Nell’anno 2199, la Terra è un immenso deserto radioattivo, con i pochi umani sopravvissuti costretti a vivere nel sottosuolo, conseguenza di una guerra intergalattica. È questo scenario che accoglie i giovani spettatori giapponesi quando il 6 ottobre del 1974 sull’emittente Yomiuri Tv fa il suo esordio una serie animata che sarebbe divenuta un cult: Uchu Senkan Yamato. Nome che sicuramente fa battere il cuore ai conoscitori del mondo pop giapponese, ma a cui possono unirsi anche coloro che in Italia hanno conosciuto questa serie con un altro nome: Star Blazers. Solo in tempi recenti, infatti, anche nel nostro Paese abbiamo imparato a chiamare col il suo nome originario questa serie animata, ossia Space Battliship Yamato, abbandonando quell’Argo con cui la avevamo conosciuto nelle emittenti private.
Spacebattleship Yamato è ancora oggi una produzione che miete consensi, appassiona nuove generazioni e viene mantenuta viva con nuovi anime e film live action, forte dell’associazione con un nome forte: Leiji Matsumoto. Il Maestro creatore di miti come Capitan Harlock e Queen Emeraldas, infatti, ha un profondo legame con Space Battleship Yamato, ma nonostante un sentimento popolare, non è il creatore di questa serie. Dietro la nascita di Space Battleship Yamato, infatti, c’è una dinamica più complessa, che affonda le proprie radici nella fantascienza letteraria proveniente dall’altro lato del Pacifico.
In principio fu l’asteroide
Probabilmente non esisterebbe Space Battleship Yamato se nel 1958 Robert Heinlein non avesse scritto i Figli di Matusalemme (Methusalem’s Children), romanzo di sci-fi che appartiene all’epoca aurea della fantascienza letteraria. L’idea alla base del romanzo di Heinlein era che in mezzo all’umanità vivessero esseri dotati di un’incredibile longevità, che dopo secoli di clandestinità vengono scoperti, suscitando la violenta invidia dei comuni mortali, costringendoli a una fuga tra le stelle, in cerca di un nuovo mondo.
Idea intrigante che fece presa su Yoshinobu Nishizaki, produttore nipponico, che vide nel romanzo di Heinlein un’ispirazione per una nuova serie televisiva. Nishizaki decise di contattare altri nomi celebri del mondo artistico nipponico del periodo, sperando di creare un team artistico che lo aiutasse a realizzare un telefilm di fantascienza ricco di contenuti non solo avventurosi, ma anche socialmente rilevanti. Parte di questo progetto era anche Artisune Toyota, autore del romanzo Desecrated Earth, che fornì a Nishizaki nuovi elementi per arrivare a una prima stesura della sua idea.
Battezzato Asteroid Ship Icarus, il telefilm avrebbe dovuto raccontare le avventure di un equipaggio internazionale che, a bordo di un asteroide trasformato in astronave, avrebbe solcato lo spazio in cerca del misterioso pianeta Iscandar. A simboleggiare i difficili rapporti internazionali del periodo, l’equipaggio dell’Icarus sarebbe stato caratterizzato da personaggi che mostravano interessi personali e nazionali a discapito della missione, già resa gravosa dalla presenza di una minaccia aliena, i Rajendorians. Razza robotica dalle origini sconosciute, solo alla fine della serie si sarebbero rivelati come gli ultimi sopravvissuti di una razza biologica estintasi centinaia di anni prima.
Curioso notare come nell’idea di Nishizaki si veda una voglia di ritrarre le tensioni internazionali in modo critico, scegliendo un diverso approccio rispetto a quanto visto pochi anni prima con Star Trek, che mostrò invece un atteggiamento più positivo e speranzoso. Nel 1973, questa visione di Nishizaki continuò a prendere forma, ma alcuni limiti produttivi spinsero Nishizaki a rivedere la sua idea, che da una serie televisiva divenne prima un film e infine una serie animata, considerata meno onerosa dal punto vista produttivo.
