Suzume, recensione: la poetica di Makoto Shinkai torna a stregare il pubblico

Makoto Shinkai torna a stregare le folle di tutto il mondo con uzume, una storia che riconferma la sua poetica ed il suo tocco particolare.

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a cura di Nicholas Massa

Il grande successo riscosso dalle precedenti pellicole ha spostato subito l’attenzione di tutti verso Suzume (Suzume no tojimari), il nuovo lungometraggio animato firmato da Makoto Shinkai. Il percorso di questo autore parla chiaro, come anche l’appeal che da sempre le sue opere hanno nei confronti del grande pubblico, fondendo a una certa fascinazione tutta orientale alcuni archetipi occidentali che sembrano funzionare di volta in volta, accompagnati da una cura formale che rasenta l’impeccabilità. Così, di film in film, questo autore è riuscito a confermare la propria cifra stilistica (fatta di modelli narrartivi che ritornano, pur se rielaborati), proponendo un insieme di storie che sa come parlare alle persone, pur attingendo da immaginari lontani e irraggiungibili.

Suzume non è da meno in questo senso, proponendo un’avventura che sa di familiare e di vicino, soprattutto se si conosce bene il modus operandi del regista, proponendo una narrazione piuttosto inclusiva (in termini di narrazione), che sfrutta quegli stessi elementi che hanno reso Shinkai celebre nel mondo, provando in tutti i modi a rielaborarli in una forma nuova, o comunque originale.

Il reale valore della pellicola, infatti, non risiede tanto nella storia che racconta, quanto nel modo in cui lo fa dal punto di vista formale. Uno dei grandi meriti del regista è quello di saper come costruire le proprie immagini, impreziosendole continuamente con una cura maniacale (in termini di animazione) e con tantissimi simbolismi e rimandi a un certo tipo di “occidentalizzazione orientale” che sa benissimo come parlare al pubblico di tutto il mondo. In Italia arriverà nei cinema dal 27 aprile 2023.

La trama di Suzume: una storia che esclude in maniera intelligente

Il nuovo lungometraggio animato di Makoto Shinkai (se interessati a recuperare gli altri li trovate o su Netflix o, in versione blu-ray, su Amazon) si apre sulla quotidianità di Suzume, una ragazza di 17 anni che vive in un piccolo paesino situato nel sud del Giappone, più precisamente nella regione del Kyūshū. La sua vita, apparentemente identica a quella degli altri adolescenti suoi coetanei, in realtà nasconde un passato doloroso, delineato dalla prematura scomparsa della madre quando aveva 4 anni. Da allora ha sempre vissuto con la zia che ha deciso di adottarla e crescerla, anche se qualcosa sembra continuare a tormentarla. Un giorno, lungo la strada verso scuola, Suzume incrocia un misterioso ragazzo poco più grande di lei che le chiede dove può trovare alcune misteriose rovine.

Affascinata da quello stranissimo scambio di informazioni deciderà in seguito di seguirlo raggiungendo un villaggio termale abbandonato da anni sulle montagne. Sul posto, però, s’imbatterà in una stranissima porta che sembra condurre in un reame meraviglioso e familiare. Spaventata la giovane fugge via dimenticando di chiudersela alle spalle e liberando una sorta di catastrofe indefinita che sembra voglia abbattersi sull’umanità del posto. Nel tentativo di chiudere la porta offrirà tutto il suo coraggio e manforte a Souta, questo il nome del giovane che ha seguito, scongiurando una probabile tragedia e finendo invischiata in un’avventura del tutto inaspettata e dalle sfumature imprevedibili.

Uno dei primissimi elementi che salta all’occhio con la trama di Suzume è proprio il suo modo di raccontare quello che succede alla protagonista. Non si tratta di un film troppo facile in termini di scrittura, dato che Shinkai cerca di fondere al suo interno elementi astratti e fantasiosi con i tormenti dell’essere umano e alcune situazioni prettamente connesse con la storia contemporanea del Giappone. Così invece di spiegare quello che avviene sullo schermo si preferisce un approccio che esclude lo spettatore, mettendolo allo stesso livello della protagonista. Tutto quello che Suzume apprenderà lungo il suo viaggio lo apprenderanno anche gli spettatori, canalizzando l’intera narrazione attraverso un’unica esperienza che cresce e matura gradualmente.

