Storie senza metodo: Appunti su Harry Potter - Seconda parte

Storie senza metodo: continua il nostro viaggio nel mondo magico di Harry Potter, analizzando l'anima da detective story della saga

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a cura di Jacopo Masini

Facciamo un passo indietro. Nei nostri primi Appunti su Harry Potter, eravamo rimasti all’importanza della conoscenza – o meglio, della relazione tra conoscenza e magia – all’interno di Harry Potter, il capolavoro di J.K. Rowling, e ci torneremo. Anzi, ci arriveremo, perché il passo indietro serve in un certo senso per mettere in prospettiva le cose, prendere la rincorsa e poi tornare di nuovo alla meta con nuovo slancio.

E dunque, facciamo un balzo indietro nel tempo e torniamo al 1841. Perché? Ce lo spiega Ricardo Piglia, scrittore argentino, autore di uno splendido saggio sulla lettura pubblicato da Feltrinelli, intitolato L’ultimo lettore.

La nascita dell'investigatore

Ce lo racconta all’inizio del capitolo intitolato Lettori immaginari:

Una delle più importanti rappresentazioni moderne del lettore è quella dell’investigatore privato (private eye) del genere poliziesco. Non mi riferisco alla lettura in senso allegorico (Sherlock Holmes legge delle impronte sul pavimento), ma all’atto di leggere parole stampate e decifrare segni su un foglio. Di fatto, la scena che inaugura il genere (nel primo racconto poliziesco, Gli assassinii della rue Morgue, scritto nel 1841) ha luogo in una libreria di rue Montmartre, dove il narratore conosce per caso Auguste Dupin. Entrambi sono lì in cerca ‘dello stesso libro molto raro e importante’. Non sappiamo di che libro si tratti (come non sappiamo qual è il libro che legge Amleto), ma sappiamo che ruolo ha: ‘Ci avvicinò’. Il genere poliziesco nasce da quell’incontro. Dupin si profila da subito come un uomo di lettere, un bibliofilo. ‘Rimasi sorpreso’, confessa il narratore, dalla vastità delle sue letture [at the vast extent of his reading]’. Questa immagine di Dupin come un grande lettore ne definirà al figura e la funzione”.

Bene, ci siamo. Ricardo Piglia, con eccezionale acume e aprendo una prospettiva più vasta sulla storia del genere giallo, ci mostra l’origine di una figura che da allora non ha smesso di irretirci, di moltiplicarsi, di ispirare scrittori, sceneggiatori, registi di cinema, tv, fumetto e molto altro ancora: l’investigatore.

L’investigatore nasce come appassionato lettore. E non come semplice lettore di indizi, ma come lettore di libri, di storie, di saggi, tanto che il libro che stanno cercando Dupin e il narratore di Poe non è meglio identificato: potrebbe trattarsi di qualunque libro, ma l’importante è che sia tale.

Cosa c’entra Harry Potter? C’entra moltissimo. Non a caso, la nuova carriera della Rowling come scrittrice, con lo psedudonimo Robert Galbratih, è proprio quella della giallista. Ammesso che si tratti davvero di una nuova carriera, e non della naturale prosecuzione di quella intrapresa con la stesura di Harry Potter. E quest’ultima, ovviamente, è la mia tesi.

Harry Potter, tra magia e indagine

La saga della Rowling, infatti, ha almeno tre cose in comune con I delitti della Rue Morgue di Edgar Allan Poe: l’ambientazione pre-tecnologica, sebbene nel caso di Harry Potter si tratti di un aspetto relativo solo a Hogwarts e non al mondo dei babbani; una spiccata propensione per la lettura, anzi un amore viscerale per i libri, soprattutto da parte di Hermione, che è una vorace bibliofila; e, soprattutto, il susseguirsi di casi e misteri da risolvere.

I sette volumi della saga, infatti, sono scanditi da agguati, furti, omicidi, misteri, sparizioni e, in generale, da casi da risolvere, esattamente come accade nella tradizione del romanzo giallo ottocentesco e primo novecentesco, cioè del giallo a chiave. Quello in cui un investigatore, un detective, o una persona dal particolare acume – Dupin, Sherlock Holmes, Miss Murple, Nero Wolf, o altri ancora – usa la propria intelligenza per rimettere a posto le tessere del mosaico e sciogliere il mistero. In altre parole, uno dei punti di forza di Harry Potter sta nel fatto che si tratta di una serie di gialli, immersi in una atmosfera da abbazia o da monastero che, per molti aspetti, sembra ricordare Il nome della rosa di Umberto Eco. Chiunque riesca a mescolare le atmosfere dei Delitti della Rue Morgue a quelli del Nome della rosa sarà molto probabilmente destinato a ottenere un enorme successo, anche perché è tutt’altro che semplice.

Torniamo quindi a Dupin. Al fatto, cioè, che il primo investigatore della storia e il suo assistente, per così dire, si conoscano per via della passione che li accomuna: la lettura. Leggere – anzi, saper leggere – è una delle peculiarità di qualunque indagine. Comprese le indagini letterarie proprie della narratologia o della semiologia, e non a caso Umberto Eco era un semiologo e il suo investigatore – cioè Guglielmo da Baskerville, il cui cognome cita esplicitamente uno dei romanzi che hanno per protagonista Sherlock Holmes – un appassionato, anzi ossessionato lettore. Un divoratore di libri, il cui luogo prediletto per delle indagini, oltre che il luogo di perdizione del romanzo, è la biblioteca del monastero.

