In arrivo il 9 novembre sul catalogo Netflix, The Crown 5 decide di giocarsi il tutto e per tutto mettendo in scena uno dei decenni più difficili e controversi affrontati dalla famiglia reale britannica: quello degli anni ’90. Le stagioni precedenti, specialmente la quarta, hanno preparato il terreno per gli eventi cui assistiamo adesso, con le polemiche di settore che anticipano una storia forse fin troppo rispettosa, anche se sontuosa.
Non è la prima volta che gli anni ’90 della corona inglese ispirano un prodotto per l’intrattenimento, un lavoro che ha smosso il pubblico di tutto il mondo in questo senso è stato, ad esempio, The Queen, il film di Stephen Frears incentrato sulla scomparsa della Principessa Diana e sull’impatto che ebbe sull’Inghilterra e su tutto il mondo. Il fascino per questo specifico periodo storico deriva da una serie di fattori che hanno letteralmente spogliato la famiglia reale da ogni apparenza, dimostrando le sue debolezze e umanità. In quegli anni ancor più che adesso, con la stampa inglese affamata di nuovi scandali e segreti, di dettagli e fotografie, intessendo una violenza mediatica che ha fatto la storia
The Crown 5 si nutre di questo, anche se le riflessioni di fondo dei suoi 10 episodi vanno ben oltre i pettegolezzi. Passando attraverso gli ultimi e travagliati colpi del matrimonio di Carlo e Diana, in quegli anni l’Inghilterra stava vivendo un momento di dialogo estremamente diretto con una delle sue istituzioni più longeve, ragionando sull’importanza della corona in un presente che procedeva a passo spedito verso il domani, verso il progresso. Il cambiamento in risposta a qualcosa che sembra immobilizzato nel passato, stantio e polveroso, anacronistico nel suo modo di porsi e nel ruolo che ricopre all’interno di una società con lo sguardo altrove. Così la spinta verso una trasformazione, anche interna, si realizza in una manciata di episodi che cerca di includere tutto quanto, anche gli elementi più marginali, costruendo una storia che cerca la propria strada servendosi di un cast nuovo di zecca, fra allusioni, rivelazioni, scandali, momenti di profonda raccolta umana e un intimismo che ancora risulta interessante.
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The Crown 5: Il decennio dell’annus horribilis
Come anticipato anche sopra, The Crown 5 costruisce la sua intera narrazione ambientandola negli anni ’90. Questi non sono stati tra i più felici per la famiglia reale, per via di una serie di scandali, pettegolezzi e svolte storiche che hanno messo a dura prova non soltanto l’immagine pubblica della corona, ma anche l’importanza stessa del suo ruolo all’interno della società britannica. Così in questa nuova stagione torniamo a parlare del tormentato rapporto fra Carlo e Diana, adesso completamente senza alcuna delle sue precedenti maschere, ma anche di una famiglia che cerca di restare a galla nel marasma di novità.
Come negli anni precedenti, anche questa volta abbiamo avuto un cambio di cast, con scelte più azzeccate e altre meno. A Imelda Stauton spetta l’arduo compito di tratteggiare una regina schiacciata dalle scelte della propria famiglia e dall’imperituro passare del tempo, cercando di tenere insieme un sistema che fa acqua da tutte le parti. Gli anni ’90 sono ricordati in tutto il mondo soprattutto per gli scandali riguardanti il matrimonio fra Carlo (Dominic West) e Diana (Elizabeth Debicki), con un interesse spasmodico e maniacale, da parte della stampa per le loro vite private, superando tutti i limiti della decenza umana fra intercettazioni telefoniche, fotografie un pressing continuo e difficile da gestire.
