The Menu, recensione: un thriller da gustare

C'è molto più di un film che parla di cucina, chef assassini e commensali critici: The Menu, di Mark Mylod, è un thriller proprio da gustare.

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a cura di Elisa Erriu

Cibo: grazie a una sensibilità sempre più attenta e sentita verso tutto ciò che ingeriamo, oggi non è più possibile riempirsi soltanto la bocca e saziare la propria fame. Oggi il cibo è sinonimo di cultura, tecnica, esperienza, tradizione e ambiente. Oggi più che mai il cibo non è più soltanto "cibo". The Menu, il film del 2022 diretto da Mark Mylod e approdato recentemente su Disney Plus, è una pellicola che promette di essere un thriller a tinte horror con un'ambientazione tra portate e cucina a vista, ma porta sul tavolo molto più di questo, lodando, criticando e gelificando l'arte della critica gastronomica e il mondo degli chef.

The Menu, recensione: thriller gustoso? Sì, chef

Proprio come al ristorante ci vengono proposti antipasti, primi piatti, secondi e dessert, così The Menu offre agli spettatori una vasta scelta di spunti, idee e tematiche. E lo fa come impiattano i grandi chef: l'intero film viene proposto letteralmente in ottica di "menu".

All'inizio, i commensali arrivano nell'isola, ovviamente senza copertura di rete, perfetta per la scena di un crimine. Noi non li conosciamo, sappiamo soltanto che tra loro c'è Anya Taylor-Joy che interpreta la misteriosa quanto intrigante accompagnatrice di Nicholas Hoult, un fan ossessionato dalla cucina e dallo chef  Julian Slowik, interpretato da Ralph Fiennes.

Mentre i clienti esplorano il luogo e si siedono ai propri posti, ecco che arrivano gli amuse bouche, piccoli assaggi che solitamente i locali più ricercati propongono ai propri ospiti per "giocare con le loro bocche". La cucina, anche quella più da "gastrofighetti", è un mondo piacevole fatto di alchimia, pazzia e sensi stuzzicati. Nel corso della cena riservata a questo ristretto numero di fortunati e viziati ricchi borghesi, le portate proseguono, i gusti si spingono oltre il limite, i giochi proseguono, ma il divertimento finisce. Approfondiamo sempre di più sulla vera natura dei commensali così come dei cuochi. Finché non arriva il dessert.

Il piacere semplice e sbagliato di un S'more

Si arriva alla fine del film con un senso di sazietà e di sconvolgimento, proprio come capita nei migliori percorsi di degustazione. Il regista ha dosato tutte le spezie possibili: dramma, critica, satira, parodia, con qualche leggera spolverata di minimale azione e un horror appena percettibile, lì in fondo alla gola. Ciò che forse qualcuno si sarebbe potuto aspettare, in un film che parla di cuochi, è un uso più spietato di coltelli, carne e cucina molecolare, ma dobbiamo anticiparlo, non è quel tipo di horror. La parte più cruenta, spietata e sanguinolenta sta nel come lo chef motivi ogni suo gesto e ogni suo piatto: qua sta la riflessione più originale del film. Oggi più che mai c'è differenza tra chi mangia e chi gusta, tra chi serve e chi è servito, tra chi dà e chi prende.

Così i ruoli si ribaltano, è difficile riconoscere la vittima dal carnefice e in un crescendo di tensione ritmata e teatrale, proprio come capita in ogni cucina, diventa difficile riconoscere il piacere dall'assuefazione, la sincera stima dalla miserabile voglia di sfornare altisonanti termini, che riempiono la bocca, ma sono senza sapore. È vero, in alcune scene abbiamo percepito una mancanza, avremmo voluto approfondire le personalità dei commensali e conoscere meglio le motivazioni che hanno spinto un uomo, che ha immolato la propria vita all'arte sacra della cucina, a odiare i suoi clienti. Ma a un occhio più attento e un palato più abituato a pietanze così speziate, basteranno le poche, ben dosate parole di un Fiennes decisamente credibile nelle bianche vesti di uno chef.

Non passerà di certo inosservata la morale critica dietro ogni dialogo, inquadratura e sequenza, deliziosamente servite su piatti d'argento. Alla fine del servizio, pardon, del film, quel senso di sazietà diventerà ben presto un ricordo e proprio come succede fuori dai ristoranti più buoni che abbiamo provato, quel ricordo diventerà un'esperienza che vorremmo riprovare.

Il regista aveva già fatto a capire ai suoi spettatori, d'altronde, che è avvezzo a quelle pellicole che sono piacevoli da gustare e rigustare più volte, grazie alla sua maestria nel dosare (in modo britannico) una sottile ironia, accompagnata da un buon calice di comicità e dramma, dato che è lo stesso regista di The Big White e (S)Ex List. Ma con The Menu si spinge ancora più in là rispetto alla sua cinematografia. Questo è un film che sicuramente si apprezza di più se almeno una volta nella vita avete osato mangiare senza tenere il pane a tavola.

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