Nonostante Star Trek abbia avuto una grossa presenza nelle sale cinematografiche, il suo ambito originale è da sempre la serialità televisiva. Eppure, dall’infelice fine di Star Trek: Enterprise, conclusasi nel 2005, sono passati diversi anni prima che l’universo futuro creato da Gene Roddenberry tornasse nel mondo delle serie TV con Star Trek: Discovery. E tornare là dove nessun uomo è mai giunto prima non è stato particolarmente facile.
Con l’uscita dei reboot cinematografici, iniziati nel 2009, la nuova visione di Star Trek, per quanto basata su una profonda revisione dei primi due film usciti al cinema (Star Trek: The Motion Picture e Star Trek II: L'ira di Khan), sembrava destinata a riaccendere la passione dei fan, vecchi e nuovi. E una simile possibilità non poteva certo rimanere inesplorata per un ritorno sul piccolo schermo. Anche se la prima idea firmata Alex Kurtzman e Roberto Orci, e che non vide mai la luce, era di dare vita ad una serie animata basata sui nuovi personaggi del reboot, ufficialmente rinominato Kelvin-universe.
https://youtu.be/Pa4B5dLkO50A frenare su questo slancio, però, fu lo stesso Orci, che quasi da preveggente fece un ragionamento sensato sulla rinascita cinematografica di Star Trek:
“Un film non crea un trend. Due film iniziano a mostrare che potrebbe esserci un trend e che potrebbe essere proficuo. Ma diventerà più concreto con il passare del tempo”
Discorso lungimirante, visto il successivo declino dei film al cinema, eppure nel 2009, all'arrivo del primo reboot di Star Trek al cinema, qualcuno era già pronto a riportare la creatura di Roddenberry nel suo contesto originale: il piccolo schermo.
Ritorno alle origini
Nel 2009, Bryan Fuller vide nello Star Trek di Abrams il trampolino di lancio per un ritorno del franchise nella serialità televisiva. I fan erano adirati per la chiusura di Star Trek: Enterprise, che, nonostante non fosse una delle serie più amate della saga, si interruppe proprio quando stava per farsi interessante, raccontando la nascita della Federazione Unita dei Pianeti. Fuller cercò di convincere l’entourage di Abrams spiegando la sua idea: tornare indietro nel tempo.
“Adoravo l’idea di tornare allo spirito della vecchia serie, ai suoi colori e modi di vedere le cose tipiche degli anni ’60, volevo realizzare un ritorno alle origini. Star Trek doveva ricreare se stessa. Altrimenti, tutti i personaggi sarebbero sembrati uguali. Si ha sempre un capitano, un dottore, un capo della sicurezza, ci sono sempre i soliti argomenti visti dalla solita prospettiva. Iniziava a sembrare fin troppo familiare. Quindi, tutti quei presupposti che si svolgevano su una nave stellare dovevano essere scossi”
Mentre Fuller sognava di dare vita a una nuova serie di Star Trek, al cinema uscivano gli altri due capitoli del Kelvin-Universe, Into Darkness e Beyond.
E i CBS Studios, detentori dei diritti della saga, non nascondevano di voler realizzare anche una nuova serie, facendo interessare al progetto Fuller in modo quasi maniacale, al punto che non perdeva occasione per dare la sua visione di una possibile nuova serie:
“Credo che la cosa più importante sia trovare una filosofia, e credo che al momento la più promettente sia quella attuale, con ciò che sta accadendo al nostro pianeta e alle nostre responsabilità. Sarebbe un ottimo spunto”
Tutta la voglia di Fuller, però, non fu sufficiente, in quanto si decise da più parti di non dare vita ad una nuova serie di Star Trek sino alla conclusione del nuovo ciclo cinematografico. A partite dal 2015 iniziano a rincorrersi notizie in merito ad un'aperura allo sviluppo di un progetto in tal senso, con ipotesi varie, ma l’unica certezza, dopo una gara a tre, fu che la nuova serie di Star Trek sarebbe stata trasmessa da Netflix fuori dagli States, che vinse la concorrenza di Hulu e Amazon Prime Video.
