Nell’ultimo periodo, abbiamo avuto il privilegio di poter consultare in anteprima la versione digitale di The One Ring, gioco di ruolo acclamato da pubblico e critica che si fonda sulle opere di J.R.R. Tolkien Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli, giunto ora alla sua seconda edizione e che sarà pubblicato dall’editore svedese Free League Publishing. Ricordiamo inoltre, che questa seconda edizione vedrà prossimamente la luce nel nostro Paese a opera di Need Games!, che ne curerà la traduzione.
The One Ring ci ha piacevolmente colpito, quindi nei giorni scorsi abbiamo chiesto a Francesco Nepitello, autore del gioco in questione nonché celebre game designer italiano, la possibilità di intervistarlo e di porgli alcune domande sugli aspetti più particolari di questo prodotto. Il risultato è la seguente intervista, che si è rivelata una piacevolissima e interessantissima chiacchierata in cui sono emersi moltissimi aspetti riguardanti il game design su cui The One Ring si appoggia e sulle idee che ne stanno alla base.
Senza indugiare oltre, vi invitiamo inoltre a rimanere sintonizzati su Cultura Pop, poiché non appena riceveremo la copia fisica di The One Ring procederemo, come di consueto, alla sua recensione. Ora via con l’intervista!
L’intervista a Francesco Nepitello sulla seconda edizione di The One Ring
Ciao Francesco, grazie per il tempo che ci dedichi. Siamo certi che sia per il pubblico italiano sia per quello straniero non abbia bisogno di presentazioni, data la tua lunga carriera di successo come game designer di giochi di ruolo e da tavolo, a partire dalla prima edizione del 1993, edita da Dal Negro. A ogni modo, per i nostri lettori che si che si stanno avvicinando solo ora a questo mondo, raccontaci qualcosa in più di te: quando ti sei avvicinato al mondo del gioco di ruolo? Cosa ti ha spinto a diventare un game designer?
Avevamo questi giochi in cui usavamo il Pongo oppure il Lego, il Lego col Pongo, il Lego con gli animaletti di plastica e il Pongo, eccetera. E addirittura, questa cosa è interessante, avevamo una specie di gioco di ruolo ante litteram, perché essendo tre fratelli, eravamo due fratelli più piccoli e mio fratello maggiore, c'era mio fratello maggiore che faceva questa cosa che si chiamava: “gli imprevisti”. Quindi, che ne so, noi due più piccoli giocavamo per esempio a una cosa con uomini primitivi col Pongo, costruivamo il nostro villaggio, e così via, e lui faceva quello che succedeva, faceva gli imprevisti. Quindi, faceva già praticamente da Game Master per noi.
Quando abbiamo scoperto i giochi un ruolo, è stata una transizione totalmente naturale, non abbiamo avuto nessun problema col teatro della mente, con il fatto di avere soltanto il foglio di carta, eccetera eccetera, non è stato per niente un problema. E nel giro di pochissimo tempo, sia io che Marco siamo passati da appunto essere solo giocatori a fare i Master. Il mio primo gioco di ruolo è stato Villains and Vigilantes, gioco di supereroi della Fantasy Games Unlimited, e poi invece il primo amore vero proprio è stato Call of Cthulhu (pubblicato in Italia con il titolo de Il Richiamo di Cthulhu, NdR), di cui ho una scatola lì dietro che è proprio una reliquia vecchissima, a cui ho giocato tantissimo.
E anche quello, come un po’ tutti i giochi della Chaosium dell'epoca che ho giocato, mi ha veramente plasmato come game designer di giochi ruolo, perché non ho mai avuto quell'ottica del gioco di ruolo come parente povero del wargame, e quindi con le mappe quadrettate con le miniature. Per noi le miniature, per dire, erano una specie di aberrazione, perché avevamo talmente un mondo visivo ricco in testa quando giocavamo di ruolo, che dire: “Ah, tu sei questo”, “eh, ma non ha la stessa arma e poi è fatto così, e poi…”. Insomma, era tutto un po’ una riduzione, quindi alla fine non ce ne fregava niente, non giocavamo mai con le miniature.
E quindi tutti quei giochi che avevano una componente non tattica wargamistica alla fine sono quelli che mi sono sempre piaciuti di più, per cui ho giocato tantissimo a Call of Cthulhu, ho giocato tantissimo a Pendragon. Mi ricordo come siamo rimasti folgorati dal fatto che abbiamo passato una sessione intera facendo una festa a corte, invece che a menarci con i mostri e roba del genere. C'è stato poi il periodo anche dei giochi della White Wolf, che per quanto oggi verrebbero considerati disfunzionali avevano portato con sé molta intenzione di rinnovamento.
È stata una rivoluzione…
Avevano aperto anche un po’ il mondo del LARP, che all'epoca forse, soprattutto qui in Italia, ancora era praticamente sconosciuto.
Però ti spingeva, ti incuriosiva, ti apriva proprio a dire: “Però, potrei fare un gioco che non sia per forza su eroi scalcagnati da qualche parte che combattono con mostri e che devono livellare. Per cui si può pensare a giochi dove sei uno che plasma la realtà perché, appunto, seguendo dottrine gnostiche, è un illuminato che vede che l'uomo ha una scintilla divina può plasmare la realtà”. Erano cose fighe, dopodiché tradotte appunto in termini giocati in modo power gaming, diciamo, non rendevano. Però col giusto gruppo… Si poteva fare meglio, però già era un tentativo.
Quindi, insomma, noi abbiamo seguito questi percorsi qui, anche molto da giocatori, perché in realtà siamo arrivati a Lex Arcana già nel ‘93 come pubblicazioni, quindi dieci anni dopo aver cominciato a giocare di ruolo. E ci siamo arrivati con questa formazione, quella dove less is more. Per noi, non dovevamo fare un manuale di 300 pagine pieno di regole e di tabelle, noi pensavamo che avremmo dovuto fare qualcosa, come erano i giochi Chaosium per dire, in cui il tema è principale, è importante, e le regole lo riflettono. Per cui Lex Arcana è venuto fuori da lì. È venuto fuori da: “Cosa possiamo fare per fare in modo che il gioco si possa giocare nel modo in cui vogliamo che vada giocato e non come qualunque altro gioco precedente?”.
