Siamo arrivati alla fine. O meglio, si conclude qui questa serie di appunti su Harry Potter che ho iniziato alcune settimane fa, parlando della profondità e della vastità della saga prima immaginata e poi scritta da J. K. Rowling.
Mi sono soffermato su alcune questioni e sfumature che nelle oltre tremila e cinquecento pagine della saga mi sono sembrate eclatanti, ma mi rendo conto che si tratta solo di spunti. Il territorio narrativo che ha per protagonista Harry, e che ha al suo centro Hogwarts, si estende sino ai confini dell'immaginazione e dell'esperienza umana. Sarebbe necessario molto, moltissimo tempo per esplorare tutti quel territorio, fatto di angoli nascosti, luoghi proibiti come una parte della biblioteca e la foresta che circonda la scuola di magia più famosa del mondo, o altri sconosciuti e pericolosi, come quelli che appartengono al passato di Silente o che custodiscono i frammenti dell’anima di Voldemort.
Gli insegnamenti di Harry Potter
Come ho scritto nella prima parte di questi appunti, Harry Potter è una sorta di scrigno delle interrogazioni, uno specchio in cui scoprire – esattamente come accade al suo protagonista di fronte allo Specchio delle Brame – cosa desideriamo di più e perché. Anzi, qual è il senso dei nostri desideri e l'intensità con la quale li alimentiamo.
A farci da guida in questo straordinario cammino sono in particolare alcune virtù e alcuni aspetti della nostra esperienza su questo pianeta, che chiamiamo vita: sono la conoscenza (ne abbiamo parlato la volta scorsa), l'amicizia (quella con Ron e Hermione è il perno e il motore della vicenda), la trasmissione scolastica e personale del sapere (come accade o dovrebbe accadere a scuola) e, soprattutto, l'amore. Molto banalmente e molto chiaramente l'amore.
È l’amore che ha protetto Harry, l’amore che lo ha spinto a combattere e l’amore che, più di ogni altra cosa, è in grado di disinnescare i piani dell’Oscuro Signore. Ma, anche in questo caso, per avvicinarci al finale, andiamo per gradi.
Come ho già ricordato, la Rowling ha intessuto la propria saga con lungimiranza e con un piano chiaro. Sin dall’inizio sapeva dove sarebbe andata a parare, come si sarebbe conclusa la sua epopea. E anzi, pare sia partita proprio partita dalla fine per imbastire il proprio lavoro.
Così, fin dall’inizio, ci ha avvertito. Ha disseminato il proprio cammino di indizi, ci ha lasciato intendere implicitamente ed esplicitamente che i due elementi ancestrali, viscerali e potentissimi che costituiscono il nocciolo della sua storia sarebbero stati due: amore e morte. Due parti dell’atomo che unite o scisse possono innescare esplosioni in grado di cambiare per sempre il mondo, di rovesciarlo o di amplificarlo. Due piccole parti del discorso che, da sole, contengono per intero ogni altro discorso. Le due facce di una sola medaglia che, esattamente come la nascita e la morte, contengono per intero una vita e ogni singola vita.
Come dice l’amato all’amata nel Cantico dei Cantici, il più erotico e sensuale libro della Bibbia, che ci porta a passeggio per prati verdeggianti, vigne e attraverso l’avventura di essere uomini e donne:
“Mettimi come sigillo sul tuo cuore,come sigillo sul tuo braccio;
perché forte come la morte è l’amore,
tenace come gli inferi è la passione:
le sue vampe sono vampe di fuoco,
una fiamma del Signore!
Le grandi acque non possono spegnere l’amore
né i fiumi travolgerlo”.
Ed è esattamente ciò che accade in Harry Potter, attraverso un mistero abissale, che attraversa l’esistenza di Harry dalla sua salvezza – ricordate, vero, che lui è Il bambino sopravvissuto, come recita il titolo del primo capitolo della saga? – alla sua resurrezione, accompagnata da una visione che ha per protagonista Silente.
Insomma, se dovessimo partire dall’inizio, dovremmo ricordare il momento in cui proprio Silente parla per la prima volta a Harry della Morte. E gliene parla in occasione del primo caso da risolvere, quello relativo alla Pietra Filosofale. Harry ha appena saputo che Flamel e la moglie hanno deciso di liberarsi della Pietra e, dunque, di morire. Dice Silente:
“Per uno giovane come te, sono sicuro che tutto questo sembrerà incredibile, ma per Nicolas e Peronella è proprio come andare a dormire dopo una giornata molto, molto lunga. In fine dei conti, per una mente ben organizzata, la morte non è che una nuova, grande avventura. Sai, la Pietra non era poi una cosa tanto prodigiosa. Sì, certo: tutti i soldi e tutta la vita che uno può volere… Sono le due cose che la maggior parte degli esseri umani desidera più di ogni altra… Ma il guaio è che gli uomini hanno una particolare abilità nello scegliere proprio le cose peggiori per loro”.
