A me piacciono le storie. Mi piacciono i libri. E mi piace parlare di storie, di come sono fatte e di libri. Di libri che non sono necessariamente fumetti, anche se magari capiterà che parli anche di quelli. Allora mi sono messo a pensare, perché di libri si può parlare in innumerevoli modi: prendendone uno e facendosi guidare fino a creare relazioni con altri testi e racconti; prendendone uno (diverso dal primo) e provando a capire cosa mi e ci ricorda, magari un film, una cosa accaduta di recente o nel passato; parlando di cosa racconta, cioè della storia; o magari di come lo racconta, cioè della voce utilizzata dall'autore per raccontare quella storia. Insomma, ho pensato che, magari, avrei dovuto scegliere un approccio, un metodo, un'angolazione precisa da cui partire.
Alla fine, dopo averci pensato molto, ho scelto di non decidere. O meglio, di volta in volta parlerò dei libri che mi piacciono e mi son piaciuti come mi sembra più adeguato rispetto al libro di cui sto parlando. Ecco svelato il titolo di questa rubrica, ammesso che si tratti di una rubrica: STORIE SENZA METODO.
Storie senza metodo: viaggio alla scoperta della letteratura
Non lo so, in effetti, se ci sia un metodo, o un campo di indagine consolidati che permetta di capire come sono fatti i libri, perché ci piacciono, o perché, invece, li troviamo insopportabili. Ci sono alcune cose che funzionano sempre, però, e quelle mi interessano: devono esserci delle azioni – cioè dei fatti, delle cose che accadono a qualcuno – e una voce che li racconta. E quando le azioni – che possono essere molto piccole, quasi insignificanti, oppure eclatanti – e un tizio o una tizia che parlano con la voce giusta – che anche quando uno scrive, in fondo, sta parlando – allora il gioco è fatto. È un po' la stessa cosa che accade coi narratori orali, che possono essere quelli da bar, o quelli che calcano un palcoscenico, oppure un parente che quando si mette a parlare tutti lo ascoltano, ma la faccenda è più o meno sempre la stessa: ci mettiamo lì e, per qualche motivo, il mondo scompare, stiamo ad ascoltare e entriamo con l'immaginazione in un altro mondo. Senza metodo, solo perché veniamo rapiti.
“Del resto la boria critica è proprio ciò che ti toglie la voglia di raccontare storie per immaginare una piccola patria di sopravvivenza" (dalla prefazione a L’Orlando innamorato raccontato in prosa).
Così, per iniziare, ho pensato che sarei potuto partire da uno degli scrittori più importanti degli ultimi cinquant'anni, uno scrittore che ha avuto una profonda influenza su molti altri che sono venuti dopo e che sono stati guidati dalla sua voce, dal suo sguardo sulle cose, dalla sua curiosità e dalla mancanza di metodo con cui ha tradotto, narrato, parlato e scritto. So che può sembrare un'esagerazione, ma vi assicuro che non lo è.
Quello scrittore è Gianni Celati, traduttore di Swift, di Twain, di Hawtorne, di Joyce e di moltissimi altri; autore di Lunario del Paradiso, Narratori delle pianure, Cinema naturale, Quattro novelle sulle apparenze e altri ancora; docente all'Università di Bologna negli anni '70 – è stato insegnante di Andrea Pazienza, fra gli altri, che gli regalò una tesina a fumetti sull'Orlando innamorato di Boiardo, ma pare che Celati l'abbia persa –, autore di testi teatrali e documentari, saggista, ma soprattutto instancabile indagatore della natura delle storie, della loro sorgente, della naturalezza con cui noi esseri umani ce le raccontiamo di continuo.
“Ho sentito raccontare la storia d’un radioamatore di Gallarate, provincia di Varese, il quale s’era messo in contatto con qualcuno che abitava su un’isola in mezzo all’Atlantico." (L’isola in mezzo all’Atlantico, in Narratori della pianure)
Lunario del paradiso, che è una scorribanda guidata da una voce che sembra jazz e che racconta il viaggio di un ragazzo in Germania alla ricerca di una ragazza conosciuta tempo prima, o Narratori delle pianure che raccoglie una serie di racconti, ciascuno ambientato in diverse città o paesi della valle del Po, dopo che Celati è andato in giro per quei posti a catturare letteralmente le storie raccontate per la strada, nei bar, nelle osterie, o nelle piazze, Quattro novelle sulla apparenze, che ridanno linfa a una tradizione del racconto concepito per il puro piacere di farlo, sono tre libri – almeno questi tre – che chiunque ami le storie dovrebbe leggere.
Così come dovrebbe leggere le cose scritte da Celati nel corso degli anni sugli aspetti più disparati della narrazione e della letteratura, con lo sguardo di uno che va alla ricerca della 'vivenza' degli umani – per usare un termine che compare nel titolo di uno dei suoi racconti – e della vivacità delle cose che sembrano banali e non lo sono affatto.
“Quando c’è un gruppo di conversazione, a volte qualcuno riprende il filo del discorso dicendo: ‘Dove eravamo?... Ah, stavamo parlando di questo’ – dal che vedete come nelle conversazioni funzioni il fulcro dell’attività narrativa, che è l’abilità di passare da una cosa all’altra tenendo sospesi i nessi tra fatti diversi, come si fa sempre nei racconti." (Narrare come attività pratica)
Ad esempio, un pezzo bellissimo, contenuto in Conversazioni del vento volatore, pubblicato da Quodlibet Compagnia Extra, intitolato Narrare come attività pratica, che parte raccontando degli studi del linguista americano William Labov, che ha studiato le storie orali raccontate nel ghetto nero e dalle gang giovanili nere, e ha scoperto che la i migliori narratori orali sono i meno colti. Quando quei ragazzi vanno al college, perdono quella capacità di raccontare, quella che Celati definisce "una speciale sensibilità alla lingua, un istinto narrativo" che con la scolarizzazione va perso. "E più si viene verso di noi" scrive Celati, "più il narrare come attività pratica viene sostituito dall'idea d'una letteratura fatta di competenze specifiche e affidata alla valutazione degli esperti", dove si perde "l'istinto narrativo, di modo che invece di raccontare si vuole spiegare".
L'importanza di Gianni Celati, delle cose che ha scritto, delle sue storie, dipende proprio dal fatto che non spiegano, ma raccontano. Affidano, cioè, al lettore, dei fatti e delle voci.
Mi sembrava il modo migliore per iniziare.
Se volete conoscere il mondo narrativo di Gianni Celati vi consigliamo la lettura di Narratori delle pianure