E allora abbiamo deciso che fosse totalmente mission based, che i tipi di personaggi fossero limitati appunto a un corpo speciale mandato a fare le missioni. Per cui, tutte cose che ti danno un uno scopo preciso, un'identità, un modus operandi e così via, e non: “Ok, siamo in taverna a Corestopitum, cosa facciamo?”. No, è tutto molto diretto e tutto molto pilotato, da un punto di vista, ma dall'altra parte ti permette di giocare all'interno di un seminato e non di dire: “ah, vabbè, lo gioco come D&D, lo gioco come un altro gioco.
Dopo di che, cosa è successo, abbiamo fatto una transizione verso il gioco da tavolo perché è uscito Magic, e inoltre qualche temo prima eravamo entrati a lavorare in Studiogiochi - Dario De Toffoli e Leo Colovini, poi Alex Randolph all'epoca - un hub di game design, siamo stati incredibilmente fortunati a trovarlo proprio a Venezia, che si occupava del gioco 360°, particolarmente non del gioco di ruolo, per cui ciò ci ha indirizzato più verso il game design del boardgame. E poi il boardgame si è dimostrato essere una cosa fattibile e utilizzabile come carriera da un punto di vista lavorativo.
In parallelo abbiamo cominciato assieme a loro a gestire negozi di giochi, per cui c'erano due cose che vengono portate assieme. Piano piano, siamo ritornati anche per passione personale al gioco di ruolo, ma con una particolare occasione: quando c'è stata fatta la classica offerta che non si può rifiutare. E cioè quando nel 2009 circa, nel 2011 c’è stata la pubblicazione, sono venuti da noi e ci hanno chiesto: “Volete fare un gioco di ruolo su Il Signore degli Anelli?”. E il bello è che noi a momenti abbiamo risposto di no, perché stavamo lavorando a giochi da tavolo ormai con successo, dal 2004 con War of the Rings (La Guerra dell’Anello, in Italiano NdR) - per questo ci hanno chiesto di fare il GdR de Il Signore degli Anelli, ovviamente, perché ci hanno detto: “Avete fatto un gioco molto tematico, considerato da tutti il miglior gioco tematico in campo Il Signore degli Anelli, eccetera eccetera, fatelo anche di ruolo”.
Però noi eravamo estremamente intimoriti poiché fare un gioco di ruolo vuol dire scrivere centinaia di pagine, scriverle in inglese perché il committente era Sophisticated Games che è inglese, e farlo proprio in quello che è probabilmente il tema e l'argomento principe del fantasy e del gioco di ruolo fantasy anglosassone. Cioè, essere degli italiani ad avvicinarsi a una roba del genere era ovviamente intimorente. Però, a costo di esaurimento nervoso, lo abbiamo fatto e fortunatamente è anche andato molto bene.
Ecco, quindi, siamo arrivati lì. Diciamo che War of the Ring ci ha riportato completamente all'interno del mondo del gioco di ruolo, che non avevamo mai abbandonato come giocatori ma che avevamo invece abbandonato come game designer. Ci siamo tornati in pieno e quindi ha rafforzato ulteriormente quella che per me e Marco è un'identità di game designer di giochi fortemente tematici. Noi non facciamo giochi non tematici. E questa è stata la ragione per la quale due o tre anni fa abbiamo cominciato a parlare con David Preti di CMON, CoolMiniOrNot, che si è avvicinato a noi con esattamente quell'idea.
Lui aveva considerato che la ditta avesse bisogno di rinforzare la componente di giochi narrativi, perché quella è la direzione anche del mercato, questo già diversi anni fa. Davide un è un ottimo talent scout che aveva capito che quella della direzione, la ditta era già molto forte dal punto di vista del game design generale per molti campi, con Andrea Chiarvesio a Torino e tutto il suo gruppo, all'epoca c'era Eric Lang grandissimo game designer di boardgame, ma diciamo gli mancava una cosa che fosse il gioco di ruolo e il gioco fortemente tematico.
E quindi siamo stati assorbiti anche noi all'interno di CoolMini e stiamo felicemente lavorando con loro da ormai un po’. Quest'anno sarà il secondo anno del nostro ingaggio, diciamo più a tempo pieno, ma avevamo già cominciato un po’ prima. Rimaniamo parzialmente indipendenti sui progetti preesistenti che sono praticamente La Guerra dell'Anello con Ares Games e The One Ring/L’Unico Anello, che sta arrivando in questo momento preciso nei negozi, no non nei negozi ma ai backers, ai finanziatori del Kickstarter.
Anche nei negozi dovrebbe uscire poi dopo poco, se non ho capito male chiacchierando con i ragazzi di Fria Ligan…
Il tanto apprezzato gioco di ruolo The One ring è dunque giunto alla sua seconda edizione, che abbiamo avuto il privilegio di consultare in anteprima in formato digitale. Per chi non dovesse conoscere questo titolo, vogliamo approfittare della presenza del suo autore per chiedere che cos'è The One Ring?
C'è stato Middle Earth Role Playing (conosciuto anche con l’acronimo MERP e con l’acronimo GiRSA per l’edizione italiana NdR) dell'Iron Crown Enterprise molti anni fa, un grandissimo successo che ha avuto tantissimi supplementi, e c'è stato poi il gioco della di Decypher, The Lord of the Rings Roleplaying, che è uscito ai tempi della lavorazione dei film di Peter Jackson. Giochi che, diciamo, avevano grandissime qualità, sicuramente MERP è stato un grandissimo classico che ha fatto giocare tantissimi di noi in un’epoca dove al gioco di ruolo si chiedevano cose diverse. Si chiedeva una cosa che oggi chiameremmo un po’ old school, una maggiore libertà di fare le cose in maniera semi improvvisata, molta esplorazione, molto combattimento.
