Chi sarà da oggi il mandaloriano per eccellenza di Star Wars? Domanda che già in passato ci siamo posti, quando l’esordio di Din Djarin in The Mandalorian (nomen omen, verrebbe da dire) aveva mostrato agli appassionati di Star Wars come ci fosse più di un contendente per questo onore. Per anni infatti si era tributato questo onore a Boba Fett, complice l’assenza di altri mandaloriani in primo piano nella saga di George Lucas, elemento che aveva portato ad accogliere con particolare trasporto l’annuncio di The Book of Boba Fett, serie live action interamente dedicato al letale bounty hunter. Giunti alla conclusione di questa serie, ci sarà ancora spazio per Boba Fett in Star Wars?
Domanda trabocchetto, considerato come sfruttando il Canon, che si muove agilmente tra diversi media, c’è sempre spazio per nuove avventure dei volti più amati. The Book of Boba Fett, in tal senso, rappresenta un esperimento intrigante, basato sulla riscrittura radicale di una figura che ha vissuto un’esistenza profondamente legata alla crossmedialità della saga. Da minacciosa presenza in L’Impero colpisce ancora a villain rapidamente liquidato (in modo anche ridicolo, ammettiamolo) in Il Ritorno dello Jedi, Boba Fett ha beneficiato di una vita più carismatica nelle opere derivate del Legends, tornando nel Canon con L’Attacco dei Cloni, in cui viene spiegata la sua nascita, salvo poi affrontare una complessa adolescenza nelle serie animate. Una costruzione del personaggio che mira a definire la sua aura di mistero, ma che, in un certo senso, contribuisce anche a scontrarsi con un elemento fondamentale di Star Wars: il fandom.
The Book of Boba Fett: la nuova vita del bounty hunter di Star Wars
Prima di The Book of Boba Fett, infatti, per i fan della saga Boba Fett era il mandaloriano, lo straniero senza volto protetto dal suo elmo, con pochissime battute e un carisma veicolato da piccoli, misurati gesti. Rimanendo legati al contesto cinematografico, dunque, Boba Fett basava la propria fama da badass su questi elementi distintivi. Il mostrare la sua infanzia traumatica durante la Trilogia Prequel è stato il primo passo di un approfondimento ‘canonico’ del personaggio, proseguito nella sua apparizione in The Mandalorian, dove vederlo senza casco e con il volto di Temuera Morrison, già interprete della sua matrice genetica Jango Fett, è stato un momento di grande pathos, culminato con la riappropriazione della sua iconica armatura. Quasi un voler sottolineare che solamente indossando questo inconfondibile simbolo mandaloriano Boba Fett è completo, un gradito ritorno che ha spinto il fandom ad attendersi un Boba Fett ‘stereotipato’ nella sua serie solista. Presenza, purtroppo per loro, totalmente assente.
Una mancanza che non è un tradimento verso i fan del bounty hunter, quanto la dimostrazione di come ci sia una visione possessiva da parte dei fandom, che tendono a sentirsi padroni dei personaggi e della storia. Una miopia che ho patito inizialmente nel vedere in The Book of Boba Fett un uomo differente dai precedenti ritratti del personaggio, eppure questo suo cambiamento, frutto della sua rinascita con i Tusken, è un interessante svolta narrativa, che denota come ci sia anche un certo coraggio nel volersi liberare di paradigmi narrativi prefissati per esplorare nuove strade. Scelta necessaria, considerato come oramai ci fosse già un personaggio fortemente ‘mandaloriano’, ossia Din Djarin, che abbiamo subito percepito come l’erede di Boba Fett, un dualismo che ha pesantemente ridimensionato il ruolo di Boba Fett, soprattutto per una nuova generazione di appassionati. A ben vedere, Din Djarin ha conquistato il pubblico mettendo in scena tutte le caratteristiche solitamente associate a Boba Fett, dando loro una maggior consistenza intrecciandole alle basi della cultura mandaloriana vista in Clone Wars. Ennesima mossa di avvicinamento di Din Djarin al ruolo di ‘mandaloriano’ per eccellenza, cui si è contrapposta la netta separazione di Boba Fett, che, proprio in The Mandalorian, dichiara espressamente la sua estraneità alla cultura mandaloriana.
In questa congiuntura, The Book of Boba Fett doveva trovare una nuova dimensione per il suo protagonista. Dal punto di vista concettuale, portare il clone verso un’identità differente è stata una mossa intelligente, necessaria, persino, per evitare di creare una serie che fosse un’ombra di quanto visto in The Mandalorian. Mostrare un Boba Fett sopravvissuto alla sua (ingloriosa) fine in Il ritorno dello Jedi è una strizzatina d’occhio ai fan, gestita con il giusto spirito rendendola parte di una narrazione più ampia, di cui era parte e non elemento focale. Perché il senso di The Book of Boba Fett non è racchiuso nell’effetto nostalgia tanto caro a una certa filmografia attuale (da Stranger Things a Ghostbusters Legacy), ma ha voluto dipingere una storia umana, di crescita personale, calandola nel contesto di Star Wars. Un tentativo fatto eroicamente, per quanto malamente, da Rian Johnson con Gli Ultimi Jedi, e come nel caso della pellicola citata, appesantito da alcune scelte di scrittura discutibili.