E la biblioteca di Hogwarts, se ci pensate un attimo, è uno dei luoghi più citati e frequentati dalla triade di investigatori protagonisti della saga, cioè Harry, Hermione e Ron. Ma non è tutto. La biblioteca e i tesori che custodisce – in particolare la sezione proibita, che di nuovo accomuna questa biblioteca a quella del Nome della rosa – sono in moltissimi casi la chiave per risolvere i misteri in cui si imbattono i protagonisti della storia, ma anche singoli problemi utili per procedere nell’avventura, come dimostrano la Pozione Polisucco, la natura del Basilisco e molti altri casi.

E qui, prima di arrivare al cuore della faccenda, ci dobbiamo soffermare sull’aspetto che ho menzionato prima, cioè il fatto che la saga, dentro le mura di Hogwarts, sia pre-tecnologica. Come ribadito più volte dal signor Weasley, il padre di Ron, appassionato cultore di manufatti e invenzioni babbane, è sorprendente il modo in cui noi poveri esseri umani senza poteri siamo riusciti a cavarcela sostituendo alla magia la tecnologia. In altre parole, la tecnologia è la nostra magia, e si tratta di una fatto – e di una sensazione – che tuttora proviamo – o almeno io provo – quando pensiamo a quante cose può fare un iPad: contemporaneamente fare foto, suonare musica, mandare mail e magari, tra un’attività e l’altra, guardarsi un film. Insomma, maghi e maghe non hanno bisogno di uno smartphone, di una tv, di fare foto, di usare un’auto – d’accordo, c’è una clamorosa eccezione, ma non vale – o un areo: ciascuna di queste cose riescono a farle servendosi della magia. Ma due cose non può fare la magia: generare cibo dal nulla e scoprire cose che non sono scritte nei libri.

Quest’ultimo punto è particolarmente illuminante, per me.

Leggere e studiare, i due strumenti dell'investigatore

Quanto Harry, Hermione e Ron si rendono conto che la biblioteca non custodisce alcun libro che possa rivelare loro come distruggere gli Horcrux, si sentono impotenti. Viene a mancare loro – in particolare a Hermione, cioè a quella che fin dall’inizio divora libri e macina soluzioni per ogni questione – lo strumento principale per risolvere i problemi e sapere cosa fare. Ora, fermatevi un momento e pensateci. Se, nel 2020, non trovassimo le informazioni che ci servono nei libri o in una biblioteca, di cosa ci serviremmo? Esatto, di Internet. Cioè del più eccezionale strumento tecnologico legato alla conoscenza inventato nell’ultimo secolo (o forse di più).

In Harry Potter, neanche facendo uso della magia, esiste un equivalente di Internet. Non esiste un web magico, una rete a portata di mano, anzi di bacchetta. In altre parole, Harry Potter è un’epopea della conoscenza libresca. Perché? Perché la Rowling ci sta dicendo una cosa chiara e forte: non è la magia la leva che solleva e rovescia il mondo, non è quella la chiave di volta. La chiave di volta, l’unico modo per risolvere i problemi è studiare. Indagare. Leggere.  E leggere significa saper leggere gli indizi, ma anche e soprattutto saper leggere nel luogo in cui è custodito il sapere: i libri.

Vale, con altrettanta importanza, anche l’insegnamento dei maestri e la conoscenza trasmessa a voce. Non si tratterebbe di una scuola, altrimenti. Ma i libri e la biblioteca di Hogwarts hanno un’importanza fondamentale e non è scontato, dal momento che è un mondo di maghi. L’importanza dello studio è tanto evidente e così radicale che non esistono scorciatoie. Non c’è il web, non c’è modo di indovinare le cose, né di scoprirle diversamente che attraverso la conoscenza tramandata da altri o le scoperte fatte in prima persona.

La stessa cosa vale anche per il futuro. E allora cosa ci sta a fare la professoressa Sibillla Cooman, insegnante di Divinazione? Ottima domanda. La stessa domanda che si è posta Isabelle Cani, autrice di Harry Potter o l’anti Peter Pan – La magia della lettura, pubblicato da Bruno Mondadori. Nessuno crede che si possa indovinare il futuro, neanche Silente, che ha assunto a suo tempo la Cooman. E allora perché insegna a Hogwarts? D’accordo, è la custode di un importantissimo segreto, sebbene non ne sia consapevole. Ma lo stesso segreto poteva essere affidato dalla Rowling a un altro personaggio. Dunque, perché esiste un’insegnante di Divinazione a cui nessuno crede? Perché la Rowling ha disseminato la sua opera di dettagli, di indizi da interpretare, anzi da leggere. La Cooman è lì per farci sapere che pretendere di governare il futuro è tanto assurdo per i babbani, quanto per i maghi. Assurdo come pretendere di governare la Morte.

Ma di questo parleremo la prossima volta.

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