Nel corso della storia del cinema, il genere horror ha conosciuto grandi trasformazioni, con grandi successi rimasti nella memoria degli spettatori, pellicole che sono rimaste nell’immaginario collettivo facendo leva solamente su una delle emozioni più potenti per l’uomo: la paura. Ed è proprio la paura di essere perseguitati, talvolta inseguiti da un killer, che vuole colpire e uccidere le sue vittime con le armi più improbabili, a caratterizzare uno dei sottogeneri dell’horror più amato di sempre, ovvero quello dello slasher. In questo speciale vedremo di capire com’è nata questa importantissima declinazione del genere horror.
Dalla genesi italiana a Non aprite quella porta
Ebbene sì, il genere slasher affonda le sue radici nel Bel Paese. Ve lo aspettavate?
Se la risposta è no, avete sottovalutato l’influenza del popolo italico: Riccardo Freda, Renato Polselli, Pupi Avati, Mario Bava e Dario Argento, sono i grandi padri del cinema horror italiano, che hanno però fatto scuola in tutto il mondo. E tra questi grandi, si riconosce proprio il merito di aver dato i natali al genere slasher.
Era il 1971, quando uscì nelle sale Reazione a catena, diretto da Mario Bava, quello che da molti critici ed esperti di storia del cinema è riconosciuto come la pietra angolare del genere slasher, mettendo in scena, in quello che doveva essere un “giallo” a tinte horror, buona parte degli elementi che da lì in avanti avrebbero caratterizzato un nuovo sottogenere, come quello di un serial killer autore di grandi massacri. Dunque, una vera e propria nascita tutta Made in Italy.
L’effettiva consacrazione della nascita di un genere a livello mondiale, però, si ebbe solo nel 1974, grazie a Black Christmas (Un Natale rosso sangue) diretto da Bob Clark, che riprende un assassino autore di una serie di delitti in una confraternita universitaria. L’impronta di questa pellicola è così forte nel genere horror tutto, al punto che sono stati realizzati ben due remake (uno nel 2006 di Glen Morgan, e il secondo nel 2019 diretto da Sophia Takal).
I tratti particolarmente crudi e cruenti del genere nacquero sempre ’74, grazie al debutto di Non aprite quella porta (The Texas Chainsaw Massacre) di Tobe Hooper, un film che avvalendosi di un’America desolata e rurale narra la storia di un gruppo di cinque ragazzi texani che finiscono nelle grinfie di una famiglia di assassini cannibali, tra i cui componenti spicca Leatherface, lo spietato assassino noto per la sua maschera di pelle umana e l’iconica motosega. La pellicola, come tanti horror che hanno suscitato scalpore, è in parte ispirata ai reali fatti di cronaca legati a Ed Gein, un assassino statunitense.
Ad oggi, il franchise di Non aprite quella porta, conta ben 9 film tra sequel e remake, di cui uno previsto proprio nel 2022 sulla piattaforma di Netflix.
Halloween di John Carpenter, la pietra di volta
Nel 1978 l’elemento della maschera viene nuovamente ripreso da John Carpenter, che gira una pellicola a bassissimo costo con soli 300.000 dollari, ma sarà capace di incassarne oltre 70 milioni. Lui indossa una maschera bianca, è invaso da furia assassina implacabile (e quasi invulnerabile), incarna il terrore di tutti gli abitanti di Haddonfield e il suo coltello è stato affondato su centinaia di vittime. Nato dalla mente creativa di John Carpenter e Debra Hill, signore e signori: Michael Myers, un vero e proprio concentrato di male.
Secondo la trama del film originale, Michael Myers, alla tenera età di 6 anni, uccide a coltellate la sorella Judith durante la notte di Halloween e viene recluso nel manicomio di Smith's Grove. Esattamente dopo 15 anni, ancora nel giorno di Halloween, riesce a fuggire e tornare a Haddonfield per uccidere tutti coloro che si metteranno sulla sua strada che lo porta a ricongiungersi con Laurie Strode interpretata da una giovane e sensuale più che mai Jamie Lee Curtis.
