Viaggio attraverso l’iconografia horror anni 80 - Parte 1

Horror anni 80. Primo appuntamento alla scoperta delle pietre miliari che hanno tracciato la storia del genere Horror sul grande e piccolo schermo.

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a cura di Stefano Cappuccelli

L'horror degli anni 80 che ha fatto la storia. Dai blockbuster al cinema di genere popolare nei grindhouse, un breve ed essenziale compendio sul cinema horror che ha meglio distinto il decennio più noto e oggi rivalutato: gli anni ottanta.

L’impatto culturale che Stranger Things ha avuto e sta avendo, ha riportato all'attenzione di molti quell'intera cosmologia di pellicole culto che, mutuate dagli ovvi anni ottanta, hanno svolto un ruolo essenziale per il concepimento della serie dei fratelli Duffer. Film e concetti oramai divenuti iconici, ma che per molti sono una totale incognita. Non è infatti scontato che chi sta apprezzando la serie Netflix abbia visto pellicole come La Cosa o Nightmare, ed è per questa ragione che andremo a parlare di alcune di queste; non parleremo nello specifico dell’intera iconografia che ha ispirato Stranger Things, anche perché in tal caso dovremmo disturbare generi non necessariamente horror, ma vi guideremo attraverso alcuni nomi - non necessariamente celebri – che hanno definito il brivido e l’orrore in quel dato decennio.

 The Thing / La Cosa di John Carpenter – 1982.

John Carpenter è universalmente noto come uno dei più rilevanti (e politici) autori americani nati dalla New Hollywood; a lui si devono capolavori assoluti come Halloween e Essi Vivono, film che nei rispettivi ambienti di genere hanno definito uno standard sia concettuale che qualitativo. Nel 1982, Carpenter dirige il suo primo remake, trattasi de La cosa di un altro mondo di Christian Nyby e Howard Hawks, a sua volta una trasposizione dell’omonimo racconto di John W. Campbell.

Nel suo film, Carpenter ripropone Kurt Russell, attore già protagonista del precedente Fuga da New York, qui nei panni del pilota di una squadra di ricerca americana in Antartide. Accompagnato dalle note del nostro Ennio Morricone, l’intero film orbita attorno all’arrivo nella base americana di un cane, un’animale che ben presto si rivelerà essere un alieno mutaforma a dir poco grottesco, rinvenuto sotto il ghiaccio da una squadra di spedizione norvegese. Il film è un cult di grandissima potenza visiva, non a caso i suoi effetti sono ritenuti seminali alla stregua di quelli di Un Lupo Mannaro Americano a Londra. Un perfetto Sci-fi Horror non solo nello stile, ma anche nella forma. Se nella pellicola del ’51 i due registi mettono in scena un classico canone della fantascienza americana di quel periodo, fatta di puro campanilismo a stelle e strisce e permeato costantemente di una forte retorica patriottica, Carpenter decostruisce completamente l’opera da cui è tratta, proponendo un film tutt’altro che da lieto fine, tutt’altro che campanilista: tutti dubitano di tutti, non importa se quello che ti sta a fianco è il tuo migliore amico, potrebbe essere la creatura.

L’impatto culturale che La Cosa ha avuto sulla cultura popolare è incalcolabile; basti considerare il discreto volume di epigoni distribuiti – anche solo per l’home video – dopo la sua pubblicazione. Oggi possiamo senz’altro parlare del film di Carpenter apostrofandolo come cult assoluto o piccolo capolavoro, eppure nel ’82 la critica la pensava diversamente. D’altronde parliamo di John Carpenter, cineasta assoluto da sempre mal sopportato da una certa critica, nonostante i suoi film siano stati formativi per innumerevoli generazioni, soprattutto grazie a un suo altro film.

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Halloween di John Carpenter – 1978.

Non è un film partorito negli anni ottanta, anzi, è profondamente legato allo stile e ai concept di un certo cinema degli anni settanta, eppure, l’importanza iconografica che questo ha avuto sull’intera forma mentis del cinema horror è inestimabile.

Ritenuto erroneamente il capostipite del genere Slasher – corrige errata considerando che il vero proto-slasher è Reazione a Catena del grande Mario Bava – ma che indubbiamente ha avuto il merito di sdoganare meglio di chiunque altro uno degli archetipi più inflazionati del genere nel corso degli anni ottanta. Un giovane Michael Myers uccide, durante la notte di Halloween, la sorella maggiore Judith e per la seguente ragione viene internato nel manicomio di Smith’s Grove; struttura dalla quale evaderà molti anni più tardi oramai divenuto adulto. A questo punto gli eventi coinvolgeranno la giovane Laurie, archetipo assoluto della Final Girl, qui interpretata da una giovanissima Jamie Lee Curtis e Donald Pleasence nei panni del Dott. Sam Loomis, nonché lo psichiatra che aveva in cura Michael.