Cosa che aveva causato nei designer di MERP di dover fare una certa violenza all'ambientazione di Tolkien, perché avevano dovuto riempire moltissimi spazi vuoti e offrire molte più opzioni. Soprattutto riguardo la magia, che è la principale cosa che un purista oggi considera abbastanza cringe quando guarda Middle Earth Role Playing, perché si sparavano palle di fuoco, eccetera eccetera… Cose da far impallidire Gandalf.
E quindi, ecco quello per esempio per me era stato assolutamente totalmente deal breaker, come dicono gli americani. Cioè: “Ok, bello, ma non sto giocando a Il Signore degli Anelli, sto giocando alla fan fiction di qualcun altro”. Anche se, ovviamente, qualunque gioco di ruolo su Il Signore degli Anelli è fan fiction. Però diciamo che quello che abbiamo cercato di fare noi è stato di essere molto, ma molto, ma molto più aderenti. La nostra bussola principale è l'aderenza al canone tolkieniano.
Quindi, il nostro è un gioco, per tornare a The One Ring, che è fatto assolutamente per gli appassionati di Tolkien. Non per gli appassionati casual, per quelli che: “Ah, ho visto il film una volta, che bello voglio ammazzare il Balrog”, ma per quelli che: “No, voglio sentirmi nella Terra di Mezzo, voglio fare delle cose che suonano assolutamente compatibili con la creazione di Tolkien”. Quindi, è stato un lavoro lungo, difficile e certosino.
Per farti un esempio, praticamente qualunque parola utilizzata nel manuale originale inglese, soprattutto tutti i termini usati per la descrizione i personaggi, sono totalmente derivati dall'opera di Tolkien. Che ne so, la scelta delle tre caratteristiche principali, le cosiddette statistiche tipo Forza, Destrezza, Costituzione, eccetera di D&D, in The One Ring sono Strength, Heart e Wits, che sono Forza, Cuore e Intelligenza, ma che sono tre parole che usa Gandalf parlando con Frodo per dirgli: “Sì, ce la farai in questa missione, avrai bisogno di tutta la tua strength, heart and wits to do it”. Per cui, abbiamo detto: “Meglio di così… Cioè, la descrizione di una persona è strenght, heart and wits, basta non c'è bisogno di cercare altrove”.
All'epoca dell'uscita con Cubicle 7 ci eravamo un po’ preoccupati e abbiamo usato Body – corpo - perché Strength, per definizione “dungeonistica”, è il sollevare pesi, mentre per definizione tolkieniana la forza è proprio la vis, nel senso che è forza anche fisica, ma è anche agilità. Legolas è descritto come uno di straordinaria strength, non di straordinaria dexterity. E quindi, serve ad indicare tutta la parte corporale e adesso, nella nuova seconda edizione uscita per Fria Ligan, invece, è tornato essere Strenght.
Ma anche tutto il resto, le skill… Abbiamo abilità come Riddle, Indovinello, che ti verrebbe da dire: “Ma come…”. Però è interessante che Tolkien stesso non usa riddle soltanto riguardo agli indovinelli di Gollum e Bilbo, ma lo usa addirittura proprio come deduzione. E quindi, che so, Gimli che trova le tracce di Sam e Frodo che sono saliti sulla barca e vede soltanto una barca sparita e vede delle tracce e dice: “Qual è la soluzione a questo indovinello...”. E quindi, per noi riddle è diventata l'abilità di deduzione, oltre all'antico gioco degli indovinelli che per esempio puoi fare con drago. Insomma, così questo è stato il nostro faro, e quindi il gioco è fatto e descritto per essere un piacere per chi è appassionato di Tolkien.
La nuova versione del gioco, io sono rimasto veramente sbalordito, sono felicissimo di come Fria Ligan l'ha realizzata, perché il contenuto, la carta che hanno scelto, la grafica e tutto il resto, ha reso al cento per cento quello che mi immaginavo. Una cosa che quando sfogli, insomma, già da sola anche senza ancora leggere già ti dice molto del contenuto e già ti fa sentire in quel mondo lì.
E quindi e così, non è non è un gioco fatto per chi si fa la domanda: “Ah, ma se gioco a questo titolo è divertente anche se non mi interessa nulla di Tolkien?”. Ok, sì, può darsi che ti piaccia però, è come dire ti perdi la metà del gioco, è come leggere Il Signore degli Anelli se non ti interessa un mondo e una creazione fantastica, l'epica, la letteratura di un certo tipo.
Come è già emerso da quanto ci hai finora raccontato, la seconda edizione di The One Ring è solo l'ultimo di una serie di titoli di cui sei autore che fanno propri l'ambientazione e l'immaginario tolkieniani. Da appassionato di Tolkien, ho apprezzato tantissimo la fedeltà all'ambientazione di cui parlavamo poc’anzi e che traspare magnificamente dalle pagine di questo gioco di ruolo. Che rapporto hai con le opere di Tolkien e cosa significano per te?
Però andava pari pari con la nostra passione per il fantastico, e quindi allora anche Lovecraft e allora altri autori, eccetera. Quindi non occupava uno spazio primario. Anche perché, effettivamente, avevamo cominciato a giocare di ruolo proprio in quel periodo e giocavamo ad altre cose. Per esempio, giocavo appunto a Call of Cthulhu, quindi ero più interessato a Lovecraft e ad approfondire quelle cose che riguardavano Lovecraft, scrivevamo racconti a la Lovecraft… Anche perché era ovviamente tutto molto più avvicinabile, non potevi certo provare a scrivere a la Tolkien! A scrivere a la Lovecraft ancora ancora ci si può provare, anche se ovviamente ha un incomparabile ingegno creativo che ha pochi paralleli nel ventesimo secolo.
