Il mio rapporto con Umbrella Academy è iniziato tardi e con un trailer, quello del telefilm omonimo che Netflix ha rilasciato un po’ di tempo fa. A vedere il trailer sono rimasto incuriosito, quasi attratto dall’estetica e dalle premesse che questo lavoro televisivo lasciava presagire. Non posso sbilanciarmi di più perché ancora non sappiamo niente di più di questo progetto, se non che è ambizioso e sembra promettere bene, sia in termini di cast che di resa artistica.
Quel che mi ha sorpreso di più è che, nonostante l’attenzione continua, l’opera all'origine del telefilm in via di produzione, l’Umbrella Academy a fumetti, era volata via senza accendere nessuna spia sui miei radar. Quindi non ci ho pensato due volte e ho posto rimedio subito. Mi sono così tuffato nel mondo assurdo e scatenato ideato da Gerard Way, quel Gerard Way, proprio il cantante dei My Chemical Romance, e messo in scena da quel talento indiscusso che è Gabriel Bà.
E a ripensarci viene da chiedersi perché non lo abbia fatto prima, e come mai non ne stiate parlando tutti!
Punk-comedy e follia
Iniziare a leggere Umbrella Academy è un po’ come mettersi in mezzo a una strada e farsi investire da un Tir carico di mattoni. La potenza visiva e la pura e semplice follia che permea le pagine rendono questo fumetto una vera e propria giostra multicolore e piena di giri della morte.
Già dal preambolo si respira un'aria un po’ fuori dai canoni: in giro per il mondo nascono bambini a caso, senza alcun preavviso, senza i conosciuti nove mesi di gravidanza. Questi esseri urlanti semplicemente vengono al mondo nei posti più impensati, cascati per terra come deiezioni sanguinolente. E come tali sono subito abbandonati o dati via, frutto di chissà quale artificio da tenere lontano dalla propria vita. Di questi parti sconsiderati ne sopravvivono solo sette, e vengono tutti adottati dal professore Hargreeve, scienziato di fama mondiale, vincitore di Nobel e… alieno. D’altronde anche i bambini non sono da meno: essi possiedono infatti degli stranissimi superpoteri, e insieme sono addestrati dal Prof. Hargreeve al sicuro nella sua "Umbrella Academy", un incrocio tra una scuola e una casa in cui vivere, dove i sette bambini imparano col tempo ad avere un solo scopo: salvare il pianeta.
L’antefatto, che resta così sospeso, senza la necessità di una spiegazione (almeno non allo stato attuale), serve a dare il via alle due linee narrative racchiuse negli altrettanti volumi editi in Italia da Bao Publishing. Nella prima serie di episodi, seguiremo le gesta dei ragazzi ormai adulti che si riuniscono per commemorare la morte del proprio genitore adottivo. Da questo momento, si scatenerà l’inferno, dove un po’ alla volta, ciascun personaggio principale si mostrerà al lettore.
Gerard Way sfrutta in questo modo ogni singolo centimetro quadrato della pagina per approfondire i rapporti tra i fratellastri, e ancor di più come questi legami si sono evoluti nel corso del tempo, sfilacciati e incerti come accade in tutte le grandi famiglie.
Sembra un po’ il cliché della "superfamiglia con superproblemi", già ampiamente esplorata tra le pagine dei Fantastici 4 o nella più recente fatica Disney "Gli Incredibili", ma tutto sommato, la disfunzionalità della famiglia Hargreeve è talmente terrena, da assumere un sapore completamente inaspettato. C’è lo scavezzacollo (il Kraken), la bella e maledetta (La Voce), il bravo di casa (Spaceboy), e ogni stereotipo è ampiamente utilizzato nell’economia del racconto, cercando di far convergere queste caratteristiche così ordinarie verso l’espressione dei superpoteri di ognuno dei protagonisti.
Non mancano i litigi e le risse finite male con tanto di sfoggio di superforza, ma a prescindere da questo è facilissimo affezionarsi a questa banda sgangherata di anti-supereroi (e non anti-eroi, che è ben diverso), perché in ogni singola dinamica familiare si riconoscono benissimo le stesse vicissitudini che, a dimensione d’uomo, abbiamo affrontato tutti nel nostro piccolo. Non basta neanche la minaccia di una banda di musicisti folli che vogliono distruggere il mondo a mettere a tacere le asperità tra i vari membri, ma anzi le fa emergere ancora di più, soprattutto perché il pericolo imminente porta il nome di una della famiglia.