Inoltre, a contribuire all’incredibile successo della pellicola, vi fu la colonna sonora composta dallo stesso Carpenter: un ormai iconico giro di pianoforte in 5/4, che da oltre 40 anni accompagna tutti i 12 film della serie (curiosamente è stata usata anche nel film Non aprite quella porta - L'inizio del 2006).
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Halloween rappresenta un’autentica chiave di volta per il genere, non solo per aver dato vita a uno dei franchise horror più longevi, o a uno dei personaggi più cupi e memorabili della storia del cinema, ma per aver dato prova della buona riuscita (anzi, più che ottima ci dicono gli incassi) di un progetto low budget e di un genere con forti riserve sul pubblico.
Tutto ciò porterà ad un’autentica rivoluzione del genere horror, che darà forte linfa vitale a questo nuovo sottogenere e non solo. Si traduce in un fiume di denaro da parte delle major, ormai ansiose di investire e fare il colpaccio alla stregua di quando fatto con Halloween.
Questa strada tracciata da Carpenter verrà subito percorsa nel 1980 da Venerdì 13 di Sean Cunningham, che sarà il primo capitolo di un altro dei franchise horror più di successo e longevi. Chi sta mietendo vittime nel camping Crystal Lake? Una serie di efferati omicidi vengono messi a segno da un misterioso serial killer, legato alla morte per annegamento di un ragazzino Jason Voorhees. Come uno spirito demoniaco, sarà proprio Jason Voorhees a tornare dall’aldilà (anche se in realtà non era morto nell’annegamento) e divenire in seguito il tremendo assassino mascherato dalla celebre maschera da hockey…
Avete capito bene. Curiosamente, nel primo film, il feroce Jason Voorhees non si vede “in attività”, anzi non è nemmeno lui il vero killer di Crystal Lake, ma prenderà in mano il suo machete a partire dalla seconda pellicola diretta da Steve Miner L'assassino ti siede accanto (Friday the 13th Part 2) nel 1981. Però fate bene attenzione: la mitica maschera da hockey entrerà in scena solo dal terzo film in poi Week-end di terrore (Friday the 13th Part III) sempre diretto da Miner del 1982.
Venerdì 13 conoscerà ben 12 pellicole, che riusciranno a far incontrare Jason con Freddy Krueger (protagonista della serie di Nightmare On Elm Street) in Freddy vs. Jason (2003), e a portare perfino Jason nello spazio con il decimo capitolo della saga Jason X (2001).
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Due serial killer mascherati e due delle più grandi saghe cinematografiche. C’è ancora spazio per qualcosa di ancora più inquietante, al punto da tenervi svegli tutta la notte?
Prestate attenzione, perché “L’uomo nero non è morto, ha gli artigli come un corvo, fa paura la sua voce, prendi subito la croce. Apri gli occhi, resta sveglia, non dormire questa notte. “
Uno, due, tre… Wes Craven sta arrivando da te!
Dopo aver realizzato L’ultima casa a sinistra (1972) e Le colline hanno gli occhi (1977), Wes Craven torna sul luogo del delitto nel 1984 firmando Nightmare – Dal Profondo della Notte (A Nightmare On Elm Street). È la nascita di Freddy Krueger, un nuovo villain destinato anch’esso a seguire il sentiero fortunato già tracciato dai suoi “colleghi”, ma Craven sperimenta e lo fa molto bene in questa pellicola, sfruttando degli espedienti del tutto inediti.