Quindi, appunto, era una cosa che faceva parte perché sì, perché ovviamente era importante. Tra l'altro ho cominciato a leggerlo alle superiori in inglese, quindi interessandomi dell'aspetto anche linguistico, però appunto era là un po’ in parallelo, ma non incrociava l'aspetto invece ludico. Era un argomento, si fantasticava continuamente su come poteva essere un film de Il Signore degli Anelli, facevamo il nostro fantasy casting con ovviamente Sean Connery come Gandalf… E quindi è sempre stato là senza essere una passione consumante, fino a quando effettivamente, all'incirca nei primi anni duemila, si è cominciato a parlare con Marco Maggi e Roberto Di Meglio di come sarebbe stato un gioco di strategia nuovo, perché l'ultimo era della fine degli anni ‘70 e gli altri della Iron Crown non li giocavamo, come sarebbe stato un bel giocone di strategia che raccontava tutta la storia.
E allora lì abbiamo ricominciato a riprendere in mano, rileggere con maggiore cura, con maggiore attenzione, sempre ragionandoci come un'ipotesi possibile. Dopodiché è successo a me a Marco di incontrare questo gioco, Paths of Glory della GMT, un gioco car driven che, insieme a un paio di altri usciti prima, ha portato il wargame e il gioco di simulazione a essere un po’ più appetibile per tutti, nel senso che erano giochi un po’ più narrativi, meno esagoni e pedine, bensì appunto carte con eventi narrativi.
E quella volta, mi ricordo, colpiti dall’efficacia di questo gioco sulla Prima guerra mondiale, abbiamo detto: “Ma come sarebbe fantastico un gioco così de Il Signore degli Anelli, perché potrebbe integrare perfettamente le due vene del gioco, che sono quella strategica e quella narrativa”. Abbiamo proposto questa cosa a Roberto Di Meglio che è sembrato: “Ah, sì, sì, interessante…”, fino a quando tempo dopo se ne è venuto fuori dicendo: “Ho fatto la richiesta, ho proposto la cosa al licenziatario dei diritti”. E praticamente nel giro di poco tempo è arrivata questa cosa e abbiamo dovuto preparare effettivamente un gioco. Allora lì si è rimesso in moto questo nostro interesse, anche proprio di analizzare il testo in modo accurato, e nell'arco degli anni è diventato una specie di attività part time proprio quella di leggere, rileggere, rivedere e ovviamente apprezzare. Perché stranamente, nonostante sia diventata in parte un lavoro, non è mai calata la passione per Tolkien, anzi è una di quelle cose che insomma ci puoi passare un po’ tutta la vita a leggere, rileggere riconsiderare…
In cosa differisce questa seconda edizione di The One Ring rispetto alla prima?
Insomma, non è una seconda edizione dello stesso editore, è la prima edizione di un nuovo editore. Per cui, volendo, avrei potuto fare questo ragionamento anche in termini economici, nel senso dobbiamo offrire qualcosa di nuovo, non possiamo rioffrire una cosa che è semplicemente The One Ring 2.0, anche se vari lo chiamano The One Ring 2. In realtà, è molto di più di così. Ho fatto uno sforzo tale da considerare anche di rimettere in discussione alcune vacche sacre, diciamo, alcune cose che ormai c'erano e si facevano e tutti quanti le giocavano bene, anche se in realtà erano un po’ problematiche ma la gente si è abituata.
Quindi ho ripreso in mano certe cose delle meccaniche e un po’ ho rovesciato tutto e ricostruito tutto. È stato come smontare una cosa e rimontarla cercando di usare meno pezzi. Quindi ho cercato di lasciare sul pavimento un numero di pezzi di scarto che nel tempo ci eravamo accorti che non servivano più, per dare un'esperienza più liscia, più veloce, che al tavolo funzioni meglio, che permetta di più ai giocatori di preoccuparsi del gameplay e non di far andare avanti il gameplay, ma di godersi le conseguenze del gameplay.
E quindi, ci sono parecchie piccole cose, nella creazione del personaggio, nell'uso delle abilità, eccetera eccetera. Non meno evidente è il fatto che abbiamo spostato l'ambientazione dalle Terre Selvagge cinque anni dopo gli eventi de Lo Hobbit a invece circa dieci anni dopo in Eriador. Perché era uno degli intenti originali quando abbiamo fatto il gioco per la prima volta, di lentamente fare una transizione da Lo Hobbit verso Il Signore degli Anelli. Quindi, diciamo che una ideale terza edizione del gioco un giorno si porterà ulteriormente a ridosso della Guerra dell'Anello.
Come ci hai detto, questa seconda edizione di The One Ring è ambientata nell'Eriador e prende il via nell'anno 2965 della Terza Era. In questo periodo, la zona dell'Eriador non è particolarmente popolata, con il regno di Arnor ormai scomparso da secoli. Cosa ti ha spinto a optare per questa datazione e questi luoghi? Rispetto a un periodo più vissuto e tumultuoso, come ad esempio il 1640 T.E. utilizzato dal vecchio MERP della Iron Crown Enterprise, che vedeva l'Armor suddiviso nei tre regni con il Rhudarur già caduto sotto Angmar, l'Arthedain che ancora reggeva e il Cardolan in pieno tumulto politico, e che offriva qualche opportunità di gioco “a la D&D” in più…
Che in fondo è quello che faresti lo stesso se vai a giocare appunto in un’epoca precedente, perché è vero che ci sono delle informazioni riguardo ad Arthedain, Rhdaur, Cardolan, eccetera, però molto è comunque da riempire. Inoltre, tra l'altro, in un certo senso il dettaglio ti dà anche una maggiore costrizione, perché sai quando scoppieranno le guerre, sai quando cadrà questo, nel senso che è a disposizione di tutti quella roba. Mentre nel gap che c'è tra Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli, che uno sappia che ci sarà la Guerra dell'Anello un giorno è importante solo relativamente.
