Il tempo è un compagno instancabile, capace di essere amichevole presenza che ammanta di nostalgia i momenti migliori della nostra esistenza, oppure spietato giudice delle scelte passate, pronto a metterci a confronto con le conseguenze delle nostre decisioni. Sembra esser questa inesorabile verità la scintilla vitale di The Old Man, serie marchiata FX e presentata in Italia su Disney Plus, in cui lo spettro del passato trasforma gli ultimi anni di un apparentemente pacifico uomo con diverse, troppe primavere alle spalle nella sua resa dei conti finale. Una serie che, erroneamente, si potrebbe considerare lontana dalle tradizioni narrative del colosso dell’entertainment, ma la nascita di un servizio streaming come Disney+ ha dimostrato di dover andare oltre a questo paradigma, sfruttando la presenza nel proprio palinsesto di produzioni legate ad altre properties del brand, possibilità che ha consentito di inserire a catalogo esperienze legate a una fruizione più variegata e coinvolgente dell’intrattenimento streaming. I primi quattro episodi di The Old Man, che abbiamo potuto vedere in anteprima, sembrano confermare la lucidità di questa evoluzione del servizio streaming disneyano.
Sotto questo aspetto, la pluralità di canali interni al servizio streaming disneyano consente di non limitarsi alla produzione di contenuti legati ai due brand più performanti della casa di Topolino, ossia Star Wars e Marvel, ma di rivolgersi a un pubblico eterogeneo, in cerca di contenuti profondamente diversi. Una visione lungimirante che ha consentito di arricchire l’offerta di Disney+ con storie dai toni più concreti e graffianti, come abbiamo potuto apprezzare con In nome del cielo, e che con The Old Man pare confermare l’intenzione di rendere il servizio streaming una piattaforma sempre più accogliente.
The Old Man: il passato che ritorna
In questa evoluzione dell’offerta di Disney+, The Old Man potrebbe rappresentare uno dei prodotti di maggior caratura, considerato come la natura da spy story sostanzialmente classica viene rielaborata all’interno di una definizione emotiva dei personaggi più matura, capace di concedersi i giusti tempi per valorizzare quel tratto di rimpianto e di tardiva resa dei conti che accompagna la fase calante dell’umana condizione. Adattando al mondo seriale l’omonimo romanzo di Thomas Perry, Jon Steinberg e Robert Levine mostrano di esser nuovamente capaci di cesellare un complesso ma ben percepibile intarsio di emozioni e relazioni interpersonali che sorregga la narrazione, come avevano precedentemente mostrato in Black Sails.
Dan Chase (Jeff Bridges) è un uomo solitario, che in seguito alla morte della moglie sembra aver deciso di abbandonare il mondo. Ritiratosi in una baita al limite della cilvitò, Dan vive in compagni di due cani, limitandosi a sporadici contatti telefonici con la figlia, che cerca di spronare il padre a non chiudersi eccessivamente in sé. Sin dai primi istanti, si percepisce come dietro i modi burberi e l’evidente segno del passare del tempo si nasconda un’anima ferita, ancora sofferente per la morte dell’amata compagna e che, forse come reazione alla malattia della donna, ha sviluppato una sorta di afflizione emotiva che lo porta a non sentirsi più pienamente in sé.
In queste prime battute, Bridges è sontuoso nel ritrarre un uomo che affronta il tramonto della vita, apparentemente privo di motivi per cercare nuovi stimoli, quasi arreso all’entropia della propria esistenza. I piccoli gesti, dalla fatica nell’alzarsi ai movimenti misurati e le espressioni rivelatrici sono perfette per farci entrare in empatia con questo uomo solitario, giocando una parte fondamentale nella meccanica narrativa della serie. Difficile non sviluppare un senso di affetto per quest’uomo schivo, ma che lascia emergere una sensibilità contenuta ma evidente, che si riflette nel modo in cui tratta i suoi due compagni a quattro zampe, una sintonia che viene stravolta quando, durante un tentativo di rapina, vediamo Dan mostrare un approccio dissonante con l’immagine che abbiamo maturato: freddo, metodico e, soprattutto, incredibilmente a suo agio con la conseguenza di una rapina finita male.