Infatti, Freddy Krueger (interpretato magistralmente da Robert Englund) è un killer slasher come Jason Voorhees e Michael Myers, ma differisce da questi grazie a una forte caratterizzazione estetica e del suo modus operandi. Freddy non indossa una maschera, ha un volto spaventoso a causa delle cicatrici procurate dalle ustioni, indossa sempre un maglione a righe verdi e rosse e un cappello borsalino marrone… ma l’elemento che lo rende memorabile è il suo terribile guanto. Si tratta di un guanto di sua costruzione che usava per terrorizzare e torturare le sue vittime. In pelle, con alla fine di ogni dito una lunga e affilata lama. Ma non finisce qui.
Rispetto agli altri serial killer, Krueger ha delle capacità che lo rendono quanto più simile a un vero e proprio demone invincibile, un demone dei sogni che lui riesce a manipolare, colpendo quindi in sogno le sue vittime, uccidendole però anche nella realtà.
La prima pellicola ebbe un incredibile successo (qui trovate la nostra recensione dell’ultima edizione in blu-ray), e a Hollywood si sa: successo fa rima con sequel, e poi ancora sequel. Ben 9 film appartengono al franchise di Nightmare On Elm Street, includendo anche il crossover di Freddy vs. Jason di cui vi abbiamo parlato poco sopra e il recente remake del 2010, che però non ha incontrato il favore del pubblico e della critica. Chissà se lo rivedremo ancora in un nuovo progetto, come accaduto col recente nuovo ciclo di Halloween.
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Con Freddy Krueger si oltrepassa definitivamente la barriera del soprannaturale, dando spazio ad altri villain di questo genere. Nel 1988 prosegue questa deriva demoniaca La bambola assassina (Child's Play) di Tom Holland. Nel film, un serial-killer ha riversato la propria anima in una bambola, Chucky appunto, mentre era in punto di morte; l’assassino potrà rientrare in un corpo umano solo dopo essere riuscito a rivelargli la sua vera identità. Ma seppur trovandosi nella sua forma “bambolesca” Chucky si lascerà travolgere dalla sua natura omicida prima ancora di portare a compimento la sua missione di reincarnazione. Anche la pericolosissima bambola assassina ha avuto il suo ciclo più o meno fortunato, annoverando al franchise ben 8 pellicole, che includono anche il recente remake del 2019.
Si prosegue ancora nel soprannaturale con Candyman -Terrore dietro lo specchio (1992) di Bernard Rose, che tanto attinge dalla creatura artigliata di Wes Craven. Infatti, Candyman (interpretato da Tony Todd) è lo spirito di un uomo di colore che appare a chiunque lo invochi ripetendo il suo nome 5 volte davanti allo specchio per poi ucciderlo con l'uncino che ha al posto di una mano. Ecco quindi il forte parallelismo con la serie di Nightmare, grazie a un villain-protagonista molto ispirato e appartenente a una dimensione ultraterrena, senza contare la peculiarità dell’arma utilizzata sulle sue vittime.
Il film originale, seppur molto apprezzato dal pubblico e soprattutto dalla critica di settore (al Saturn Awards For Science Fiction, Fantasy And Horror Films, la pellicola vinse 4 premi: Miglior Attrice per Virginia Madsen, Miglior sceneggiatore per Bernard Rose, Miglior Trucco per Bob Keen, e anche come Miglior Film Horror), ebbe minor seguito rispetto alle altre saghe cinematografiche qui affrontate, ricevendo due sequel e un remake nel 2021.
Nel 1996 sarà Wes Craven, che ancora una volta porterà un’innovazione sul genere horror slasher, creando addirittura un ulteriore sottogenere in grado di rappresentare, in modo inaspettato, una perfetta commistione tra horror e commedia, dando alla luce (o al buio, se preferite) Scream sulla sceneggiatura di Kevin Williamson.
Il nuovo villain-protagonista dello slasher è Ghostface, un maniaco omicida che ama chiamare la sua vittima al telefono prima di ucciderla, porgendo la domanda «qual è il tuo film horror preferito?». L’innovazione portata da Wes Craven è stata l’inclusione dei toni della commedia in un contesto prettamente e dichiaratamente horror, strizzando quindi l’occhio alla satira del genere horror stesso.