Sì, certo, se si fa la battuta: “uccido Gandal”, è chiaro che il Master se ha dei giocatori di quel tipo lì deve fare due cose: o ci mette una pezza o cambia giocatori. Quindi, diciamo che per me l'interesse di spostarlo in un periodo così lontano, considerando che il gioco ha l'ambizione di essere un gioco di grande diffusione, cioè dedicato a tutti gli appassionati di Tolkien e non solo agli appassionati che si leggono le appendici, allora era una non scelta. Dopo di che, questa cosa si capirà anche meglio con l'uscita di Ruins of the Lost Realm, che è il supplemento che stiamo finendo e che ti mostra esattamente il potenziale di un’area come l'Eriador, di cui non si sa nulla, tra virgolette, e quindi quello che ci puoi mettere dentro rimanendo però canonico.
Perché abbiamo, diciamo, pettinato ogni pagina, ogni riga, dei libri a disposizione. Tutti, anche quelli fuori dalla nostra licenza, perché i termini della licenza sono che non possiamo riportare i contenuti di quelle opere, tipo Il Silmarillion, ma ispirarci ad esse lo possiamo fare benissimo, come possiamo ispirarci a fatti storici reali. E allora, Ruins of the Lost Realm mostrerà in grande dettaglio cose che partono da frasi anche banali. Gareth Hanrahan (l’autore del summenzionato supplemento, NdR), per dire, nel popolare le coste dell'area del Minhiriath, per esempio, è partito da una frase di Gandalf, che ne Lo Hobbit dice qualcosa come: “Ah, sì, io stavo cercando dei guerrieri, anzi forse degli eroi, ma i guerrieri e gli eroi sono troppo impegnati a combattere guerre altrove”.
Quindi, chi sono questi fantomatici guerrieri ed eroi che combattono guerre altrove? Che fine hanno fatto? Per cui abbiamo applicato lo stesso filtro che avevamo applicato per le Terre Selvagge nella precedente edizione. Nella precedente edizione ci siamo posti la domanda: “I Woodmen, i Boscaioli di Bosco Atro, sono nominati ne Lo Hobbit e praticamente non sono nominati ne Il Signore degli Anelli, perché si parla solo di Beorniani. Vogliamo interpretarlo come un’idea che ha cambiato Tolkien nella forma di esposizione? Nella mappa de Lo Hobbit addirittura ci sono vari villaggi all'interno di Bosco Atro, è brutto fare finta che non siano mai esistiti solo perché Tolkien ha deciso di cambiare la storia ne Il Signore degli Anelli. Allora, nella campagna L'Oscuramento di Bosco Atro esploriamo che fine hanno fatto quei villaggi”. E quindi i giocatori giocano una campagna che determinerà se ci saranno ancora quei villaggi all'epoca de Il Signore degli Anelli oppure se andrà come ne Il Signore degli Anelli, che nessuno ne parla più.
In Eriador facciamo la stessa cosa. Nessuno parla all'epoca de Il Signore degli Anelli di città o popolazioni importanti nell’Eriador meridionale, no? Perché? Tharbad è caduta per le inondazioni soltanto sessant’anni prima che noi cominciamo a giocare in The One Ring. Sessant’anni sono pochi perché sia stata sterminata un'intera popolazione di quelle zone, no? Per cui, noi esploriamo quello e dipenderà ancora una volta da come interpretano i giocatori le loro campagne se ci sarà una popolazione, magari indipendente e resistente, che potrà aiutare e combattere assieme i popoli liberi contro Sauron nella Guerra dell'Anello oppure no.
Sappiamo che esistono i Dunlandiani ma quasi non sappiamo dove sono in realtà…
A questo punto, ti chiederei dei personaggi dei giocatori in The One Ring… Ci hai detto che sono appunto questi “eroi” di cui non si sa più nulla, ma leggendo il manuale si scopre che sono però di fatto al servizio di patroni particolarmente importanti nella guerra contro l'Ombra, quali ad esempio Gandalf, Elrond e finanche Bilbo e Tom Bombadil. A cosa si deve la scelta di inquadrarli in una definizione così marcata? Ci accennavi prima che è stata una scelta di game design per rimanere stretti nell’ambientazione…
Allora, limitare le scelte per dei giocatori e quindi inquadrare i loro personaggi in modo più preciso serve a questo, serve a mettere tutti i giocatori intorno al tavolo e fargli condividere uno scopo. A maggior ragione in un gioco dove uno dei temi ricorrenti è la fellowship, cioè la compagnia, il senso di fratellanza di un gruppo di persone che si identificano in qualcosa. E quindi il gioco funziona così, abbiamo questa idea che siano tutte persone che sono un po’ degli estranei rispetto alla loro cultura di appartenenza. Perché praticamente tutte le culture della Terza Era della Terra di Mezzo in quel momento vedono malissimo l'avventuriero. Forse solo qualche cultura elfica potrebbe ancora ancora vedere l'avventuriero come una cosa positiva, perché ad esempio Thranduil in gioventù era un avventuriero che ha fondato il suo regno degli elfi silvani. Ma altrimenti, l'avventuriero è un paria, è quello che non si è inserito nella sua nella sua società di origine e deve andare altrove a cercare fortuna. E quindi i giocatori sono avventurieri, sono paria che si sono trovati tra loro e hanno trovato un senso di appartenenza di qualche tipo.
Nel gioco potete deciderla voi qual è la cosa che li unisce oppure potete trovarla preconfezionata nel vostro patrono. È stato Gandalf, che come ha fatto con Bilbo Baggins e la compagnia dei nani, come ha fatto con Frodo più tardi, ha creato la compagnia o perlomeno ha spinto tutti quanti verso una direzione e le ha caldamente consigliato di mettersi insieme? È questo il senso. Cioè, viene detto ne Lo Hobbit, insomma, quanti giovani hobbit, maschi e femmine, sono spariti “into the blue”, dice Tolkien, per colpa di Gandalf? Quindi, quante volte l'ha fatto questo trucchetto Gandald, di andare a creare delle compagnie improvvisate per fare qualcosa che serviva a lui. E quindi, partiamo esattamente da quell’idea là, che tendenzialmente i giocatori trovano un patrono che li sponsorizza e che sfrutta la loro naturale tendenza a lasciare la loro cultura di origine.
