Ultimates: gli Avengers del nuovo millennio

Ultimates: quando Millar e Hitch riscrissero il mito dei Vendicatori portandoli nel nuovo millennio

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a cura di Manuel Enrico

Ogni volta che si parla del Marvel Cinematic Universe, che si tratti di serie TV come The Falcon & The Winter Soldier, o di attesi blockbuster come Spider-Man: No Way Home, nella mente dei Marvel fan scatta inevitabilmente la corsa alla ricerca della citazione o dell’origine fumettistica della storia di turno. Tra riferimenti a personaggi misconosciuti o l’apprezzato omaggio a grandi storie dei comics della Casa delle Idee, si tende però a dimenticarsi quale sia il contesto fumettistico che ha, in un certo senso, dato la grammatica narrativa ai cinecomic Marvel ancora prima della nascita del Marvel Cineamtic Universe: l’universo Ultimate. In particolare, visto l’importanza rivestita dagli Avengers nel MCU, è stata centrale la serie Ultimates, ultima nata all’interno di questo progetto di inizio 2000, ma che ha segnato profondamente l’immaginario cinematografico dei Vendicatori.

Pur avendo influenzato film dedicati agli eroi della Casa delle Idee slegati dal Marvel Cinematic Universe, come gli X-Men, è con la lunga saga degli Avengers che si ravvede una maggior ispirazione al contesto Ultimate. Verrebbe da chiedersi come mai questa sorta di riscrittura ‘contemporanea’ del mondo supereroico marveliano abbia avuto maggior impatto rispetto alla tradizione narrativa, una domanda legittima che trova una risposta proprio nella rivoluzione dei comics marveliani dei primi anni ’90.

La Marvel disperata: nuovi eroi per il nuovo millennio

Al termine della Bronze Age dei comics, infatti, il fumetto supereroico, per decenni regno incontrastato dei due colossi DC Comics e Marvel Comics, stava iniziando ad aprirsi a una nuova generazione di autori che era finalmente pronto a sganciarsi dalle regole imposte dalle due major. Per quanto finalmente libere dai vincoli del Comics Code Authority, Marvel e DC erano ancorate alla tradizione dei propri personaggi, non comprendendo come la percezione da parte del pubblico fosse profondamente cambiata. Complice una rivoluzione della grammatica narrativa imposta anche da altri media, in primis il cinema, che stava offrendo nuovi spunti, visivi e narrativi, che vedevano in cult come Matrix dei caposaldi. Un gusto cinematografico che si emancipava dalla figura del supereore, che aveva visto nel Cavaliere Oscuro sia il suo massimo splendore, con Batman (1989), che uno dei suoi peggiori esempi, ossia Batman & Robin (1997).

Non che i personaggi Marvel avessero avuto miglior fortuna, se consideriamo che il primo cinecomic moderno della Casa delle Idee fu Howard e il Destino del Mondo (1986), ma almeno ci fu una parziale correzione di rotta con il successo sul grande schermo di uno dei personaggi minori del pantheon marveliano, il cacciatore di vampiri Blade. Il primo capitolo della trilogia dedicata al Diurno uscì al cinema nel 1998, un anno prima del primo capitolo della saga degli X-Men di Synger, ottenendo un buon successo di pubblico. Da notare come questa figura arriva dal comparto orrorifico del mondo Marvel, separato da quelli che erano i personaggi di prima fila, ma sensibilmente più vicino al nuovo gusto del pubblico, che nei comics si stava già avvicinando ai nuovi antieroi emersi in quel periodo.

A dare riprova di questa situazione erano i dati di vendita, che segnavano dei preoccupanti abissi. Marvel, in particolare, si vide superare nelle vendite da parte della Distinta Concorrenza, arrivando al limite della bancarotta, che si cercò di scongiurare vendendo a major cinematografiche i diritti dei propri personaggi per realizzare dei film, consentendo quindi a Sony di potersi dedicare a Spider-Man, mentre la 20th Century opzionò Fantastici Quattro e il mondo mutante, che non comprendeva solamente gli X-Men ma tutti i personaggi col gene X di casa Marvel.

