Il tema della critica alla società contemporanea è presente anche in Zardoz, diretto nel 1974 da John Boorman (Excalibur). Il film, attraverso una storia piuttosto articolata e ricca di colpi di scena, vuol essere una metafora di una società in cui pochi eletti sfruttano a proprio vantaggio masse di bruti esclusi dal benessere ma anche bande di aguzzini sostanzialmente ignoranti, che fungono da cani da guardia ma che non sono più liberi di quelli che opprimono. In Zardoz inoltre c'è anche una riflessione sul senso dell'esistenza e sulla morte come traguardo che dà un senso a tutto il resto.
Film imperfetto e forse invecchiato male, resta comunque una possente metafora dei nostri tempi
Da un punto di vista formale il film è tutt'altro che perfetto, naufragando a tratti tra ambizioni smisurate, una trama che spesso da complessa diventa complicata e una regia debordante, impreziosita da invenzioni visive radicali quanto spesso fin troppo criptiche ed intellettuali. Tutti aspetti del resto che costituiscono la cifra stilistica non solo di questo film ma di molto cinema di Boorman, sempre a cavallo tra il capolavoro e il clamoroso fallimento.
Il film, un vero e proprio cult tra gli appassionati, ha quindi proprio nelle sue qualità i suoi stessi punti deboli e al giorno d'oggi può risultare irrimediabilmente invecchiato (e male). Tuttavia se si ha la pazienza di seguirne l'astrusa e a volte straniante narrazione, si sarà premiati dalla visione di un film di insolita potenza allegorica, che però ci lascerà con l'amaro in bocca per lo sguardo dolente che lancia su un'umanità condannata da se stessa e solo parzialmente riscattata dal finale che lascia comunque intravvedere una tenue speranza.
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