Tornando al discorso della magia, effettivamente rispetto a tutti gli altri ai classici giochi di ruolo fantasy in cui la magia è preponderante, in The One Ring, per rimanere aderenti all'ambientazione, come ci dicevi, fondamentalmente questa non è appannaggio dei giocatori, se non per quanto riguarda oggetti, artefatti e poco altro. Mentre è appannaggio di potenti PNG come appunti gli Istari e alcuni servi dell'Ombra, come ad esempio il Re Stregone di Angmar. Però, ne Il Signore degli Anelli e ne Lo Hobbit la magia è intrinseca un po' in tutta la Terra di Mezzo, come ad esempio anche nelle canzoni e nei poemi. Nel manuale, cosa che ho molto apprezzato, ho visto che sarà possibile per i personaggi comporre canzoni riguardanti la propria compagnia, ma a parte il fornire bonus in battaglia entrano in gioco per poco altro. Nelle future espansioni ci sarà un modo per mettere in gioco anche questo aspetto magico "latente" dell'ambientazione oppure preferite lasciare questo aspetto staccato dalle potenzialità e possibilità dei personaggi?
Per cui, abbiamo fatto la stessa cosa, l'abbiamo inserito non come un sistema separato, bensì come una cosa che fa parte del tutto. Quindi noi abbiamo abilità, ad esempio come quella di sparire degli hobbit, che potrebbe non essere considerata strettamente magia, ma fa un tipo di effetto, continuando l’esempio sulla virtù degli hobbit, che appunto, viene detto anche nel libro, è considerata dalle altre culture come magica. È magica o non è magica, quindi? Se per un uomo è impossibile sparire così velocemente, così repentinamente come fa un hobbit, è magia sottile della Terra di Mezzo.
Quindi, tutti i personaggi chi più e chi meno, chiaramente gli elfi di più, i nani in parte, hanno tutti delle abilità che sono assolutamente straordinarie. Inoltre, c'è una cosa che è la più marcata differenza rispetto alla prima edizione, che è quello che si chiama il magical success. Ci sono alcune abilità, ma addirittura alcune culture ce l'hanno come blessing culturale come ad esempio gli elfi, che quando tu fai dei successi puoi ottenere un successo magico.
Un successo magico è qualcosa che va al di sopra delle possibilità del normale mortale. Tu hai fatto l’esempio delle canzoni, al di là di avere un sistema a parte, c'è l’abilità di Song, che è l’abilità di suonare o cantare, proprio nel gioco perché fa parte di Tolkien. Ti faccio un esempio, un elfo oppure un nano che ha un’arpa magica, entrambi i casi. L'arpa magica consentirà al giocatore del nano di ottenere un successo magico utilizzando l’abilità Song. L’elfo può farlo in quanto elfo. Allora cosa succede, un menestrello elfico suona, il giocatore tira Song e fa un successo. In realtà, prima ancora può spendere un punto Hope, Speranza, per ottenere un successo magico.
Successo magico vuol dire che l'azione riesce automaticamente e inoltre fa qualcosa che non è naturale. Per esempio, in Tolkien si vede proprio che era una virtù dei menestrelli elfici quella di far apparire alle persone, come delle visioni, immagini dico di ciò che cantavano. Che non vuol dire che hanno delle visioni televisive, ma che vuol dire che qualcuno per un attimo chiude gli occhi e ha questa visione di qualcosa che il menestrello sta cantando. Il giocatore con un magical success può fare esattamente questo. Può quindi fare della magia, che non vuol dire fare un incantesimo ma vuol dire fare la magia sottile della Terra di Mezzo. Cosa che consideriamo enormemente più appropriata a un gioco basato su Tolkien.
Quello che un giorno ci possa essere un sistema di magia vero e proprio, per noi è un problema, perché l'unica cosa che c'è ne Il Signore degli Anelli che viene indicata come simile a degli incantesimi, è quando Gandalf dice: “Un tempo conoscevo tutti gli incantesimi nelle lingue degli uomini, dei nani e degli orchi”. Quindi vuol dire che esistevano degli incantesimi nelle lingue degli uomini, dei nani e degli orchi, ma non più. E le conosceva lui. E lui non è un uomo, è un Maia incarnato, è un'altra categoria di creatura. E quindi, secondo noi, permettere ai giocatori di creare personaggi che fanno cose del genere significa spezzare completamente la suspension of disbelief dei giocatori, perchè dici: “Ok, non stiamo più giocando a Il Signore degli Anelli se c'è uno che lancia gli incantesimi. È un approccio molto duro, molto purista.
Leggendo il regolamento di The One Ring, ho molto apprezzato come avete trattato tutti gli aspetti legati all'Ombra, ai servi di Sauron e alla corruzione dell'animo che può scaturire da alcuni atteggiamenti dei personaggi giocanti e finanche dell'abuso di determinati oggetti magici. Parlaci un po’ di questo aspetto del gioco, che a mio avviso è determinante e che rappresentava una grande mancanza ad esempio in MERP.
Ora, invece, la nostra intenzione di designer era un altro, era quello che in realtà tutti i personaggi de Il Signore di Anelli hanno più o meno corruzione. Perché ce l'ha Boromir, ma non solo, ce l'ha anche Aragorn, Frodo tantissimo e pian piano la accumula, ma grazie al fatto che un hobbit è molto resistente. Ma per esempio Aragorn già all'inizio reagisce malamente a Omorzo Cactaceo, vecchia traduzione, dicendo: “Ah, mi chiama Grampasso, il nome che mi dà un uomo grasso il cui cuore verrebbe congelato se soltanto vedesse cosa c'è a poche miglia da casa sua”. Quella è una reazione dovuta alla corruzione, è il fatto di sentirsi superiore a qualcuno, di avere una forma di sdegno nei confronti della persona perché a lui tocca fare ‘sto lavoro anche per della gente che poi lo tratta male, per della gente che non riconosce il suo valore.
