Substack: riuscirà a cambiare il mondo dei comics?

Alla luce di recenti casi di insofferenza da parte di celebri nomi del mondo dei comics, come cambieranno le logiche del settore con la comparsa di Substack?

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a cura di Manuel Enrico

La recente notizia che un autore acclamato come Tinyon, reduce da un’apprezzata gestione del Cavaliere Oscuro, preferisca abbandonare la sua collaborazione con un colosso del calibro di DC Comics per affiancarsi a una realtà emergente come Substack ha fatto scalpore nel mondo del fumetto. La percezione da chi è esterno al settore è che Tinyon si stia imbarcando in un’avventura pericolosa, lasciando un sicuro approdo come la storica casa editrice di Batman e Superman. Eppure, dietro questa scelta ci sono logiche più personali, condivise da altri grossi nomi del settore.

Substack, infatti, si presenta come un’occasione per i talent di poter scardinare uno di lati oscuri del loro rapporto con le case editrici: i diritti sul proprio lavoro. Discorso non certo nuovo all’interno del mondo dei comics, che affonda le proprie radici nella Golden Age, che periodicamente emerge in seno alla comunità autoriale, ma che in questi anni di grandi successi cinematografici, grazie ai cinecomic, torna prepotentemente alla ribalta. Non è passato molto tempo dall’ultima denuncia di una certa importanza, firmata da Ed Brubaker, nome caro ai Veri Credenti, che non ha nascosto il proprio dissenso verso la casa editrice in una newsletter, trovando un megafono nel Guardian.

Cinecomic e autori di fumetti: quanto sono legati?

Vediamo di capire quale sia l’origine dello scontento di Brubaker, ottimo esempio per comprendere quanto Substack potrebbe essere una rivoluzione all’interno del panorama fumettistico d’oltreoceano. Da quanto i cinecomic sono comparsi, hanno fatto la fortuna delle major e di chi gestisce i diritti dei protagonisti. Che si tratti di Marvel o DC Comics, i due nomi con il roster più ricco di potenziali protagonisti di cinecomic, la realizzazione di una pellicola tratta da un fumetto genera incassi di sicuro interesse, che sia Avengers: Endgame al cinema o Justice League – Snyder’s Cut. L’interesse per i supereroi, insomma, è più vivo che mai, passando dal cinema al mondo dei videogiochi al merchandising, con l’ovvia conseguenza che si generi un giro di soldi non da poco. Per darvi un’idea, solo il Marvel Cinematic Universe genera più di venti miliardi dollari al botteghino, cifre da capogiro.

Ricordando l’assunto iniziale, ossia che molti di questi film prendono vita ispirandosi a celebri archi narrativi dei comics, verrebbe da pensare che anche gli autori di queste pagine di storia del fumetto traggano un utile dal successo dei cinecomic, tramite un riconoscimento di diritti d'autore. Assolutamente no, invece, come dimostra lo sfogo di Ed Brubaker:

“Ho avuto una grandiosa vita come autore e molto di questo è perché Cap e Winter Soldier hanno spinto molti lettori verso altri miei lavori. Ma non posso ignorare che sento una fitta allo stomaco a volte, quando la mia casella di posta si intasa di gente che mi chiede commenti sugli show”

Rabbia motivata, se pensiamo che è stato Ed Brubaker, con Steve Epting, a dare vita a una run storica di Capitan America in cui Bucky Barnes tornava dal regno dei morti per diventare Winter Soldier. Appassionante arco narrativo che è divenuto l’ossatura di Captain America: The Winter Soldier, nonché colonna portante di gran parte del Marvel Cinematic Universe, compreso il recente The Falcon & The Winter Soldier, serie che deve moltissimo in termini narrativi a Brubaker e a un’altra leggendaria penna marveliana, Mark Gruenwald. Eppure, a sentire Brubaker, Marvel non ha voluto riconoscere nulla ai due autori, limitandosi a un premio di cinquemila dollari e l’invito alla prima, prassi confermata anche da altri autori, che si sentono defraudati dei propri diritti.