Da questo punto di vista The Crown 5 funziona, mettendo in scena il duello all’ultimo sangue che ha portato queste due persone alla separazione consensuale e al conseguente divorzio, con gli occhi del mondo mai stanco di avere sempre più dettagli in merito, rompendo tutti i limiti pubblici che fino a quel momento avevano contraddistinto la corona inglese. Resta interessante notare come la coppia più celebre del pianeta, fautrice di una favola inarrivabile, diventi ben presto una delle armi di distruzione più forte di quella stessa favola. Il libro in cui Diana si confessa apertamente riguardo al suo matrimonio, e in seguito la sua celebre intervista con la BBC restano due fra i momenti più importanti di questa quinta stagione, rappresentando la rottura definitiva fra la donna e una famiglia che non l’ha mai compresa del tutto.
The Crown 5, però, non è soltanto questo, non è soltanto Diana, costruendo una narrazione corale che come nelle stagioni precedenti tenta di leggere gli umori del tempo attraverso i suoi stessi personaggi. Come anticipato ci troviamo in un periodo di transizione per la società inglese, transizione che inevitabilmente deve accogliere o scontrarsi con l’istituzione più conservatrice esistente. Partendo proprio da questo incontro/scontro la serie muove alcune delle sue carte più importanti, inglobando gli scandali di palazzo all’interno di una enorme metafora del cambiamento che investe ogni cosa e persona. In tutto ciò troviamo la regina e il suo consorte (Jonathan Pryce) a contatto con un presente che mette in dubbio la loro stessa esistenza, in un racconto che parla di cambiamento tenendo in estrema considerazione il viaggio che hanno affrontato fino a quel momento. I media attaccano la corona, la televisione diventa un mezzo per riflettere sulla sua permanenza o meno all’interno della società, attraverso il punto di vista del popolo, e il parlamento stesso si trasforma gradualmente in qualcos’altro, disegnando una strada che trova le sue prime conferme proprio con il finale di stagione.
In tutto questo abbiamo la riflessione umana che come al solito va oltre la leggenda, oltre le apparenze pubbliche di una famiglia, quella reale, composta da esseri umani imperfetti, succubi anche loro di una forza superiore che tenta in tutti i modi d’imbrigliare le loro esistenze, di controllarli, allineandoli lungo una scacchiera con cui nessuno riesce mai, veramente, a giocare.
Una sontuosità confermata
The Crown 5 riconferma tutta la cura delle sue precedenti stagioni dal punto di vista formale. L’estetica delle sue scenografie, la cura nel rappresentare le vite di queste persone irraggiungibili e la sontuosità in ambito anche sonoro, fanno di questa serie uno dei fiori all’occhiello di Netflix. L’insieme degli elementi nel calderone funziona molto bene, restituendo perfettamente le sensazioni preminenti di un periodo storico segnato da eventi ancora oggi indelebili.
La scrittura di Peter Morgan ha osato sempre di più con questa quinta stagione, riesumando elementi che probabilmente la famiglia reale stessa non avrebbe voluto venissero ricordati, e giocando continuamente con la dimensione della finzione e quella di un certo voyeurismo di maniera che funziona dall’inizio alla fine, cercando sempre di non prendere una posizione netta. Questo, probabilmente, è uno dei maggiori pregi di The Crown 5 e della serie in toto, quello di affrontare tantissimi momenti, anche privati, dei suoi personaggi, senza cercare mai di essere troppo di parte, e alimentando l’insieme dei punti di vista a comporne il quadro generale.
Rischiare e aspettare
The Crown 5, in conclusione, oscilla continuamente fra due dimensioni: quella privata e quella pubblica. L’attenzione narrativa non tiene solamente conto dei pettegolezzi e delle intercettazioni del caso, avvolgendo un momento storico fatto di cambiamenti, di scelte difficili e di riflessioni di fondo che diventano la voce stessa della serie. Nell’insieme degli eventi, anche delicati, a comporre questa quinta stagione non abbiamo solamente una guerra intestina alla famiglia reale ma un periodo storico delineato dai suoi eventi, dai dubbi e da un cambiamento assillante che dall’ombra di un futuro e tragico scandalo si prepara a mettere tutti, nuovamente, alla prova.