Quindi, il gioco cerca di fare questa cosa, per quello si accumulano facilmente punti corruzione, punti Ombra, perché rappresenta queste cose qua, rappresenta la hybris, rappresenta l'arroganza, rappresenta la violenza, e abbiamo messo tutti i vari modi di farlo e tutti i modi in cui si esplicita. Quindi, l'idea è che tutti i giocatori prendono punti Ombra e se ne liberano e poi se ne prendono altri. Nella nostra visione, e con la seconda edizione abbiamo cercato di renderlo ulteriormente evidente anche nelle meccaniche, l'andamento dell'Ombra è così: accumulo punti ombra, poi li perdo poi li riaccumulo, poi li perdo.
Non è una corruzione che lentamente mi farà diventare Gollum, per dire, non è quel tipo di corruzione. È una cosa che, sì, si rischia, che dipende soprattutto da come ci si comporta e da come si è esposti alle forme peggiori. Perché l'Ombra è una minaccia esteriore ed interiore, viene specificato bene da Tolkien, la minaccia dell'anello è sia come se l'anello fosse un oggetto radioattivo, ma allo stesso tempo è la tua volontà di usarlo che accresce la sua potenza, il fatto che tu vorresti fare qualcosa con quell’anello.
Ora, c'è una cosa che mi ha lasciato un attimino perplesso nel regolamento di The One Ring, ma che posso capire in ottica di semplicità di gioco, soprattutto lato Master. Mi riferisco alla difficoltà delle prove e al target number, che è fondamentalmente fisso, stabilito per ogni caratteristica e non in base alla difficoltà della prova stessa. A cosa si deve questa scelta di game design?
Era un una perdita di tempo enorme in nome di una forma di aderenza a un realismo quasi completamente immotivata, se non anche totalmente arbitraria. Nel senso che è una cosa deve inventare il Master in continuazione quella della difficoltà. C'è bisogno, diciamo, di uno sforzo talmente di fiducia nei confronti del Master in questa cosa, che molto spesso è diventata controproducente invece che essere utile. Perché un giocatore dovrebbe impegnarsi ad aumentare le proprie caratteristiche, a utilizzare le cose, a spendere i punti, se tanto il Master può dire: “No, questa è una difficoltà 18, questo è una difficoltà 20…”. L'arbitrarietà del livello di difficoltà rende praticamente un po’ vano creare tutto un sistema bilanciato di potenziamento dei personaggi, di crescita del personaggio, di investimento delle risorse, di gestione delle risorse, come la Speranza ad esempio. Perché tanto in un qualunque momento il Master ha la serata storta, non ci ha pensato bene, si sbaglia e ci spara continuamente difficoltà altissime.
Poi, si parte dall’altro assunto: tutte le azioni sono difficili, perché altrimenti non c'è bisogno di tirare. Quindi, abbiamo dato maggiormente importanza non tanto all'azione stessa, quanto alla tua capacità di superarla. Perché effettivamente, comunque, se tu metti una persona di fronte a scalare un muro, esempio stupidissimo, se uno è sovrappeso, con una gamba rotta, per lui l’azione è impossibile. Per quell'altro che è allenatissimo, non fa altro che arrampicarsi sui muri, è automatica. Per cui, ha senso fare questa valutazione della difficoltà così granulare, in modo oggettivo, senza l'intervento dell'abilità del giocatore? La risposta sarebbe, l’abilità del giocatore è già data dalla dalle sue skill. Ma nel nostro gioco, a maggior ragione, è dato da due elementi: dal tuo talento innato, che sono le tue caratteristiche Strenght, Heart e Wits, che ti dà la difficoltà, e il dado.
Dopo di che, ti dico, abbiamo preferito spostare quell'aspetto di micro-management del Master sulla definizione della pericolosità dell'azione, che non è tanto la difficoltà della stessa quanto le conseguenze del fallimento. Abbiamo visto anche nella pratica di gioco che è narrativamente molto più interessante, piuttosto che il Master debba spendere tempo a dire: “Mmh, è 12, 14, 16, 18…”. All'inizio ero un po’ scettico io stesso, perché vengo ovviamente dal fatto che il task resolution systems con difficoltà fosse una grande novità innovativa del gioco di ruolo e l'ho usata per anni. Invece, durante il playtest abbiamo visto come tutti, dopo cinque minuti, avevano abbandonato completamente ogni remora e apprezzavano assolutamente che tutto fosse lì, sul foglio del personaggio, fosse di facile riferimento, fosse molto più veloce il gameplay, molto di più il godimento dell'effettiva giocata.
Come accennavi in precedenza, il lato grafico e artistico di The One Ring è davvero notevole, come in praticamente tutti i prodotti Free League. Quanto pensi sia importante questo aspetto in un gioco di ruolo? È soltanto una compagine graziosa o è un elemento fondante che aiuta anche Master e giocatori nella lettura del manuale e anche a immedesimarsi nell'ambientazione?
Se vuoi un esempio un po’ meno personale, prova a pensarlo come una canzone e la produzione e l'arrangiamento della stessa. Tu puoi avere la canzone scritta sul pentagramma, completa di tutto, di parole e di musica: viene arrangiata in un modo ed è ignobile, viene arrangiata in un altro modo ed è fantastica. Il comparto grafico di un gioco da tavolo e di un gioco di ruolo sono l'arrangiamento del pezzo. Tu puoi scrivere la musica più bella del mondo, ma se non è arrangiata bene… Saranno in pochi ad apprezzarla, ci vuole il musicista che vede oltre, che vedendo il pentagramma dice: “Ah, ma questo pezzo è geniale, è fantastico”, perché se lo suona nella sua mente col suo arrangiamento ideale. Ma quello che non è capace, che non è tecnico in quella maniera là, la deve sentire suonata bene, arrangiata bene.