Diverso il trattamento riservato a Jim Starlin, che ha ottenuto una cifra più sostanziosa da parte di Marvel per l’utilizzo del suo Thanos come villain principale del Marvel Cinematic Universe. Una vittoria che è stata la risposta a una causa, che aveva come oggetto del contendere il trattamento non corretto da parte della Casa delle Idee verso il suo autore. Ma qui, e non ce ne voglia Brubaker, conta anche il nome e il ruolo all’interno della casa editrice.

Ma tutto questo non dovrebbe essere regolato da contratti? Bell’interrogativo, ma per comprenderlo bisogna prima precisare come lavora gli autori nei colossi del comics supereroico. Il modello è quello del ‘work-for-hire’, il lavoro su commissione, un’impostazione che prevede che tutto quanto venga realizzato o anche creato da un autore durante il periodo di collaborazione con la casa editrice rimanga proprietà di quest’ultima, diritti compresi. Questo significa che tutti i personaggi Marvel creati durante la Silver Age, che si tratti di Daredevil, Fantastici Quattro o X-Men, non sono proprietà di Kirby o Everett, ma della Casa delle Idee. Certo, sono previste delle forme di compensazione, soprattutto in tempi recenti, che prevedono un minimo di remunerazione qualora storie particolarmente importanti divengano film, ma si tratti di cifre irrisorie rispetto al giro di denaro generato. Soprattutto, a detta di insider di Marvel, questi contratti spesso non vengono comunicati ai creators, quindi non vengono rivendicati.

Sembra incredibile, eppure, per quanto possa stupire, la questione dei diritti d’autore all’interno del mondo dei comics non è una novità. Il caso più noto è la vendita dei diritti di Superman da parte dei due creatori, Jerry Siegel e Joel Shuster, alla DC Comcis nel 1938, in piena Golden Age, per 68 dollari, una decisione che rimpiansero amaramente, finendo la loro vita in povertà.

Non meno emblematico è il caso del Re in persona, Jack Kirby, che quando negli anni ’70 chiese a Marvel di riavere i suoi lavori originali di Capitan America, si vide imporre dall’allora editor in chief, Jim Shooter, il vincolo di firmare una rinuncia a qualunque compenso da parte delle Casa delle Idee per l’utilizzo di tutti i personaggi da lui creati, come X-Men, Hulk o Iron Man. Un’azione che non venne dimenticata da Roz Kirby, che a un Comi-Con non mancò di aggredire verbalmente Shooter, reo di avere trattato in modo vergognoso il marito.

Diventa chiaro, quindi, comprendere come allo status attuale la figura dell’artista in seno ai due colossi sia tutt’altro che roseo. La magra chance di avere qualche briciola dell’immensa ricchezza procurata dalle proprie creazioni con lo sfruttamento dei diritti, specie per il cinema, è apparentemente il massimo che questi creators possono aspettarsi. Una condizione che Marvel e DC Comis, in modo legale ma ugualmente coercitivo, mantengono tramite la presenza di contratti ‘speciali’, con cui offrono dei bonus potenziali, ma che presentano anche un aspetto inquietante: l’unilateralità delle decisioni. Esempio è una clausola dei contratti di Marvel in cui la casa editrice si riserva il diritto di non pagare gli autori in caso una propria creazione non sia totalmente originale, facendo leva su quanto accaduto in DC nel 2015, quando vennero sospesi i pagamenti a Gerry Conway per la sua Stargirl, in quanto a parere dei vertici dell’azienda il personaggio era troppo simile a Power Girl, e quindi non erano motivati pagamenti per un’originalità assente.

Come può cambiare il sistema con Substack?

Legalmente, le case editrici non hanno nessuna colpa, si limitano a proteggere i propri interessi. I contratti sono legge, ma come dice uno degli autori più amato degli ultimi tempi dai Marvel Fan per la sua run di Captain America e per l'ottimo lavoro su Black Panther, Ta-Nehisi Coates:

“Solo perché è scritto in un contratto, non vuol dire che sia giusto. Se ho una qualche leva contro di te, otterrò di farti firmare un contratto che possa fotterti.”