La scelta di Netflix fu dettata dalla maggior diffusione internazionale, aspetto che era visto come vincente per il ritorno in grande stile di Star Trek nel mondo della serialità. Un mondo che era profondamente cambiato dai tempi di Star Trek: Enterprise. Il pubblico era abituato ad una nuova fantascienza, veicolata da prodotti di alta qualità, sia narrativa che visiva, come Battlestar Galactica (realizzata da un nome celebre di Star Trek, Ronald D. Moore) e The Expanse.
Vista la tenacia con cui Fuller professava il suo interesse, venne assunto come showrunner della nuova serie di Star Trek. A vedere il lui il nome giusto fu David Stapt, presidente dei CBS Studios:
“Quando abbiamo iniziato a valutare un ritorno della serie in televisione, immediatamente abbiamo visto in Bryan Fuller la persona ideale per lavorare al fianco di Alex Kurtzman per dare vita ad una visione fresca e autentica di questa serie senza tempo. Bryan non è solamente uno scrittore dotato, ma un autentico fan di Star Trek. Avere qualcuno come lui al timone, che conosce con passione il senso del franchise e l’importanza per i fan in tutto il mondo era essenziale per noi”
E Fuller non poteva certo tirarsi indietro, dopo avere inseguito così a lungo la possibilità di riportare Star Trek sul piccolo schermo, soprattutto dopo una presentazione entusiasta come quella da parte di Alex Kurtzman:
“Riportare Star Trek in televisione significa tornare alle sue radici, e per anni queste origini sono fiorite sotto la guida devota di Bryan. La sua conoscenza enciclopedica del canone di Star Trek è sorpassata solamente dal suo amore per la visione ottimistica del futuro di Gene Roddenberry, una visiono che continua a guidarci mentre esploriamo strani nuovi mondi”
Dove nessuna serie era mai giunta prima
Conoscere alla perfezione la cronologia, non sempre perfetta, di Star Trek era necessario, dato che la nuova serie avrebbe raccontato uno dei periodi meno noti dell’universo futuro di Roddenberry, ma che al contempo era stato la base da cui si sarebbero sviluppate le avventure della serie classica.
Star Trek: Enterprise aveva già compiuto un primo tentativo in tal senso. Partendo dal primo incontro con i Vulcaniani visto in Primo Contatto, la serie con protagonista l’equipaggio dell’Enterprise NX-01 si prefiggeva di raccontare i primi passi dell’umanità nello spazio, cercando anche di correggere alcune incongruenze narrative di Star Trek. Tentativi lodevoli, che vennero però vanificati da una chiusura prematura, lasciando gli appassionati privi di una vera e propria conclusione.
Per Star Trek: Discovery, si decise di inserirsi in un periodo che fosse successivo alla creazione della Federazione, collocandosi circa dieci anni prima del comando di Kirk a bordo della U.S.S. Enterprise. Periodo cronologicamente interessante per la continuity di Star Trek: la Federazione è già nata ed è in espansione, si è concluso il primo grande conflitto intergalattico (le Guerre Romulane) e la Flotta Stellare si trova a doversi confrontare con un nuovo, potente nemico, i Klingon.
Soprattutto è interessante, per gli sceneggiatori, poter raccontare un periodo che sia formativo per il futuro della Flotta Stellare. Quanto abbiamo appreso dalle precedenti serie, idealmente, viene deciso da quanto questi primi esploratori andranno a realizzare. In The Next Generation e le serie contemporanee (Deep Space Nine e Voyager) la Federazione e la Flotta Stellare sono istituzioni solide e con un codice morale ben delineato, frutto di quanto tracciato da Kirk e soci durante la serie classica, in cui venivano affrontati dilemmi etici che, trattandosi ancora di una frontiera, erano in fase definizione.
Collocandosi prima ancora di Kirk, Star Trek: Discovery aveva la possibilità di esser ancora più legata delle cronologicamente successive serie al concetto di esplorazione e di frontiera. Quanto visto in Star Trek: Enterprise diventa seminale per l’universo di Star Trek, ma a Fuller era stata data l’occasione di gettare le basi di alcuni dei momenti essenziali della storia della saga.
