Definire cosa sia o non sia arte è particolarmente difficile in questo contesto storico, nel quale non esistono più canali artistici convenzionali e non esistono forme consolidate e universalmente riconosciute. Questo ha sì permesso una varietà artistica potenzialmente infinita, ma ha fatto anche aumentare la difficoltà di comprensione per un normale fruitore. Se consideriamo la carriera cinematografica di David Lynch ci troviamo davanti questo dilemma fin dal suo primissimo lavoro Eraserhead, un film in bianco e nero del 1977 che vive prevalentemente delle claustrofobiche e oniriche allucinazioni del protagonista.
Il regista statunitense ha una formazione accademica di tipo artistico/figurativo, e in ogni sua opera appare evidente come prediliga la potenza visiva delle singole riprese anche se a discapito di un flusso continuo e scorrevole. La narrativa è (quasi) sempre subordinata all'immagine.
La serie originale Twin Peaks rappresentò il suo primo contatto con il medium televisivo, e per Lynch divenne necessario mantenere quel flusso narrativo per tenere alta l'attenzione degli spettatori. Ma grazie alle sue scelte estetiche e di caratterizzazione, l'universo provinciale americano di Twin Peaks è rimasto ancora oggi uno dei più amati del piccolo schermo, tanto da permettere dopo più di venticinque anni la realizzazione della terza stagione, questa volta interamente curata da Lynch.
Se non avete già incominciato a vederla un avvertimento diventa opportuno: Lynch disprezza lo spettatore. In completa antitesi con quanto accaduto con la stagione appena conclusa de Il Trono di Spade, la sua (forse) ultima opera non si prefigge di far contenti i fan seguendo i meccanismi produttivi di un revival, ma guarda più in là, abbattendo e ricostruendo da zero le fondamenta stesse del racconto. E come primo grande cambiamento vi è il distacco delle vicende dalla cittadina omonima.
Il nuovo Twin Peaks è un racconto che si svolge in più parti dell'America per seguire le vicende di un folto e ben nutrito cast - quasi 200 attori coinvolti, fra volti famosi ed esordienti - per seguire l'intricato mistero dietro la sparizione del protagonista Dale Cooper rimasto intrappolato per un quarto di secolo nella Loggia Nera, la dimensione demoniaca alla base della serie. Finalmente l'agente dell'FBI riesce ad uscirne per dare la caccia al suo doppelgänger malvagio - chiamato dai fan Mr. C - ma cade in una sua trappola, bloccato in uno stato catatonico nei panni di un padre di famiglia chiamato Douglas Jones.
Avevamo fin da subito notato il cosiddetto tocco lynchiano nella doppia premiere, e nel corso dei 18 episodi abbiamo avuto conferma di tutti i vezzi registici tanto cari all'autore. La stagione si rivela un monumento ai suoi quarant'anni di carriera, un potpourri di simboli, manie e fissazioni che da sempre lo caratterizzano. Ogni dettaglio, per quanto marginale, ha un ruolo nello show, come ad esempio lo strano poster di un fungo nucleare nell'ufficio di Gordon Cole.
Parlando dell'alter ego dello stesso Lynch, il suo peso nelle vicende si può quasi dire autoreferenziale: le sue investigazioni per ritrovare il vecchio amico sono in realtà lo specchio di una profonda ricerca autoriale, in cui personaggio e autore si fondono per creare una riflessione su più livelli, magistralmente riassunta nella sequenza del sogno con l'iconica domanda Who is the dreamer?
All'interno di uno show così variegato, visionario e a tratti confusionario, l'unico vero pilastro della narrazione è Dale Cooper, o per meglio dire il suo interprete Kyle MacLachlan, che è riuscito a sdoppiarsi in tre personaggi che tuttavia risultano immediatamente riconoscibili dalle movenze e differente recitazione. È straordinario come riesca a passare dai glaciali e disumani panni di Mr. C - dove neanche batte le palpebre - a quelli innocenti e bambineschi di Dougie, in una brillante dimostrazione della sua bravura camaleontica. Il ritorno nei panni dell'agente boyscout si fa attendere (anche troppo), ma rappresenta uno dei momenti più intensi dello show.
Non tutti i personaggi della serie classica tornano sullo schermo in modo altrettanto trionfale: forse è una punizione verso il fandom, ma molti di loro rimangono confinati in un eterno loop di sofferenze personali e errori passati, probabilmente a simboleggiare il destino di una cittadina soggiogata da forze che nessuno riesce a comprendere. Vi sono tuttavia molti momenti dedicati ai fan, a partire dalla apparizione della Signora Ceppo, la cui interprete Catherine Coulson è morta due anni fa, in un lungo ed emotivo addio al personaggio.
Di tutt'altro tenore sono i personaggi nuovi, i quali riescono a portare quel cambiamento tanto voluto dall'autore. Da citare indubbiamente l'entrata in scena di Laura Dern negli intriganti panni di Diane, la segretaria di Cooper spesso nominata ma che fino ad oggi non ha mai avuto un volto.
Questa stagione di Twin Peaks rappresenta uno dei più grandi casi di libertà artistica concessa a un regista: considerato lo stato attuale del mercato televisivo, vedere uno show così fortemente sperimentale e anti-narrativo come The Return è un qualcosa di unico e a tratti magico. L'ottavo episodio rappresenta la glorificazione della sperimentazione, dove la narrazione prende una brusca battuta d'arresto e decide di mostrare solamente tramite immagini e suoni l'origine di tutta la mitologia dello show.
Alla fine della corsa, Lynch ha dato pochissime risposte e ha preferito formulare tante altre domande. Dobbiamo avercela con lui come abbiamo fatto anni fa con Lost? No, perché non ci ha mai promesso una soluzione al suo mistero. Anzi, è il mistero stesso ad essere il cuore pulsante di Twin Peaks, ed è forse giusto che rimanga una frontiera inesplorata. Il finale rimescola ancora una volta le carte in tavola e distrugge la poca consapevolezza acquisita dallo spettatore. Ora tutto è possibile.
Può Twin Peaks rivoluzionare di nuovo il mondo della televisione? È presto per dirlo, ed è difficile prevedere l'impatto culturale che avrà. La nostra speranza è che per vedere la prossima, eventuale stagione non dovremo attendere altri venticinque anni.
Se volete scavare ancora a fondo nel complesso universo di Twin Peaks, vi consigliamo di recuperare Le Vite Segrete di Twin Peaks, un gigantesco volume scritto dal co-creatore Mark Frost.