‘In fin dei conti, per una mente ben organizzata, la morte non è che una nuova, grande avventura’. Dice proprio così. È una affermazione sbalorditiva.
Appena letta suona semplicemente come un modo per riempire di speranza la vita di Harry. O altrimenti, un modo di vedere le cose che contempli l’eternità come possibilità, ma, in realtà, dice una cosa appunto sbalorditiva: la morte è una nuova, grande avventura non per tutti. No. Lo è per una mente ben organizzata.
Come vivere la mortalità
Cosa significa? Perché proprio una mente ben organizzata? Una mente ben organizzata – lo scopriamo nei successivi sei volumi – accetta il dono della propria mortalità. Anzi, non accetta di scendere a patti con la vita, di aggrapparsi a essa con tutte le proprie forze e di desiderare l’immortalità più di ogni altra cosa, fino al punto di spezzare la propria anima, di frammentarla e farla diventare un oggetto. Anzi, svariati oggetti detti Horcrux. Esattamente quello che fa Voldemort.
Laura Anna Macor, che ho già citato una volta e che è l’autrice di Filosofando con Harry Potter, intitola un capitolo del proprio lavoro Peggio della morte. Si tratta di una espressione che ricorre spesso – in questa forma, o in altre simili – all’interno della saga. Chi la pronuncia ha una mente organizzata, sa cioè distinguere il limite all’interno del quale deve muoversi e sa che anelare all’immortalità è inutile e insensato, sia per i babbani che per i maghi, entrambe accomunati dal fatto di essere appunto mortali.
Peggio della morte, più di ogni altra cosa, è la condizione scelta da Voldemort. Il Signore Oscuro ha rifiutato la propria condizione, ha peccato di hybris e ha desiderato a tal punto di espellere la morte dalla propria vita che ha reso la propria vita un’ombra, una parvenza di esistenza. Lo ha fatto a tal punto da dissolversi, da divenire un’essenza impalpabile che necessita di un corpo – è così che lo incontriamo all’inizio della saga – e che per realizzarsi nuovamente ha bisogno di uccidere e moltiplicare la sofferenza. Peggio della morte è la sua anima che diventa un Horcrux, cioè un oggetto, protetto da una serie di incantesimi che dovrebbero assicurarne l’intangibilità. Ma un’anima divisa in pezzi è un’anima? Quella è vita?
Ora, lo straordinario e vertiginoso paradosso del capolavoro della Rowling – ed è qui che concludiamo – consiste in un duplice salto mortale concettuale: Voldemort ha affidato la propria immortalità agli Horcrux e ha cercato di avverare la profezia uccidendo Harry, ma non si è accorto di aver trasformato lo stesso Harry in un Horcrux.
Dentro questo legame, dentro questo gioco di specchi che tende all’infinito, si chiude a doppia mandata il colpo di genio più straordinario della saga: Harry custodisce l’ultimo pezzo dell’anima del proprio nemico, che, cercando di ucciderlo, non sa di contribuire alla propria morte. Anzi, una volta eliminati tutti gli altri Horcrux, l’omicidio di Harry sancisce la morte di Voldemort e la resurrezione di Harry.
Bisogna, però, essere disposti a morire, per uccidere Voldemort. E Harry lo è. Perché, prima di lui, lo sono stati i suoi genitori e in particolare sua madre, che si è immolata per salvarlo e, immolandosi, lo ha protetto.
L’amore di sua madre, suggellato sul suo corpo dalla cicatrice impressa dal tentativo di omicidio di Voldemort, è lo scudo che lo ha protetto e che è durato intatto fino al compimento del suo diciassettesimo anno di età, ma che ha continuato ad agire come forza propulsiva per un motivo molto preciso, enunciato chiaramente, ancora una volta, da Silente: “se c’è una cosa che Voldemort non riesce a concepire, è l’amore”.
E chi non riesce a concepire quella forza capace di scardinare il mondo dai suoi pilastri, in genere vi soccombe. Chi la concepisce, come fa Harry – e come fa anche Neville, l’altro candidato a diventare il Prescelto – accetta il dono della mortalità e vi si arrende.
Non possiamo che ringraziare J. K. Rowling per questa meraviglia. Il segreto per essere felici, secondo quel che ci insegna questo smisurato capolavoro intitolato Harry Potter.
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