Ridley Scott torna sul grande schermo, dopo 4 anni di assenza (in gran parte imputabili alla situazione pandemica), con The Last Duel, un dramma storico solido e robusto, reso ancora più interessante da un cast corale ben ispirato ed in ottima forma. A questa pellicola tra l’altro farà seguito a stretto giro anche House of Gucci, sempre per la regia di Scott, evidentemente all’insegna di un 2021 prolifico.
The Last Duel prende spunto dall'omonimo libro del professor Jager (esperto in letteratura medievale) rielaborato in fase di sceneggiatura dal trio Affleck, Damon e Holofcener. Il lavoro di scrittura è notevole: la pellicola è divisa in tre capitoli, tutti ambientati all’incirca nello stesso lasso temporale (i primi cinque anni di matrimonio dei coniugi Carrouges), ma dedicati ai punti di vista dei tre protagonisti. All’interno di ognuno, alcuni episodi ricorrenti ma differenti per ricordi, stile e registro, al fine di enfatizzare il lavoro prospettico, cercando al tempo stesso di offrire allo spettatore un racconto completo ma mai ridondante.
L'ultimo Duello di Dio
La trama vera e propria segue quindi le gesta di due vassalli del conte Pietro d’Alencon (interpretato da un biondissimo Ben Affleck), amici in apparenza e rivali di fatto all’interno degli intricati giochi di potere della nobiltà feudale francese. Al centro delle baruffe, degli sgarbi e delle offese tra Jean de Carrouges (Matt Damon) e Jacques Le Gris (favorito del conte, interpretato da Adam Driver), si trova la vera protagonista della storia, Marguerite de Carrouges (moglie di Jacques, interpretata da Jodie Comer). All’interno di un mondo profondamente maschilista, Marguerite si staglia come figura coraggiosa e dignitosa, subendo infine un’orribile violenza sessuale da parte di Le Gris e decidendo di non lasciare impunita la questione, come viene suggerito più volte da alcuni comprimari nel corso della pellicola, in una descrizione dolorosamente veritiera di alcune prassi dell’epoca e non solo di allora.
La giustizia agognata da Marguerite si trasforma però nell’ennesimo gioco di potere tra uomini, sfociando in quello che si rivelerà essere l’ultimo Duello di Dio ospitato in territorio francese: una lotta all’ultimo sangue tra Carrouges e Le Gris per decretare, sulla base della volontà divina, il vero depositario della verità.
Aprendo una piccola parentesi storica è interessante notare come Scott sia riuscito, senza appesantire troppo la fluidità del racconto, a rendere in maniera fedele il concetto di Duello di Dio, ossia di un tipo di ordalia; evitando il rischio di confondere il duello tra uomini (il duello d’onore, sopravvissuto fino al periodo napoleonico e di cui Scott ha dipinto un fulgido affresco nella sua opera prima, I Duellanti), con il giudizio “divino”. In generale la resa storica della pellicola è più che soddisfacente, allontanandosi da quelle sbavature, forse fisiologiche, forse volute, già viste in altri lavori storici del regista .
The Last Duel è un film che parla con pochi filtri e con pochi preconcetti, restituendo un medioevo sporco e violento nelle battaglie campali (appena accennate, ma fondamentali per sostenere il ritmo), complesso ed arzigogolato nelle cerimonie politiche ma anche caldo ed accogliente nei suoi risvolti più umani.
Il lavoro di Scott prende le distanze dalle diatribe giuridiche e storiche che, soprattutto nel mondo accademico francese, ancora oggi si interrogano sulla verità dietro a questo Duello di Dio. Il caso infatti è notorio, sia per la sua estemporaneità (l’ordalia in Francia era già da tempo in disuso) sia per le numerose fonti storiche dell’epoca, le quali però non sono comunque sufficienti per far emergere oggi la realtà dei fatti accusati dalle parti. Se quindi i resoconti sono perlopiù interessati al concetto della “verità” e di come la stessa sia stata fatta emergere attraverso un sistema che di veritiero ha ben poco, il regista britannico si sofferma sullo stupro, sulla differenza delle prospettive, sull’egoismo degli uomini e sull’impossibilità a farsi ascoltare.
