Gi anni ’90 sono stati per il mondo dei fumetti un decennio incredibile, capace di toccare vette altissime ma anche di dare vita a una serie di personaggi esagerati e paradossali che hanno però interpretato al meglio quel periodo di eccesso stilistico, graficamente e narrativamente. A questa categoria apparteneva anche Warrior Nun Areala, fumetto creato da Ben Dunn, in cui un ordine di suore-ninja proteggevano l’umanità a suon di mazzate, bossoli e ogni tipo di violenza immaginabile. E saltuariamente, una preghiera, giusto per onorare la divisa.
Warrior Nun Areala non è mai divenuto uno di quei fumetti da leggere assolutamente, pur avendo diversi spunti interessanti, ma si è comunque guadagnato l’ingresso nella serialità televisiva, grazie a Netflix che dal 2 luglio consente ai propri sottoscrittori di conoscere questo eclettico mondo grazie a Warrior Nun.
Warrior Nun, dai fumetti anni '90 a Netflix
Netflix ha dimostrato di avere un certo feeling con i fumetti, come hanno dimostrato le precedenti produzioni legate al mondo Marvel (Daredevil in primis), contesti più liberi come Umbrella Academy o il recente Snowpiercer. Il passaggio dalla carta al medium televisivo, ovviamente, comporta un adeguamento a differenti dinamiche narrative, come ha dimostrato il Marvel Cinematic Universe. Non poteva quindi andare diversamente per Warrior Nun, che in questa transizione dall’albo a fumetti allo schermo casalingo deve accettare un cambio di prospettiva piuttosto secco. Un distacco che appare evidente anche nel titolo, ridotto a Warrior Nun, scelta che consente agli sceneggiatori di potersi prendere alcune libertà rispetto all’originale cartaceo di Dunn.
La giovane Ava (Alba Baptiste) durante una vacanza in Spagna rimane vittima di un incidente, che la lascia orfana e paralizzata. La ragazza viene accolta in un orfanotrofio locale, dove passa la sua infanzia e la sua adolescenza, sotto l’occhio vigile di una superiora acida e perfida, sino ad un evento sorprendente: la sua morte. Ava, dopo una vita di rinunce e sofferenza, muore, ed è proprio in questa circostanza che la conosciamo, durante la sua veglia funebre.
Cerimonia che viene interrotta dall’ingresso di alcune suore, che nulla hanno di pacifico, considerato che sono in fuga da un manipolo di demoni che stanno cercando di uccidere la loro leader, Sorella Shannon, nota come Warrior Nun. Sorella Shannon è la portatrice di un raro manufatto, innestatole nel corpo, che la rende una combattente soprannaturale, ma alla sua morte le sue consorelle devono salvare questo prezioso artefatto, e scelgono come contenitore il cadavere della povera Ava. Peccato che nessuno immaginasse che questo misterioso oggetto divino riporti in vita la ragazza, conferendole gli stessi poteri posseduti in precedenza da Sorella Shannon.
Inevitabilmente, le sorelle guerriere vogliono che Ava si unisca a loro, ma la rediviva ragazza, finalmente in grado di potersi godere uno scampolo di vita da adolescente normale, ha tutt’altri programmi. E poco le importa di lottare contro demoni, scongiurare complotti e salvare il mondo!
Va detto che chi ha letto ha apprezzato a suo tempo il fumetto, sarà molto probabilmente deluso dalla produzione di Netflix. Quella scosciata e letale protagonista che era Shannon Masters nel fumetto di Dunn viene qui liquidata in pochi minuti, lasciando posto ad un’adolescente che si ritrova catapultata in una nuova vita, dopo anni di odio per la propria esistenza. E anziché utilizzare questa seconda chance per realizzare una serie action degna del nome che porta, gli sceneggiatori hanno deciso di rendere questa prima stagione un teen drama con qualche scarno rimando all’atmosfera tipica del comics d’ispirazione.
Una storia che fatica a decollare
L’idea di cambiare la protagonista, passando da Shannon a Ava, non è di per sé sbagliata. Dell’aderenza fanatica al fumetto possiamo fare a meno, purché si realizzi un prodotto che ne conservi lo spirito originario. Warrior Nun sembra invece non mirare a questo obiettivo, focalizzandosi troppo sulla caratterizzazione di Ava come adolescente in cerca di riscatto, dimenticando il focus del titolo. La scelta di affidare spazio alla voce interiore di Ava rendendola narratrice di momenti cruciali della serie, arrivando però ad eccedere in alcuni punti, impedendo di dare corpo a quell’atmosfera sovrannaturale che dovrebbe esser l’anima di questa serie.
Pur essendo un intento lodevole, diretto a creare un legame empatico tra personaggio e spettatore, questa impostazione narrativa rallenta la caratterizzazione dei punti salienti dell’ambientazione, con la conseguenza che la storia della serie, che dovrebbe esser basarsi su una suora guerriera, viene sviluppata in modo approssimativo dopo la metà di questa prima stagione.
Oltretutto, sarebbe stato gradevole vedere una maggior reazione psicologica da parte di Ava, che da paraplegica si ritrova ad avere un corpo molto più che funzionale. Ritorno dal regno dei morti sorvolato con non-chalance, nessuna domanda su questo miracolo, preferendo recuperare quanto non goduto negli anni precedenti, anzi, nella vita precedente. Così mentre Ava si trova ad esplorare la sua nuova vita da adolescente festaiola, l’Ordine della Spada Cruciforme la bracca per riprendersi il loro prezioso artefatto, prima di capire che ora è lei la Warrior Nun e va addestrata conseguentemente.
In tutto questo, a farne le spese è la componente action, che in Warrior Nun Areala era il vero motore. Il privilegiare l’aspetto ‘umano’ della protagonista relegando il contesto sovrannaturale, ovvero la guerra con i demoni, si rivela una problematica non indifferente per la serie, che patisce un ritmo narrativo lento, che stona con quello che l’ambientazione invece sembra promettere. Pochi combattimenti, abbastanza convincenti, ma che vedono in scena dei demoni realizzati in modo poco soddisfacente, e che fanno pensare che la loro scarsità sia frutto anche della consapevolezza di non aver a disposizione dei mostri degni di comparire su schermo.
Nonostante questo ‘tradimento’ del concept originale del personaggio, va riconosciuto lo sforzo della serie Netflix di dare carisma e credibilità alle protagoniste. Ava e le sue consorelle guerriere appaiono verosimili nella loro personalizzazione, con alcuni momenti emotivamente convincenti, ma la loro caratterizzazione è stata troppo condensata in questi primi episodi. Così come è abbastanza opinabile l’aver voluto privare il contesto ecclesiastico di una zona grigia in cui muoversi, tendendo a definirlo immediatamente come l’inequivocabile ‘buono’ della storia.
I difetti di Warrior Nun potrebbero esser riconsiderati osservando come diverse serie Netflix sembrino oggetto di un avvio lento, in cui si privilegia la costruzione emotiva dei personaggi a scapito della definizione del contesto narrativo. L’accelerazione del ritmo e una maggior componente action nella seconda metà degli episodi di Warrior Nun possono indurre a pensare che un’eventuale seconda stagione sia in grado di cambiare questa tendenza, magari raggiungendo la dinamicità e la frenesia del fumetto da cui la serie Netflix ha tratto origine.
Se volete scoprire le origini fumettistiche di Warrior Nun, vi consigliamo la lettura di Warrior Nun Areala