Nel 1976 Nicolas Roeg, già apprezzatissimo direttore della fotografia (tra i suoi lavori migliori Fahrenheit 451 di Truffaut), sceglie di portare sullo schermo un romanzo di Walter Trevis, L'uomo che cadde sulla Terra.
Il lavoro svolto da Roeg è pieno di luci ed ombre. La sceneggiatura infatti è zeppa di lacune narrative, cambi di direzione improvvisi quanto contorti, brusche ellissi temporali che chiedono di essere colmate con l'immaginazione dello spettatore, trame accennate e mai portate a compimento.
Film di fantascienza a dir poco atipico, racconta la solitudine dei nostri tempi attraverso la figura di un fragile ma affascinante alieno
Tuttavia è anche ricca di pregi tali da essere rapidamente assurto a classico. Come film di fantascienza ad esempio è atipico, non basandosi assolutamente su mirabolanti effetti speciali o sulla presenza di astronavi, mostri, armi futuribili e quant'altro. In effetti, se non fosse per il protagonista che è un alieno, L'uomo che cadde sulla Terra non sarebbe nemmeno un film di fantascienza.
Roeg infatti cambia il punto di vista del classico film di genere, ponendo la figura dell'alieno al centro della narrazione, per raccontare la solitudine, i timori e le sconfitte della civiltà contemporanea.
David Bowie, già famoso all'epoca proprio interpretando sul palco un alieno (Ziggy Stardust And The Spiders From Mars), presta la sua fisicità e la sua intensa fragilità al protagonista, in un'interpretazione notevole.
Fenomenale anche la regia di Roeg, mai legata a codici visivi convenzionali ma al tempo stesso priva di esagerazioni autoriali e caratterizzata invece da una composizione essenziale, sempre funzionale a quanto viene narrato e da una fotografia in cui predominano i toni scuri della solitudine e dell'alienazione.
L' Uomo Che Cadde Sulla Terra |