Un racconto certo gravoso, pur se mai pesante, ed edulcorato da un periodo storico non propriamente progressista. The Last Duel inoltre affonda leggermente il colpo, con dei rimandi evidenti a quelle problematiche purtroppo attuali ed anzi esplose con virulenza e scandalo negli ultimi anni anche all’interno dello stesso establishment hollywoodiano. Apprezzabile anche la cura ed il dettaglio con cui vengono dipinti i personaggi della vicenda: se il rischio di scadere nella macchietta o nello stereotipo è elevato, Scott lo evita con grazia, aiutato da interpretazioni solide e ben studiate.
Il racconto di una donna in un mondo di "cavalieri"
I punti più interessanti della produzione rimangono comunque due: la struttura trilineare dell’intreccio e la prestazione di Jodie Comer. Per quanto concerne il primo punto, si è già detto della buona resa di un apparato potenzialmente pesante e farraginoso, che però tiene botta e permette anzi ai protagonisti di cambiare registro, usare toni e modi diversi per descrivere magari la stessa situazione, riuscendo al tempo stesso a non uscire mai dal personaggio.
Il secondo punto è invece un grande merito individuale, perché Comer riesce a rendere la sua interpretazione sfaccettata ma coerente. Marguerite è una donna forte, ma è una donna anche “fortunata”, ed è proprio questa fortuna a darle l’illusione di poter ottenere una giustizia che, quando le si ritorce contro con umiliazioni, dubbi e la minaccia di una sorte peggiore del silenzio la fa ricredere. Al netto di una prestazione più che sufficiente per tutto il cast (sì, anche Ben Affleck biondo platino, con buona pace dei detrattori), Comer stravince.
Se quindi la scrittura è giusta e pungente, le interpretazioni solide e ben amalgamate tra loro, quello che forse manca a questo The Last Duel per emergere è un certo lirismo, una certa epicità. Personalmente non ritengo questi due elementi come necessari per la buona riuscita di un film, ma è anche vero che l’accoglienza tiepidamente sufficiente all'ultima Mostra del Cinema di Venezia e su alcune riviste deve essere attribuita alla veste morigerata della pellicola, nonostante le solite promozioni tutte trailer d’effetto e fuochi d’artificio.
Sia chiaro: non parliamo certo di una produzione a basso budget o con scarsa cura tecnica (la mano di Scott, ancora una volta con Wolski alla fotografia, non sbaglia visivamente), ma è evidente che siamo lontani dal kolossal de Le Crociate quanto ad impatto visivo ed a ritmo. Interessanti da notare le varie declinazioni, anche in termini di luce, degli stessi episodi rielaborati dai diversi ricordi dei tre protagonisti, frutto di un lavoro certosino anche se forse poco premiante poi come impatto finale.
Nel complesso The Last Duel è un film godibilissimo, denso e ben recitato. Le scene di battaglia sono tanto fugaci quanto ben ricostruite, abbastanza da far venir voglia di vederne di più e più spesso - con una nota di merito allo stile di scherma brutale e violento proposto, con ottima fedeltà storica e con buona pace del manierismo irrealistico dell’abusato Flos Duellatorum.
Il medioevo francese, dipinto con dovizia di particolari, interviene prepotentemente all’inizio per poi finire in secondo piano, lasciando spazio al vero racconto, quello senza tempo di una donna che cerca uno spazio in un mondo che ne concede poco e male. La pellicola non è esente da difetti, mancando la scintilla del capolavoro e non riuscendo a spingere l’acceleratore né sul versante intimo di Marguerite, né su quello epico cavalleresco. Quello che riesce a fare, però, è regalare una storia vera, ben confezionata, solida e precisa, con delle scelte stilistiche forse non incredibili ma ben cesellate. Se lo spettatore non è alla ricerca del nuovo Kolossal in armatura, The Last Duel è una visione consigliata.