Un’occasione che Fuller tenendo fede alla sua visione di Star Trek: uno show of firsts. Uno spettacolo di primi, di pionieri. Era questa l’idea che guidò Fuller nel dare vita al suo Star Trek: Discovery:
“Star Trek è uno spettacolo di primi. Quando stavo facendo ricerche per i personaggi di questa iterazione di Star Trek, ho parlato con Mae Jemison, la prima donna di colore nello spazio, che vide Star Trek negli anni ’60 vedendo Nichelle Nichols sul ponte di una nave e disse ‘Mi vedo nello spazio’. C’è un qualcosa di stupenda in questa eredità, con Nichelle Nichols a rappresentare un dono per quelle persone che in precedenza non vedevano un futuro per sé. Noi manterremo questa tradizione, con un’evoluzione dei personaggi che opereranno in un mondo inclusivo”
Il ritratto che Fuller fa dell’impatto della prima, leggendaria serie di Star Trek è lucido e preciso. La sua intenzione di rendere Star Trek: Discovery un prodotto in linea con quella tradizione era forte, al punto che decise di non limitarsi a dare un nuovo volto al suo Star Trek, ma ne volle rispettare lo spirito autentico.
Questa intenzione di Fuller appare nel modo in cui viene presentato il ruolo della protagonista, Michael Burnham, interpretato da Soneqa Martin-Green. Umana cresciuta da vulcaniani (nientemeno che dalla famiglia di Spock), Burnham non è un capitano, ma un ufficiale che compie scelte difficili che portano allo scoppio di una guerra con i Klingon.
Il cambio di paradigma rispetto alle tradizionali serie di Star Trek è evidente. Pur mantenendo il concetto di evoluzione dei rapporti tra i personaggi tipico della saga, il punto di partenza di questo sviluppo è più cupo e drastico, complici un’ambientazione e un capitano, Lorca (Jason Isaac), che sono molto diversi rispetto alla tipica visione delle tensioni narrative del ponte di comando.
Un approccio che era stato chiarito in modo netto da Aaron Herberts e Gretchen Berg. La loro idea era di rimanere fedeli allo spirito di Roddenberry, mostrando il modo in cui avrebbero affrontato sfide inusuali che avrebbero condotto a confronti anche accesi tra i protagonisti. Il fulcro di Star Trek: Discovery, infine, diventa proprio la modalità con cui Burnham, Lorca, Saru e gli altri protagonisti si scontrano, spesso in modo marcato e insolito nella tradizione trekkie, ma arrivando infine ad una distensione tra le parti che consente di risolvere i problemi.
Ma non si tratta della sola rivoluzione attuata da Star Trek: Discovery. Uno dei capisaldi imposti sin dalla nascita della saga da Roddenberry era di evitare coinvolgimenti narrativi di aspetti religiosi. Non a caso, i primi interessamenti alla sfera spirituale comparvero alla morte di Roddenberry, con l’introduzione in The Next Generation dei Bajoriani, tramite la figura del Guardiamarina Ro Laren, e affidando a Deep Space Nine lo sviluppo di una trama che mette fede e spiritualità, per quanto mutati dalla fantascienza, al centro della scena.
In Star Trek: Discovery, invece, la fede entra in modo prepotente, grazie alla particolare connotazione data ai Klingon. Gli appassionati di Star Trek sono abituati ai cambiamenti imposti alla società dell’Impero Klingon, che hanno trovato una canonizzazione in The Next Generation, dove abbiamo scoperto maggiori dettagli di questa cultura grazie alla presenza di Worf a bordo dell’Enterprise.
Nella prima stagione di Star Trek: Discovery, invece, l’aspetto della cultura Klingon maggiormente trattato è stato proprio quello religioso. Andando anche in contrasto con i fan, che non hanno particolarmente apprezzato il cambio, non solo estetico, ma anche ideologico e sociale imposto all’Impero Klingon. Come disse la stessa Berg;
“In uno spettacolo che parla di differenza e diversi punti di vista, credo che si debba accettare che alcune persone credano in Dio, mentre altre venerano una patata e altri ancora non credono in nulla. Sono convinta ci sia spazio per questo in Star Trek”
Una convinzione che ha consolidato la nuova visione dei Klingon, decisione che ha portato non poche critiche alla produzione di Star Trek: Discovery. Pur concedendo che nel passaggio dalla serie classica a The Next Generation si sia visto una radicale cambiamento della fisionomia Klingon, parzialmente spiegata in un doppio episodio di Star Trek: Enterprise, i Klingon visti in Star Trek: Discovery erano quasi una razza diversa rispetto all’immaginario cui erano abituati i fan.