In parallelo a tutto ciò, però, troviamo un intento narrativo-formale che tende a raccontare, nei limiti del possibile, tutto quello che sfugge alla ragazza attraverso le immagini, sempre curatissime. Non è la prima volta che Shinkai sfrutta un metodo del genere per raccontare le sue storie, riuscendo ancora una volta ad affascinare, pur nella sua ripetitività strutturale.

Perché vedere Suzume: un cifra stilistica ingombrante

Uno dei più grandi meriti e difetti di Makoto Shinkai risiede nella sua poetica cinematografica, in quella cifra stilistica fatta di elementi ricorrenti e di una particolare fissazione per le storie d’amore impossibili o irrealizzabili. Questo approccio narrativo ritorna in più o meno tutte le sue pellicole seppur rielaborato con trovate interessanti, riuscendo sia a colpire che a stuccare il pubblico che lo segue instancabile. La struttura narrativa di Suzume non si distacca troppo dalle dinamiche che hanno disegnato alcuni dei suoi più grandi successi, delineando una pellicola sicuramente originale per tantissime cose, pur se contraddistinta dagli elementi tipici del regista.

Questo non è necessariamente un male dato che si tratta di un autore che sembra conoscere alla perfezione il suo seguito. La risposta più chiara possibile resta quella del pubblico, quindi, e del grande successo che il film sta ricevendo sia in patria che fuori, a dimostrazione del fatto che si tratta di un lavoro conscio delle corde che vuole toccare.

La trama di Suzume, infatti, andando oltre gli elementi più fantasiosi, parla sempre e comunque un linguaggio comprensibile a tutti, sfruttando una regia che non esclude mai ma ingloba ed emoziona, specialmente sul grande schermo. A tutto ciò dobbiamo fondere una serie di riflessioni che partono dall’intimo dei protagonisti, andando a delineare una certa immagine del Giappone contemporaneo, che sembra stranamente familiare a tutti, espandendo a dismisura le potenzialità comunicative della pellicola.

Conclusioni: uno stile maniacale

Fare buona animazione non significa solamente saper scrivere delle storie, ma anche il riuscire a rappresentarle con uno stile che susciti qualcosa nelle persone che vengono al cinema. In questo Makoto Shinkai ha sempre lavorato moltissimo, offrendo un’attenzione folle ai dettagli estetici e animati delle sue pellicole, e traslando nella loro animazione un vero e proprio marchio di fabbrica che ha saputo evolversi di volta in volta. In Suzume ritroviamo alla perfezione lo stile estetico del regista, che gioca e racconta quello che deve servendosi d’inquadrature che lasciano a bocca aperta dal punto di vista della composizione. Non solamente attenzione formale però, ma un certo tipo di sensibilità estetica che travolge sul grande schermo, funzionando anche quando scivola sul bagnato servendosi di elementi ricorrenti dagli altri film (come lo stucchevole cielo stellato che abbiamo visto più volte altrove, o la comparsa del Mc Donald’s e i protagonisti che interagiscono con il fast food).

Al netto di qualche trovata prevedibilmente melensa, comunque, ci troviamo davanti a una pellicola limata al dettaglio sotto l'aspetto tecnico, pronta a offrire un’esperienza sicuramente fuori dal comune anche in termini di colonna sonora, qui curata dai Radwimps (che avevano in precedenza collaborato con il regista sia in Your Name che in Weathering with you) e Kazuma Jin’no'uchi, e realizzata dalla cantate di TikTok Toaka. Un’esperienza cinematografica a tutto tondo che offre spunti e riflessioni anche interessanti, tratteggiando l’inaspettato viaggio di una giovane pronta a scoprire importanti segreti che la coinvolgeranno nel profondo.

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