Sul piano editoriale, il principale problema era la continuity. In un universo narrativo che si manteneva sostanzialmente inalterato dai primi anni ’60, era difficile per nuovi lettori trovare degli starting point da cui iniziare la lettura. A rendere ancora più difficile catturare nuovi lettori era anche lo stile abbastanza datato delle storie, lontano dai gusti moderni. Una contemporaneità che non era sinonimo di violenza e volgarità, come si pensò inizialmente, ma era invece una ricerca di maggior aderenza al presente vissuto dai lettori, che avevano maturato una propria coscienza critica. Non dimentichiamo che chi nei primi anni ’60 empatizzava con Peter Parker e gli adolescenti mutanti ora erano uomini maturi, che faticavano a credere che i loro beniamini, anch’essi maturati, fossero ancora schiavi di dinamiche emotive e narrative datate e, apparentemente, avulse dalla contemporaneità. Serviva, insomma, una radicale rivoluzione in casa Marvel, ma il timore era di perdere anche i lettori di lungo corso, una consapevolezza che spinse a seguire una strada complessa: mantenere in vigore la tanto affezionata continuity, dando al contempo origine a nuovi corsi. Eliminare radicalmente la continuity, infatti, non era stata perseguibile, ma nemmeno avventurarsi in operazioni frettolose e poco ispirate come Heroes Reborn, un colossale insuccesso.

In Marvel si decise di dare il via a una profonda rivoluzione su più fronti. L’arrivo di Michael Brian Bendis nei primi anni 2000 portò a una radicale ricostruzione del mondo ‘tradizionale’ della Casa delle Idee, che portò alla nascita di grandi eventi come Vendicatori Divisi, House of M e Civil War. Se in questo corso si preservava la tradizione dei personaggi, tenendo conto dei loro trascorsi, rimaneva l’esigenza di agganciare un nuovo pubblico, motivo per cui nacquero due nuovi contesti narrativi: Marvel 2099, dedicato al mondo futuro in un’ottica cyberpunk, e il più adulto Marvel Ultimate Universe.

Ultimates: i Vendicatori del nuovo millennio

Se abbiamo l’universo Marvel Ultimate, dobbiamo ringraziare Bill Jemas, un avvocato che, lontano dalla dinamiche della narrazione supereroica, vide chiaramente il limite dei supertizi: le loro storie non erano facilmente comprensibili. Era sua convinzione che fosse necessario raccontare delle nuove origini dei personaggi, calandoli nel presente, un’idea che arrivo a Joe Quesada, all’epoca editor in chief di Marvel, inizialmente più interessato a creare nuovi personaggi. La proposta di Jemas era comunque promettente, tanto che divenne il concept del progetto Ground Zero, da cui poi, attraverso diverse rielaborazioni, si arrivo alla creazione del primo fumetto del nuovo universo Marvel Ultimate: Ultimate Spider-Man, affidato a Michael Brian Bendis e presentato nel 2001. Al nuovo Tessiragnatele seguirono Ultimate X-Men (2001), fondamentali per la nascita degli Ultimates.

Non trovando autori per la serie Ultimate dei mutanti, dopo aver rifiutato alcuni proposal di Bendis, venne scelto come sceneggiatore Mark Millar, reduce dal successo di The Authority. Millar aveva una visione chiara di quello che serviva al mondo Ultimate: una critica sociale autentica, calando i personaggi in una dimensione sociale che risultasse credibile, nelle sue zone oscure in particolare. Se questo valeva per i mutanti, a maggior ragione divenne fondamentale per i Vendicatori, gli Eroi più Potenti della Terra.

Come fare a rendere davvero potenti degli eroi come i Vendicatori, a farli sentire come dei difensori potenzialmente reali per una società reduce dalla coltellata al cuore dell’11 settembre? La tendenza di Millar a voler creare una sinergia fra reale e fantasia, infatti, doveva trovare un equilibrio con le emozioni dei potenziali lettori, e i ‘suoi’ Vendicatori dovevano rispecchiare questa società ferita, animata da profonde contraddizioni interne. La consapevolezza di una progressiva ingerenza del governo nell’intimità dei cittadini, concetti come ‘guerra preventiva’ o l’abuso dell’intervento militare americano all’estero non potevano rimanere inascoltate, e Millar le rese parte integrante degli Ultimates.

Pur non facendo esplicito riferimento agli eventi luttuosi appena vissuti, Millar costruì un mondo fortemente violento e complesso, in cui la segreta corsa agli armamenti diventa il fulcro della nascita di un gruppo di supereroi, guidati dal nuovo direttore dello S.H.I.E.L.D, il generale Nick Fury. Dalla ricerca di un nuovo siero del supersoldato, affidati al dottor Robert Bruce Banner, sino alla collaborazione con il magnate degli armamenti Tony Stark, alias Iron Man, ogni espediente viene messo in campo per creare un superesercito. Una decisione che, nel corso della serie conclusasi nel 2005, diventa la fonte di un’escalation di situazioni che, nella metafora supereroica, indaga con attenzione all’interno delle ombre della società americana, che si tratti dei muri domestici o delle stanze del potere.