The Book of Boba Fett, al netto delle tante spietate critiche che la hanno accompagnata, non è una serie peggiore di altri prodotti di Star Wars. Se per un attimo smettiamo i panni del fan intransigente, dobbiamo riconoscere che anche i ‘capolavori’ della saga, compresa la Sacra Trilogia, mostravano alcune crepe. Il vantaggio di Star Wars è sempre stato che sfruttando la crossmedialità garantita prima dal Legends e ora dal Canon, gli apparenti ‘buchi di trama’ vengono compensati da romanzi, fumetti o, perché no, videogiochi. Tenendo presente questo, sminuire The Book of Boba Fett accusandolo di avere una scrittura meno solida di altri prodotti di Star Wars sarebbe ingiusto, ma è altrettanto evidente che ci sono alcune scelte poco felici, che hanno scontentato i fan del personaggio e di Star Wars.
Un nuovo futuro per Boba Fett?
Fan che avevano ancora negli occhi l’incredibile combattimento che in The Mandalorian aveva visto un irresistibile Boba Fett sbaragliare un’intera squadra di stromtrooper imperiali. Difficile accettare che questo combattente fenomenale sia diventato il tutt’altro che pericoloso aspirante signore del crimine di Tatooine raccontato in The Book of Boba Fett. In questo passaggio si nasconde la fragilità della serie live action di Disney+, che manca di cogliere il giusto equilibrio tra evoluzione del personaggio e scansione dei tempi narrativi, imponendo allo spettatore una visione del personaggio immediata, blandamente raccontata con i flashback.
Dove sarebbe potuta emergere la natura di letale avversario di Boba Fett, invece, vediamo un uomo fragile, che manca di lucidità negli scontri, come durante il primo attentato alla sua vita. Possiamo concedere agli sceneggiatori di aver voluto creare un’atmosfera interiore di fatica e di fragilità del personaggio, ma era questo il modo giusto? Punti di vista ovviamente, ma la sensazione è che si sia voluto forzare troppo la mano, sbiadendo eccessivamente il personaggio, allontanando gli ammiratori di Boba Fett anziché invitarli a vedere in questa serie come gli anni e le disavventure abbiano cambiato il loro beniamino. Che abbia ragione Cad Bane, quando deride Boba nell’ultimo episodio:
“Ti stai rammollendo con l’età”
Forse Boba non è stato penalizzato dall’età, ma da due episodi, il terzo e il quarto, che hanno mostrato una realizzazione poco appassionante, realizzata da un poco ispirato Robert Rodriguez, che realizza un inseguimento cittadino fiacco e privo di reale dinamismo, soffocando la verve di un momento centrale della serie. Trattandosi di una serie, ovviamente, due soli episodi non possono essere il metro di giudizio dell’intero show, ma non si può fare a meno di notare come dopo questi due capitoli mal gestiti sia tornato in scena in The Book of Boba Fett il suo erede designato, Din Djarin. Ben due capitoli della serie sono stati dedicati alla sorte di Mando, aperture a future serie di Star Wars (come quella dedicata ad Ahsoka), che hanno avuto un effetto abbastanza deleterio: il fandom ha subito osannato Din Djarin, rimpiangendolo. Una condizione a cui ha dovuto porre rimedio nuovamente Robert Rodriguez, regista dell’ultimo episodio.
Puntata che finalmente si ricorda di mettere al centro della storia l’emotività di Boba Fett. In nome dell’onore ha il merito di mostrare il fulcro di The Book of Boba Fett, l’evoluzione del bounty hunter in signore del crimine, ma soprattutto risolve alcune traversie interiori del personaggio. Al netto di una battaglia avvincente, con la presenza da fanservice impenitente di Grogu, è la cifra emotiva di quest’ultimo episodio che nobilita Boba Fett, costretto ad affrontare sia il suo passato che il suo futuro. L’arrivo nell’episodio precedente di Cad Bane, vecchio mentore di Boba, è un cerchio che si chiude, grazie a un confronto diretto tra i due, una risoluzione interiore per Boba Fett, capace di trovare dunque una nuova ragione di vita. Una ricchezza che nuovamente si perde nella mancanza di ispirazione di Rodriguez, che pur realizzandoalcuni momenti altamente adreanalinici perde lucidità nella costruzione delle fasi descrittive della vicenda, lasciando trapelare un'assenza di affinità con lo spirito di Star Wars.
The Book of Boba Fett, pur non essendo una serie perfetta, rimane una produzione interessante inserita all’interno della continuity del Canon. Sicuramente divisiva, come sanno esser le storie di rottura con lo status quo, ma cui va riconosciuto il merito di essersi presa il rischio di giocare meno sul fanservice, anzi ponendosi in contrasto aperto con le idee e i preconcetti del fandom. A giovarne è proprio Boba Fett, presentato a una nuova generazione di spettatori come un personaggio diverso, libero del pesante confronto con Din Djarin, e finalmente pronto a governare su Tatooine. Probabilmente lo vedremo comparire ancora in altre serie di Star Wars, se verrà mantenuta questa sinergia tra i personaggi, ma il suo futuro come crime lord sembra avere già trovato una potenziale minaccia futura.