L’idea di Carpenter e della sua storica produttrice Debra Hill, era quello di mettere in scena un horror in cui a morire sotto il freddo acciaio del killer fossero delle babysitter; ruolo che non a caso ricopre proprio la protagonista. La cornice musicale che costituisce la colonna sonora del film, completamente sintetizzata e composta dallo stesso Carpenter è, assieme all’omone con la maschera da capitano Kirk, il principale timbro della pellicola. il suo funzionamento è dato anche da una già impeccabile regia, qui incredibilmente in forma: una messinscena esemplare, ottimi piano sequenza e un perfetto utilizzo di steadicam. Attenzione, Michael potrebbe essere proprio lì, nell’ombra.

The Evil Dead / La Casa di Sam Raimi – 1981.

 Primo di tre incredibili film, La Casa costituisce l’esordio di quel folle di Samuel “Sam” Raimi, all’epoca appena ventenne. Rasentando in toto il concetto di film indipendente, La Casa è indubbiamente uno degli horror più rappresentativi e formativi della storia; questo non solo per aver ulteriormente sdoganato l’idea secondo cui per la realizzazione di un buon horror non occorrano miliardi, ma soprattutto per aver contribuito a definire al meglio una nuova generazione di creativi.

Utilizzando il classico espediente della baita sperduta e coadiuvando il tutto ad atmosfere e concept Lovecraftiani, Raimi scrive e dirige una storia apparentemente dal richiamo slasher, ma che ben presto viene declinata in tutt’altro; proponendo un horror sovrannaturale: crudo, terrificante ma soprattutto grottesco. Ash e compagine si recano in una baita per trascorrere un classico fine settimana fra amici, non appena questi arrivano sul luogo, notiamo subito come il regista ci propone un’ambientazione quasi fiabesca: boscaglia lugubre, cascina trasandata e quella sfera di inquietudine che normalmente un setting del genere evoca. La storia subisce un’improvvisa deviazione non appena il gruppo rinviene nello scantinato della casa un registratore, un pugnale e l’ormai celebre Naturon Demonto (Necronomicon Ex-Mortis a partire dal secondo film) nonché celebre pseudobiblium concepito nientemeno che da Howard Philip Lovecraft.

L’accensione del registratore risveglia un antico demone che aveva trovato dimora nel bosco, cominciando così a torturare con fantasia i quattro malcapitati. A differenza dei due successivi capitoli, che rappresenteranno la perfetta commistione fra commedia e horror, La Casa di ironia ne ha pochissima, definendo quindi l’intento di Raimi di produrre un horror totale. Girato montando scene riprese fra scantinati di famiglia e case di amici, e realizzando un make-up decisamente homemade, La Casa non si è limitata a lanciare e consacrare Raimi e il suo venturo attore feticcio, Bruce Campbell – qui fin troppo mimetizzato nel cast, ma che diverrà uno degli anti-eroi più amati dalla cultura popolare – ma ha contribuito a inaugurare un decennio davvero folle e a tratti trash. Sei anni più tardi Raimi metterà al mondo La Casa 2, in termini assoluti la commedia horror più bella di tutti i tempi.

Nightmare on Elm Street / Nightmare - Dal profondo della notte di Wes Craven -1984.

L’aspetto che più manca del compianto Wes è senza subbio la sua mano. Regia e scrittura di alto livello che nei primi anni ottanta ci donò una delle figure iconografiche più rilevanti della storia dell’horror contemporaneo: quella di Freddy Krueger.

Al di là di quello che si possa pensare, Nightmare fu sin da subito profondamente anomalo rispetto al parco titoli che il cinema del brivido offriva ai tempi; la natura stessa dell’antagonista poneva il film su di un livello concettuale completamente diverso rispetto ai canoni del classico slasher.

La caratura onirica onnipresente, il perpetuo senso di privazione, per non parlare della verve dello stesso Krueger, fanno di Nightmare un cult senza tempo, perfettamente scindibile dal resto della scena cinematografica. Un sogno ricorrente, o meglio dire, un incubo ricorrente. In questi è sempre presente un uomo dal volto sfigurato dalle ustioni e adornato da un cappello borsalino, un maglione di lana rosso-verde e un guanto artigliato anch’esso confinato nell’iconografico. Il tormento ha così inizio, nessuno deve provare a dormire, perché Freddy è proprio lì, nel suo reame onirico in attesa di vendicarsi della progenie di chi, molti anni prima, lo aveva dato alle fiamme.

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Friday the 13th Part III / Week-end di Terrore di Steve Miner – 1982.

Sempre da un punto di vista iconografico, il terzo atto della celebre saga di Venerdì 13 è ritenuto universalmente il più rilevante, il motivo? Semplice, qui Jason trova e indossa la celebre maschera da hockey per la prima volta. Pur occupando un posto di rilievo nella stretta cerchia dei brand horror più considerevoli del cinema horror, rispetto ai titoli sopracitati, Venerdì 13 non brilla né per regia, né per scrittura.