Non è la prima volta che si arriva a una simile situazione nel mondo dei comics. Sul finire degli anni ’80 e primi ’90 gli allora astri emergenti, come McFarlane, Mignola Liefeld, dopo esperienze all’interno delle grandi realtà, ebbero un moto di rifiuto verso questa impostazione, dando vita a una ribellione concettuale, che vedeva nel mantenimento della proprietà dei dirittti della propria opera il suo cardine. Nacquero in quel periodo esperimenti come Image Comics, in quegli anni emersero personaggi come Spawn o Hellboy, complice anche un rinnovamento linguistico del medium fumetto che non trovava spazio in seno ai due colossi.

Se questo problema emerge ciclicamente, come mai non si pone rimedio a questo sistema? Difficile a dirsi. L’interesse delle case editrici, ovviamente, è quello di preservare lo status quo, in modo da avere sempre nuovi autori che portino avanti le avventure dei propri eroi, mantenendoli vincolati con la promessa di eventuali premi o generiche possibilità, che sembrano venire disattese il più possibile, considerato quanto supporto sta avendo la critica mossa da Brubaker. L’unica possibilità sembra essere quella seguita da figure come il citato Kirkman, con la creazione della sua Skybound, o di Millar, che con il suo Millarword ha deciso di seguire una propria modalità di valorizzazione dei personaggi, tramite la collaborazione con Netflix.

Ma tolte queste personalità forti, come possono gli autori preservare la propria opera? Attraverso un approccio diverso al medium, magari seguendo quello che le nuove tecnologie offrono. Quando negli anni ’90 i ribelli guidati da Liefeld abbandonarono Marvel, il concetto di condivisione digitale era ancora agli albori, gli stessi webcomic stavano facendo fatica ad emergere, condizione che spinse quegli autori a seguire un percorso tradizionale. Dopo trent’anni, il mondo digitale si è evoluto e il pubblico è stato educato alla fruizione in abbonamento (basta pensare allo streaming con Netflix), due presupposti che rendono più semplice fornire alternative credibile al mercato dei comics tradizionale. Soprattutto, nelle meccaniche interne, nel rapporto tra autore ed editore.

In quest’ottica, Substack vuole provare a scuotere vecchie consuetudini. L’idea alla base di questa piattaforma è la diffusione di contenuti narrativi, fumetti o testi, che siano creati in totale autonomia e libertà da talent, che saranno sostenuti dai lettori tramite il pagamento di sottoscrizioni mirate alle singole opere. Di questi abbonamenti, una piccola parte viene trattenuta da Substack, mentre il grosso della cifra rimane nelle tasche del talent. A rendere ancora più affascinante per un autore Substack è la questione dei diritti, che rimangono proprietà del talent. In un periodo in cui il mercato dell’entertainment sembra esser sempre più rivolto verso la valorizzazione dei personaggi dei comics in serie TV o film, questo aspetto non è da trascurare. Motivo per cui altri celebri nomi dell’attuale panorama fumettistico, come Scott Snyder e Jonathan Hickman, si sono avvicinati all’idea di Substack.

L’entusiasmo che circonda Substack, però, deve essere moderato dalla consapevolezza che non è la prima volta che si seguono strade simili. Già in passato abbiamo assistito alla nascita di simili piattaforme, che non sono riuscite a scardinare una prassi oramai decennale, complice anche una timida accoglienza da parte del pubblico. La presenza di nomi forti sin dall’esordio potrebbe giocare a favore di Substack, ma rimangono da superare due grandi elementi: la qualità dell’offerta e l’engagement del pubblico. Due sfide non da poco, che potrebbero decidere le sorti non solo di Substack ma della figura del talent all’interno del settore. Nel frattempo, i colossi Marvel e DC Comics continuano a guardare ai loro successi in tutto il panorama dell’entertainment, ma difficile pensare che non guardino a Substack con una cauta ansia.

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