Dopo aver dato vita alla casa di produzione Office Academy, Nishizaki, non sentendosi in grado di gestire una produzione animata, si mise in cerca di un esperto che potesse ricoprire questo ruolo. Compito che ricadde infine su Leiji Matsumoto, che accettò l’incarico dopo un primo rifiuto. A questo punto inizia una rivoluzione creativa che porterà alla creazione della Yamato che conosciamo oggi.
L’arrivo di Matsumoto
L’idea iniziale di avere come astronave un asteroide in viaggio nel cosmo durò poco. Curioso, se pensiamo che più o meno nello stesso periodo in Inghilterra i coniugi Anderson, coppia amata dai cultori della sci-fi televisiva, stavano meditando su un’idea simile, che sarebbe poi divenuta Spazio 1999.
Il nuovo concept prevede di utilizzare il relitto di un’astronave aliena scoperto su Marte, proveniente dal lontano mondo di Iscandar, inserendolo all’interno di un asteroide artificiale, costruito utilizzando la fascia asteroidale tra Marte e Giove. Il progetto però non convince e si decide di modificare nuovamente la sceneggiatura, introducendo un messaggero proveniente da Iscandar che offre ai terrestri una cura per la radioattività della Terra, spingendo gli umani a costruire una gigantesca astronave, la Yamato.
È a questo punto che entra in gioco Leiji Matsumoto. Quando Nishizaki contatta il Maestro, Matsumoto impone un’unica condizione: il controllo totale di sceneggiatura e design. Inizialmente Nishizaki, per quanto ammiratore di Matsumoto e del suo mecha design, rifiuta temendo che questa concessione potesse condurre a una radicale della sceneggiatura e della sua visione di raccontato fantascientifico. Quando però la produzione sembra scontrarsi con continui problemi e abbandoni, a malincuore Nishizaki deve chinare il capo e accettare le condizioni di Matsumoto.
Le richieste di Matsumoto nascevano dalla volontà del Maestro di lavorare solo a progetti che potesse sentire come suoi, lasciando la propria impronta. Questo, però, non rende Space Battleship Yamato una sua creazione, ma lo si può al massimo considerare come un rifinitore del progetto di Nishizaki. È innegabile che vada riconosciuto proprio a Matsumoto l’avere concepito uno dei tratti essenziali di Space Battleship Yamato: l’astronave stessa.
Per Matsumoto, infatti, il concept dell’asteroide era tutt’altro che affascinante, soprattutto considerando come l’astronave sarebbe divenuta uno dei tratti più riconoscibili della serie animata. Motivo per cui Matsumoto si lascia suggestionare dall’idea di trasformare una corazzata della seconda guerra mondiale in un’astronave da battaglia, andando a inserire elementi fantascientifici sullo scafo. Esempio classico, il celebre ponte di comando secondario sotto la chiglia, o l’intuizione di modificare la prua per ospitare il cannone a onde semoventi, riprendendo un’arma inventata per un suo precedente manga.
La presenza della corazzata Yamato rientra all’interno di una concezione della fantascienza più matura di Matsumoto, che considera la sceneggiatura originale come viziata da un’aderenza a un concetto di sci-fi datato e poco appetibile per un pubblico moderno. A suo avviso, è necessario osare, anche con elementi più crudi, tanto che nella sua prima sceneggiatura era prevista una scena in cui venivano ritrovati all’interno del relitto della Yamato i corpi dei marinai periti durante il suo naufragio nella Seconda Guerra Mondiale.
Questo distacco di Matsumoto rispetto alla sceneggiatura originale viene considerato come un affronto da parte di Nishizaki, che lo reputo un gesto di scortesia nei confronti degli sceneggiatori. Matsumoto, però, non intende cedere e continua a perorare la sua causa riuscendo infine a imporsi. Vittoria possibile anche per la fama guadagnata da Matsumoto in anni recenti, dove la sua fantascienza sembra attrarre i consensi degli appassionati nipponici, non solo dal punto di vista narrativo ma anche stilistico, come le celebri figure femminili slanciate o il concept tecnologico delle sue creazioni. Quest’ultimo, però, rappresenta un problema per il team di disegnatori, che costringe Matsumoto a mettersi in gioco direttamente nel realizzare alcune scene dell’anime.