Per cui, a me dispiace, ci sono gemme nascoste da orribili presentazioni grafiche e che vale la pena di fare lo sforzo, però… Non è solo una questione economica, per me personalmente è proprio una questione di: l'occhio vuole la sua parte, assolutamente sì. È anche molto semplice, è anche una legge tra l'altro: si sa che, per esempio, nel layout, nella tipografia, tu non puoi fare un libro in colonna unica col testo a tutta pagina, è illeggibile. Lo stesso testo, lo dividi in due colonne, improvvisamente è scorrevole e le parole sono le stesse.
Puoi rivelarci qualche indiscrezione sui prodotti di prossima pubblicazione riguardanti The One Ring? Prima hai accennato a Ruins of the Lost Realm, cos’altro bolle in pentola?
Quindi, stiamo ancora inseguendo il completamento di queste cose. Addirittura c'è, che non è neanche fatto da me, il sistema per poter giocare il gioco in solitario: lo Stryder Mode di The One Ring. Per cui, c'è tutta quella parte da fare. Inoltre, c'è un'altra piccola cosa che è stata messa in posizione di priorità, a richiesta di molti fan, e cioè è la versione per quinta edizione dello stesso gioco, quello che prima si chiamava Adventures in the Middle Earth/Avventure nella Terra di Mezzo e che avrà un nome diverso non ancora definito, che è in fase di completamento del testo. Anche quello, ovviamente, ha occupato un bel po’ di tempo. Dopo di che, c'è sempre lì che ci si sta lavorando dà un bel po’ di tempo, perché ormai diventato una specie di Sacro Graal della linea, che è il supplemento di Moria, che tra l'altro, per la transizione da un editore all'altro, ha comportato una riscrittura integrale. Quindi ce n'è parecchia di roba ancora, senza andare neanche nei progetti di lungo termine.
È in previsione di andare a esplorare altre zone della Terra di Mezzo come per esempio Rohan, Gondor, eccetera?
E tra l'altro non voglio neanche fare come era stato fatto con The One Ring durante la prima edizione, dove non tutto era esattamente, secondo me, all'altezza del potenziale che aveva. Ci sono molte cose che rifarei parecchio diversamente, se avessimo avuto più tempo di farle. E quindi, qui cercheremo di farle meglio. Quindi, è possibile che alcuni luoghi che abbiamo già visitato li si visiti di nuovo, però diciamo che tendenzialmente preferirei andare altrove. Sicuramente c'è Gondor, che era una delle cose papabili… Anche se là, c’è un po’ il problema che cambia parecchio lo stile di gioco, c'è da fare dei ragionamenti parecchio approfonditi, perché chiaramente passiamo da una terra solitaria e poco abitata a un paese molto più strutturato, con diversi tipi di problemi, diversi tipi di potenziali.
Ecco, mi riallaccio a questa cosa per farti un'altra domanda che mi è saltata in mente. Nel gioco sono assenti le transazioni, non c'è il negoziante, la moneta d'oro... Però, se si sposta il focus verso Gondor, è probabilmente una cosa che dovrebbe essere introdotta...
In Gondor e Rohan, eccetera, dipende esattamente da cosa potremmo decidere di fare, perché io per esempio ho un'idea, ed è quella che avevamo spinto per fare un supplemento con Cubicle 7 che avevamo cominciato ma che poi non è continuato, ed è quello di basarsi sul fatto che all'epoca scelta per il gioco, il padre di Denethor ha fatto una specie di proclama, invitando avventurieri nel suo paese a cui avrebbe dato fama e rango.
E quindi l'idea è che probabilmente una campagna in Gondor avrebbe a che fare con: cos'è che vuole fare lo Steward di Gondor di questi avventurieri? Perché ha invitato questa gente? Per esempio, tra quelli che hanno risposto c'è stato Thorongil/Aragorn, che è andato lì. Ci sono cose di tipo bellico, per cui missioni militari, tipo come sono andate le cose quella volta che appunto Aragon andò distruggere il porto di Umbar, e, per esempio, recuperare tesori perduti di Númenor, come la ricerca dei Palantíri perduti… Tutte cose, che francamente hanno poco a che fare con aspetti come l'economia, sono cose più elevate, più interessanti, più adatte a un'avventura, insomma. Quindi, non lo so se finiremo per contemplare comunque una cosa del genere anche in un futuro, insomma.
Ci hai detto che anche per la seconda edizione di The One Ring è prevista una versione per il sistema di D&D quinta edizione. Non viene un po’ meno il discorso che facevamo prima riguardo la magia, quando ci si appoggia a un sistema che invece si fonda così tanto sulla magia?
Per cui, c'era un po’ un: “Sì, ok, buco quadrato, chiodo tondo”, cosa che stiamo cercando di migliorare con la nuova versione del gioco. Però, di sua natura questo Terra di Mezzo quinta edizione è l'adattamento di The One Ring e quindi non spazia al di fuori. Se ci sarà mai un giorno la possibilità di fare qualcos'altro, che abbia altri tipi di velleità, magari si potrà anche tentare di coniugare di più un gioco fantasy con Il Signore degli Anelli, però ora no, è comunque un gioco purista. E quindi quella parte soffre un po’. Diciamo che bisognerà pensare eventualmente un giorno di divergere le piste delle due linee e quindi fare un qualche sourcebook di magia per Terra di Mezzo quinta edizione, cosa che non sarà possibile per The One Ring… Potrebbe essere. È un'idea interessante che mi hai appena dato!
Cosa vuoi dire ai giocatori italiani per convincerli a provare questa nuova edizione di The One Ring?
Grazie mille Francesco per la tua disponibilità e per il tempo che ci hai dedicato, è stata una chiacchierata davvero interessante e divertente.
Grazie a te, è stato un piacere, a presto.