A dire il vero, buona parte dei suoi film seguono uno schema logico fin troppo canonico fra gli slasher, eppure la grande fortuna Jason Voorhees fu quella di esplodere in un decennio socialmente caldo, fatto di puro edonismo, spesso anche sessuale. L’immaginario costituito da un essere come Jason: enorme, muto, dalla forza sovrumana, apparentemente indistruttibile e completamente impassibile davanti a gambe recise e ossa spezzate, ha contribuito notevolmente a sublimare dei film, tutto sommato, mediocri. L’idea di costruire un intero setting, dapprima su di una madre vendicativa e poi su un redivivo Jason che fuoriesce dalle sponde del celebre Crystal Lake è stata sicuramente la scelta più arguta, in particolare se consideriamo che ogni film si apre esattamente nel momento esatto in cui il precedente terminava, creando così una continuità ben definita.

Il terzo atto prosegue quindi gli avvenimenti del capitolo precedente, questa volta proponendo uno script estremamente lineare che incarna a pieno titolo la grande declinazione slasher della saga. Infatti qui vedremo, senza troppi giri di parole, uno Jason girovagare per una fattoria dove una compagnia di amici sta trascorrendo una serata. Fine. Il film è un grand guignol semplice ma estremamente efficace, mostrando ciò che il pubblico del periodo ricercava: mostri, tette e sangue. La perfetta riduzione di Venerdì 13.

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Hellraiser di Clive Barker – 1987.

Concepito, scritto e diretto dallo stesso Barker, che un anno prima diede i natali alla storia pubblicando il romanzo The Hellbound Heart (Schiavi dell’inferno). Hellraiser è il primo di una saga cinematografica più o meno fortunata, di cui lo stesso Barker diresse il primo, seminale, capitolo.

Oltre a consegnare ai posteri l’icona di Pinhead, il Cenobita (o Suppliziante), un demone extradimensionale definito da un layout fra i più celebri del panorama horror, con questo indimenticabile volto interamente costernato da chiodi, la pellicola risulta persino una delle più crude e sadiche del decennio. Ovviamente nulla che Fulci e italica compagine non avessero già fatto, ma se posto a paragone con il resto dei film presenti in lista, Hellraiser vince a mani basse per qualità ma soprattutto quantità di splatter. Una costante ricerca di piacere, questo inteso come passione per il dolore stesso, porterà uno dei protagonisti ad aprire un misterioso manufatto, il più simbolico e ricorrente oggetto dell’intera filmografia Barkeriana: La Configurazione del Lamento altresì noto come Cubo di Lemarchand.

Questo peculiare e rifinito artefatto, cela un rebus che se risolto, apre un varco fra il nostro mondo e Leviathan, un luogo di eterno supplizio e dimora degli stessi Cenobiti. La curiosità di coloro che spalancano le porte di Leviathan è spesso ripagata con torture di una potenza visiva talmente ben realizzata, da portare più volte lo spettatore a provare un profondo senso di fastidio. Il retaggio culturale che la penna di Barker plasmò in quegli anni, è stata propedeutica per chi, come Kentaro Miura, cercava ispirazione per definire il più alto concetto di dolore e crudeltà. Vedasi la forma e la sostanza della Mano di Dio in Berserk.

Day of the Dead / Il giorno degli zombie di George A. Romero – 1985.

Terzo capitolo della popolare tetralogia dei morti viventi cominciata nel ’68 con Night of the Living Dead (La notte dei morti viventi) poi proseguita nel ’78 con Dawn of the Dead (Zombi)  e infine conclusa nel 2005 con Land of the Dead (La terra dei morti viventi). La saga include anche due ulteriori pellicole, Diary of the Dead e Survivor of the Dead. Se eravate convinti che Carpenter fosse il solo a fare impegno civile con il suo cinema, evidentemente non conoscete George Romero.

Per lui lo zombie è sempre stato il perfetto espediente, un vettore con cui veicolare il suo totale disaccordo nei confronti di un clima sociopolitico che ha da sempre contraddistinto gli Stati Uniti d’America. Nel primo film questo criticava la xenofobia e l’attivismo militare in Vietnam, nel secondo il tipico modello di consumismo made in USA, e in questo? Semplice, Ronald Reagan. Sì, proprio lui, lo stesso presidente tanto “amato” da Carpenter e che sembrò non trovare la simpatia neppure della buonanima di Romero. L’avversità del regista Newyorkese per quella forma di edonismo Reaganiano qui è ben chiara da numerosi aspetti: l’umanità è stata sopraffatta dalla piaga dei morti viventi e le uniche sacche di superstiti sono rintanate in basi sotterranee interamente controllate dai militari.

La violenza fisica ma soprattutto morale di questi uomini in divisa è all’limite dell’etica, proprio un’etica che Romero non crede che l’America di Reagan abbia. Reagire con violenza estrema alla violenza stessa, reagire con sopraffazione e autoritarismo laddove occorrerebbe ben altro. Indubbiamente uno dei film più estremi e visivamente impattanti dell’intera carriera del regista, con scene di violenza fisica all’limite del gore. Budella, pancreas e organi vari. Ancora una volta, nonostante la sua classica composizione dei protagonisti (una donna, l’uomo di colore etc etc) il vero protagonista è il morto vivente: un essere che rappresenta nella sua elementarità primitiva la rinascita dell’umanità, non distinta da beni di lusso e glitter, ma da pura e semplice uguaglianza.

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