Tra i due volumi, il primo è quello più ostico, sotto certi aspetti. Si avverte chiaramente come Gerard Way abbia in mente una valanga di idee al limite del possibile e non si tira indietro dal metterle in pratica e allo stesso tempo è consapevole di trovarsi di fronte a un universo narrativo enorme, con implicazioni praticamente infinite. Questo gli ha imposto di centellinare le notizie di background in pochi fugaci frame, per lasciare quanto più spazio possibile alla trama principale. Il risultato è uno svolgersi delle vicende un po’ frammentato, con digressioni che talvolta lasciano spaesati.
Inoltre, questo non è un fumetto da leggere al volo: bisogna concentrarsi e tenere sott’occhio ogni singola virgola e ogni segno grafico, perché le metonimie narrative si sprecano e sono disseminate ovunque. Sia chiaro: questo non è un difetto, anzi, al contrario, dimostra ancora di più quanto Gerard Way sia stato in grado di assimilare i dettami della narrazione per immagini e piegarli alle sue necessità, con una disinvoltura disarmante. Questo spiega anche la vittoria degli Eisner Award come miglior miniserie, e scusate se è poco.
L'omicidio di JFK
La seconda linea narrativa sviluppata nel secondo volume, è invece una rivisitazione dell’omicidio più famoso d’America, quello del tanto amato Presidente Kennedy, condito con viaggi temporali, statue semoventi e un dio cowboy, perché no?
Anche in questo caso, il sottofondo narrativo, oltre alla trama principale, serve principalmente ad aggiungere ulteriori informazioni sugli anni passati dei protagonisti, con una particolare attenzione a Numero Cinque, il vero protagonista del volume, un bambino con l’indole e il comportamento di un sessantenne (un po’ Baby Herman ma con i superpoteri).
Questo secondo volume è di tutt'altra pasta e, nonostante il caos messo in piedi dai viaggi nel tempo, con il rischio dei famigerati paradossi e gli errori che ne derivano, è di lettura molto più scorrevole e decisa. Non mancano neanche in questo frangente continui rimandi a quel che è stato prima della morte di Hargreeve e spesso alcuni passaggi non sono di immediata comprensione, a causa di uno spropositato uso della regola "Show-Don’t-Tell", dove le vicende vengono spiegate dalle azioni dei personaggi.
Possiamo però dire che l’evoluzione della scrittura di Gerard Way c’è stata e in meglio. Il controllo della storia è più deciso e il ritmo è forsennato, senza tralasciare ovviamente le trovate allucinanti e fuori di testa.
Con questo possiamo affermare che Umbrella Academy stravolge i canoni del fumetto americano mainstream, mischiandoli a quelli della sit-com e filtrandoli attraverso una vena immaginifica senza freni, creando quella che è a tutti gli effetti una vera e propria punk-comedy supereroistica, riuscendo allo stesso a tempo a raccontare delle dinamiche familiari estremamente terrene e vicine a noi.
Lo stato dell'arte
Accanto a un ispiratissimo Gerard Way, non poteva mancare la prova di uno dei più grandi disegnatori sudamericani contemporanei: Gabriel Bà si rivela essere il gigante del fumetto quale davvero è. Le sue tavole sono dinamiche e veloci, ricche di particolari e perfettamente in linea con quello che Way cerca di raccontare.
Lo stile, un connubio tra un approccio moderno e plastico e le forme spigolose di certi disegni vintage, è un’esplosione di originalità. Le pagine sembrano vive, quasi si muovono, imperterrite mentre l’azione si sprigiona in ogni vignetta. Bà riesce a mantenere un piglio sicuro nella gestione delle scene e delle inquadrature anche nelle sequenze più ardite e complesse, con splash page doppie che sono delle piccole opere d’arte.
Nel secondo volume, inoltre, il buon Gabriel Bà si rivela essere anche un copertinista e un illustratore dal gusto sottile e dalla matita estremamente incisiva.
Il lavoro fatto da Bao, come sempre, non fa altro che impreziosire questo splendido lavoro a fumetti con un’edizione di tutto rispetto che presenta le due storie originali da sei episodi ciascuno, arricchite con prefazioni e postfazioni a firma degli autori, una nutrita selezione di bozzetti e artwork (che mostrano tra l’altro quanto Gerard Way sia non solo un abile scrittore ma anche un disegnatore da tenere d’occhio) e diverse storie complementari ambientate nello stesso universo narrativo delle due trame principali.
Lo stile di Gerard Way è esploso con The Umbrella Academy, ma anche la sua Doom Patrol (Dc Comics) aveva riscosso un buon successo, tanto che anch'essa ha ispirato un'imminente serie tv!