I protagonisti di questa serie, pur portando il nome dei grandi eroi Marvel, presentano tratti più contemporanei e in linea con quelle che era le pulsioni del periodo. Stark rimane un miliardario alcolizzato, ma più propenso alla collaborazione; Banner vive la sua dualità in una chiave psicologica moderna, fatta di insicurezze e soprusi emotivi vissuti nelle relazioni personali. Su tutti è Cap a subire la riscrittura più radicale, una forte contrapposizione al suo tradizionale ruolo, che lo porta non tanto a seguire il Sogno, in un primo momento, quanto a servire la bandiera, allineandosi al potere. Quanto realizzato da Millar con Authority, in termini narrativi, trova in Ultimates una nuova linfa, trasformando supereroi ‘tradizionali’ in strumenti analitici della contemporaneità statunitense, declinandoli in una chiave più umana, realistica, condita a una maggior violenza, fisica e verbale, che per quanto priva di eccessi, si rivela comunque una radicale rivoluzione nella tradizione marveliana. Compreso un netto utilizzo di riferimenti alla realtà, al ‘mondo fuori dalla finestra’ per dirla come Stan Lee, che dal citare attori e elementi quotidiani si spinge sino alla presenza riconoscibile dell’allora presidente, George W. Bush, nelle tavole di Ultimates.

Una nuova visione che viene trasformata in disegno da Brian Hitch. Non solo ottimo interprete del contesto urbano in cui si muovono i personaggi, Hitch regala delle tavole di combattimenti potenti, muscolari, in cui le peculiarità dei protagonisti trovano una perfetta rappresentazione. Con cura sublime, Hitch ritrae personaggi dalle movenze sciolte e contemporanee, ne valorizza la sensibilità più ferina con volti deformati dalle emozioni, regalando grandi tavole di fumetto.

Il duo Millar-Hitch inconsciamente ha dato i natali all’anima del Marvel Cinematic Universe. Ultimates, propria per questa sua voglia di portare i supereroi nella contemporaneità, ha privato i characters Marvel della loro monolitica staticità, eliminando i retaggi di un’era sociale oramai appannata, conducendoli nel nuovo millennio, avvicinandoli al nuovo gusto dei lettori, privandoli del muro che divideva fantastico e reale. Senza dimenticare come alcuni temi trattati in Ultimates, come la cultura dell’immagine pubblica e il suo sfruttamento, siano precursori di una certa dinamica sociale, rivista poi anche in opere successive come The Boys di Ennis.

Dal fumetto al Marvel Cinematic Universe

Nel quarto arco narrativo di Ultimates, Tuono (giugno 2002), Nick Fury e i membri della squadra Ultimates si ritrovano a fantasticare su quali attori avrebbero potuto eventualmente interpretarli sul grande schermo. Quando Hank Pym chiede al generale Fury chi vede come suo volto al cinema, la risposta è immediata:

“Oh, Samuel L. Jackson, naturalmente. Non ci sono alternative, dottor Pym”

Hitch e Millar si erano ispirati all’attore per il concept del loro Fury, e quando il colonello comparve al termine del primo film del Marvel Cinematic Universe, Iron Man (2008), sembrò che si fosse chiuso un cerchio. Se ci pensiamo portare un contesto fumettistico come quello marveliano al cinema con una progettualità ampia, non limitata a singoli personaggi come fatto con X-Men o Spider-Man, non era semplice, e avere una traccia che segnasse una certa empatia con i potenziali spettatori era una fortuna. Ultimates, come parte di Marvel Universe, divenne, non credo incosciamente, il perno su cui modellare questo mondo.

Non solo in termini di grammatica narrativa, più moderna e accattivante, ma anche come chiave di lettura di queste figure supereroiche, meno supereroi e più umani, compreso i loro aspetti meno nobili. Pur non arrivando agli eccessi di alcuni capitoli della saga, infatti, sono evidenti i sottotesti narrativi adattati al nuovo contesto cinematografico, specie in un capitolo come Captain America: The Winter Soldier, probabilmente il film dell’MCU maggiormente influenzato da Ultimates sul piano narrativo, oltre che visivamente, con la presenza del Triskelion e la sua distruzione. La definizione di molti personaggi, Iron Man e Capitan America in primis, paga un grosso debito di riconoscenza a Ultimates, specialmente nella costruzione del rapporto tra Steve Rogers e Bucky Barnes.

La solidità narrativa e la spettacolarità visiva di Ultimates è ancora oggi, a vent’anni dalla sua uscita, uno dei capitoli più affascinanti della storia Marvel recente, che oggi si può leggere interamente grazie al volume Ultimates – Edizione Definitiva di Panini Comics.

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