L’intento di raccontare una parte poco noto delle credenze Klingon, addentrandosi in un capitolo ignoto della storia di Qo’noS, era meritevole, ma Fuller e soci sembrano spingersi troppo oltre, almeno per i puristi della saga. Comprensibile, considerato come i Klingon siano una razza iconica di Star Trek, al pari di Vulcaniani e Andoriani.
Pur apprezzando l’intento di voler andare oltre le consuetudini di Star Trek, questa nuova personalizzazione dei Klingon, per quanto ben inserita nella cronologia della serie, ha reso complessa la prima stagione di Star Trek: Discovery.
Inserirsi nella continuity di Star Trek
Tenendo fede alla idee iniziali degli sceneggiatori, Star Trek: Discovery si inserisce comunque all’interno della cronologia della saga. Pur muovendosi all’interno di un periodo poco noto e solo vagamente citato in precedenza, le avventure dell’equipaggio della Discovery mostrano una certa attinenza ad eventi noti della saga.
Visivamente, le strumentazioni di bordo della Discovery e delle astronavi si discostano molto da ciò che era comparso nella serie originale, cronologicamente successiva, ma non poteva esser diversamente. Il pubblico moderno, ovviamente, non avrebbe potuto accettare uno show che mostrasse una tecnologica così data come quella immaginata negli anni ’60, e la scelta di offrire una luminosità ed un progresso tecnologico che fosse più in linea con quanto visto nei reboot cinematografici si rivelò una necessità comprensibile.
Il design della U.S.S. Discovery, NCC 1031, derivò da uno degli studi effettuati da Ralph McQuarrie, già autore dei bozzetti di Star Wars, realizzato quando aveva partecipato alla creazione di un tentativo di film di Star Trek, Star Trek: The Planet of the Titans, progetto che non ebbe mai vita.
Se questa scelta rappresenta un omaggio allo spirito autentico di Star Trek, la presenza di alcuni momenti e caratteristiche tipiche della saga hanno concorso a cementare l'aderenza di Star Trek: Discovery all'interno della continuity della saga. Nella prima stagione abbiamo avuto un assaggio di questa familiarità con la presenza di personaggi noti come Fenton Mudd e Sarek,ma è nel finale con l’arrivo della U.S.S. Enterprise che finalmente abbiamo sentito di esser in Star Trek.
Sensazione che viene acuita nella seconda stagione. La presenza dello storico capitano Pike (interpretato da Anson Mount), comandante della U.S.S. Enterprise prima di Kirk, coinvolto in una missione misteriosa che porta i protagonisti sulle tracce nientemeno che di Spock ha portato Star Trek: Discovery a collocarsi in modo avvincente all’interno della continuity della saga, grazie ad un legame narrativo con uno dei momenti simbolo del mito di Star Trek e della serie classica, Lo zoo di Talos.
La seconda stagione di Star Trek: Discovery ha dato maggior soddisfazione ai fan, che hanno visto nel Pike di Anson Mount e nella Numero Uno di Rebecca Romjin due figure che meriterebbero maggior spazio, al punto da avviare uno spin off dedicato alle imprese dell’Enterprise sotto il comando del capitano Pike, Star Trek: Strange New Worlds.
Si tratta di uno dei punti di forza di Star Trek: Discovery, l’aver portato una delle saghe fantascientifiche più amate nella serialità moderna, rischiando di scontentare i fan puristi della saga per avvicinare la nuova generazione di spettatori, con una sola promessa: arrivare dove nessun uomo è mai giunto prima!
Potete rivivere le avventure dell'equipaggio della U.S.S. Discovery acquistando il cofanetto della prima stagione di Star Trek: Discovery.