed emozione pesa sui personaggi quanto le loro scelte. Winning Time – L’ascesa della dinastia dei Lakers tratta di tematiche odierne, con una critica netta e spietata verso le disuguaglianze, mentre il contesto viene raccontato con un tono deciso e mai distante, nonché di facile comprensione anche per chi non ha mai guardato una partita di basket in vita sua.
Non è semplice incastrare questi elementi in una serie televisiva che non si basa soltanto su una storia sportiva ma anche sul suo passato imprenditoriale, e non è da poco vedere una cura così oculata nel presentare i personaggi e i loro pensieri. Ma non è neppure semplice riuscire a raccontare accadimenti storici non annoiando lo spettatore, dandogli le informazioni giuste e spingendolo addirittura a informarsi sul periodo e sulle origini del successo dei Lakers.
Mentre gli avvenimenti si susseguono, e in questa stagione – senza fare spoiler - ce ne sono parecchi, ogni elemento è ben inserito al suo interno, risultando godibile. C’è il carattere folle, incredibile e temerario di Jerry Buss, che guarda al futuro come se avesse di fronte a sé l’inizio della sua esistenza mentre si getta in una vasca di squali pronti a dilaniarlo, inconsapevole a cosa sta andando incontro. Questa sfida si dimostrerà un suicidio o la più grande prova di coraggio mai dimostrata nell’afosa Città del Sole?
D’altronde, l’NBA non è il suo regno, ma è comunque deciso a conquistarlo, come ogni personaggio presente nel racconto. Il tema portante di questa prima stagione, mai ridondante ma assuefacente, è la temerarietà intesa sotto diverse lenti d’ingrandimento e trattata nel rispetto di chi ha vissuto quei tempi ed è stato protagonista degli anni d’oro dei Lakers. Tutto è concentrato con attenzione, delicatezza, decisione e leggerezza; tutto è ben incastrato, messo a puntino, nonché proposto in modo didascalico con date, nomi e divertenti siparietti.
Nonostante chiacchierate a volte troppo lunghe e a un ritmo narrativo più lento nella seconda parte della stagione, Winning Time – L’ascesa della dinastia dei Lakers confeziona una proposta intrigante per la sua narrazione e per la caratterizzazione dei personaggi, mettendo al centro la Città degli Angeli.
Los Angeles è la vera protagonista
Rappresentata in questa prima stagione in modo esagerato ma funzionale alla narrazione, offre degli spaccati d’ambientazione d’impatto sia nei luoghi aperti quanto nei chiusi, con una fotografia che si concentra sui tramonti e lo sfarzo, includendo la semplicità e l’amore familiare. Los Angeles è un sogno ad occhi aperti, un sogno per chiunque abbia coraggio e una speranza di un nuovo inizio.
Winning Time – L’ascesa della Dinastia dei Lakers, in definitiva, è una produzione partita con decisione che si è conclusa in modo coinvolgente e divertente con insegnamenti, tematiche e non solo basket a fare da contorno a una storia potente e convincente. C’è quel retrogusto dolce che introduce a una seconda stagione, quell’aroma piacevole, sempre gradito e mai di troppo che riguarda tutte le serie televisive che hanno qualcosa da raccontare che rende imperdibile anche questa serie televisiva.
Perché vedere Winning Time – L’ascesa della dinastia dei Lakers? Perché è il racconto di una generazione di sognatori che spera di trovare nella pallacanestro ben più della vittoria, cercando nuove speranze anche là dove non ce ne sono più per affrontare la vita un quarto di tempo alla volta.