Sul piano narrativo, Matsumoto apporta notevoli cambiamenti, come detto. L’equipaggio della Yamato perde il suo aspetto internazionale, e i cattivi spariscono per lasciare posto all’Impero Gamilas, una spietata potenza spaziale che, anche se mai confermato da Matsumoto, sembra essere modellato sull’esercito nazista della Seconda Guerra Mondiale.
Space Battleship Yamato, dall’esordio alla diffusione mondiale
Nonostante l’impegno profuso, la prima serie di Space Battleship Yamato non ebbe inizialmente il successo sperato. Ascolti bassi furono una costante, tanto la Yomiuri TV tagliò le iniziali 52 puntate alla metà, condensando la trama e cercando di limitare i danni. A salvare la Yamato, però, fu il successo degli anime che esplose a fine anni ’70, un interesse che spinse a dare vita a una seconda serie, il Ciclo dell’Impero della Cometa, che nuovamente vide Matsumoto come mente dietro l’operazione. Per dare nuova linfa alla serie, si scelse di mostrare una marina spaziale umana più moderna e in linea con il gusto contemporaneo, dove i concept grezzi di Matsumoto vennero rifiniti da Katsumi Itabashi, che conferì maggiore realismo ai modelli, soprattutto in termini di proporzioni e prospettiva, dando alla nuova serie di Spacebattleship Yamato un maggior appeal, che decretò il successo della serie. Fu grazie a questa, infatti, che prese poi vita una terza serie, le Guerre di Polar, e una lunga sequenza di OAV e, in anni recenti, anche un film live action.
Mentre la Yamato solcava i cieli sul piccolo schermo, la sua avventura aveva però raggiunto anche il mondo dei manga. Errore comune è pensare che, come avviene tradizionalmente, sia nato prima il manga di Space Battleship Yamato e poi la serie animata, ma in questo caso è avvenuto esattamente il contrario. La produzione del manga, infatti, avvenne quasi in contemporanea con le prime puntate della serie animata, tanto che ben presto le trame di serie e manga si discostarono.
Come altre produzioni nipponiche del periodo, anche Space Battleship Yamato trovò la strada verso il mercato estero, con una prima tappa in territorio americano. Fu negli States che venne quindi applicata una prima forma di censura sui contenuti dell’originale nipponico, considerato come i dirigenti delle reti americane volessero evitare ai giovanni spettatori di vedere alcuni aspetti considerati poco educativi, in primis l’abuso di sakè da parte del medico di bordo, la cui ubriachezza venne resa una sorta di buonumore.
Particolare attenzione venne rivolta alla censura di elementi che potessero urtate la sensibilità americana, specie se riferiti alla Seconda Guerra Mondiale. Motivo per cui si scelse di ribattezzare l’astronave Argo, evitando il riferimento alla corazzata giapponese, e la serie venne rinominata Star Blazers, nome con cui la abbiamo conosciuta anche in Italia. Scelta che, in un certo senso, priva la serie di un suo carattere fondamentale, dato che nell’originale nipponico si era creata un’identificazione tra la nave e il suo equipaggio (‘Yamato, raggiungi presto Iscandar’, ad esempio), elemento che viene perso nell’adattamento americano.
Il successo di Space Battleship Yamato, quale che sia il nome con cui è stata conosciuta, è stato tale da garantirne una produzione ricca nel corso degli anni. Parte di questo fascino è merito dell’ottimo lavoro svolto da Matsumoto, che ha infuso a Space Bbattleship Yamato i tratti essenziali di una serie animata che, ancora oggi, mantiene un suo avvincente carattere, rielaborato in successive reinterpretazioni che ci hanno accompagnato tra le stelle al fianco di questo intrepido equipaggio.