Quello che abbiamo appreso nella prima parte del pilot di The Old Man è un esempio di scrittura accorta, finalizzata alla costruzione di un’immagine del protagonista che fuorvia lo spettatore, preparandosi a sconvolgerlo con una serie di rivelazioni che riscrivono la percezione stessa della storia. Il pacifico Dan, infatti, si rivela ben presto un ex-operativo della CIA, scomparso dai radar anni prima, che si ritrova ora a esser braccato dall’agenzia, che ha richiamato in servizio anche un suo vecchio compagno, Harold Harper (John Lithgow), ora un funzionario di alto livello dell’F.B.I. A scatenare questa caccia all’uomo è l’ennesimo gioco di potere che anima le ombre dello spionaggio, una letale eredità dell’ultima missione di Dan, svolta trent’anni prima, che ora rischia di causare la distruzione del piccolo mondo di questo ‘old man’.
L’aspetto di maggior fascino di The Old Man è la felice crasi tra la trama spionistica, abbastanza tradizionale nella sua costruzione di una fitta rete di machiavelliche implicazioni, e la scelta di mettere sotto i riflettori un uomo stanco e oramai nella fase calante della sua esistenza, costretto a un ultimo ballo prima di poter considerare definitivamente chiuso il proprio passato. La recitazione di Bridges e Lightgow è una perfetta rappresentazione di questo delicato equilibrio, in cui il timore dell’affiorare di segreti inconfessabili e l’adamantina volontà a preservare la propria esistenza rigorosamente protetta diventano la forza motrice di una vicenda in cui passato e presente si alternano con oculatezza, tramite un insolitamente convincente utilizzo dei flashback.
Spionaggio e pentimento
All’interno di una serie simile è impossibile non mostrare scene di lotta, un’esigenza che costringe Bridges a mostrare un’invidiabile forma e una prestanza non indifferente, considerato che l'attore settantaduenne ha scoperto a metà della lavorazione della serie il linfonoma che lo ha tenuto lontano dal set per mesi, che pur apparentemente cozzando con l’iniziale ritratto di un uomo sin troppo maturo, non manca di supplire all’assenza di vigore giovanile con esperienza e il supporto dei due fedeli cani. Una costruzione della dinamicità degli scontri attenta, in cui la fisicità dei contendenti viene resa da giochi di camera che interpretano al meglio il movimento, inserendo gli scontri in condizioni in cui anche l'ambiente rappresenta un'arma nelle mani esperte dei lottatori. The Old Man si prefigge di valorizzare in ogni aspetto, compreso quello marziale, il passare degli anni di Dan, riuscendo nel non semplice intento di rendere credibile una serie dall’evidente natura action con protagonista un uomo alla soglia della terza età.
The Old Man ha il merito di avere preservato la propria identità e una cura nel ricreare questa storia capace di far fronte allo stop obbligato imposto dalle condizioni di salute di Bridges. Quando all'attore è stato diagnosticato un linfonoma, richiedendogli di sottoporsi a sessioni di chemioterapia, la produzione ha dovuto rinunciare a girare nelle location marocchine già allestite, spostando il tutto nelle più agevole california. Questa pausa non pare aver minato la qualità della serie, mentre la performance di Bridges risulta ancora più encomiabile, considerato che l'attore ha comunque affrontate scene dal forte impegno fisico nonostante le sue condizioni fisiche tutt'altro che ideali.
I primi quattro episodi dei sette previsti per The Old Man lasciano la sensazione di una storia che non si limita a presentare una trama spionistica, ma vuole anche offrire una particolare disamina sull’affrontare le conseguenze del proprio passato, offrendoci personaggi che sanno veicolari condizioni emotive realistiche e appassionanti, per un perfetto ritratto di un’ultima missione per un ‘old man’.