Scream ha avuto quattro sequel - Scream 2, Scream 3 e Scream 4 – tutti diretti dallo stesso Wes Craven, contrariamente a ciò che avviene nelle lunghe saghe cinematografiche. Un esempio lampante è proprio la “creatura” di Craven, Nightmare On Elm Street, di cui il regista ha diretto solo il primo e il settimo capitolo della saga.
Il nuovo horror slasher sotto tortura
Salve, voglio fare un gioco con voi… scegliete. Vivere o Morire? Fate la vostra scelta!
È il dilemma che viene posto ai prigionieri di uno dei serial killer più atipici e violenti della storia del cinema. Saw – L’enigmista (2004) diretto da James Wan, ovvero l’ennesima dimostrazione di ciò che il vecchio Carpenter ci ha insegnato: è possibile produrre un film sconvolgente, acclamato dalla critica e dal pubblico pur avendo mezzi molto limitati. Infatti, il film è stato girato in soli diciotto giorni e con un budget di 700 mila dollari. Forse non proprio poco, ma riuscirà ad incassarne 104 milioni. Parlando di record di incassi in questi termini, occorrerebbe citare Paranormal Activity del 2007 (costato poco più di 15.000 dollari ne ha incassati oltre 193 milioni) e The Blair Witch Project del 1999 (costato solo 22.500 dollari a fronte di un incasso di 248 milioni), ma seppur appartenenti al genere horror, ci discostiamo di molto dalla declinazione di questo articolo, appartenendo entrambi al genere found footage un format a basso costo e al contempo molto innovativo. Ma questa è un’altra storia.
Tornando allo slasher e alla saga di Saw, parliamo appunto di innovazioni. La pellicola di James Wan mette sul piano un format innovativo, un dead game, dove un misterioso carceriere vincola le sue vittime a giochi e indovinelli legati a letali e inimmaginabili marchingegni… spesso a farci le spese sono parti del corpo, la vita stessa del prigioniero o quella del compagno di prigionia. L’intera pellicola originale (ma anche i sequel che si sono susseguiti) formano un enorme e complesso puzzle, dove colpe, vendetta e redenzione si fondono in un gioco sempre più vicino a una mission dai toni quasi religiosi intrapresa da John Kramer alias Jigsaw.
Le paure esercitate da Jigsaw nei confronti delle sue vittime, e quelle dello sceneggiatore che intrappola il suo pubblico, sono diverse e tutte molto potenti, quasi paralizzanti. Il film suscita la paura dell’ignoto, di ansia e pericolo imminente per la trappola che sta per scattare con lo scadere del tempo onnipresente negli enigmi di Jigsaw. Ma soprattutto, l’intento del killer – e quello dello sceneggiatore – è la forte leva psicologica sulle sue vittime, sul background delle loro vite e sul loro valore.
Per amplificare la caratterizzazione del suo personaggio – Jigsaw appunto – Wan mette in scena anche una bambola che in un certo senso lo rappresenta, dando un marchio identitario alla minaccia del suo film, che diventerà molto popolare. Il suo successo commerciale ha portato alla produzione di ben altri otto film della serie Saw, che includono il recente e deludente reboot Spiral - L'eredità di Saw (2021).
L’anno dopo è la volta di Hostel diretto da Eli Roth e prodotto da Quentin Tarantino, e nei cinema si prendeva posto omaggiati da un sacchetto assorbente di carta con sovraimpresso il nome del film …sapete, quelli per il vomito. In effetti, poteva tornare utile. Qualcuno di voi lo ha usato?
Splatter e slasher si fondono alla tortura in questa sceneggiatura di Roth, che vede un gruppo di ragazzi americani in vacanza nell’est Europa. Ma mentre pianificano un viaggio di puro turismo sessuale, si imbattono in un luogo segreto e perverso dove chiunque può pagare per torturare e uccidere degli esseri umani. Purtroppo loro stessi saranno la merce di questo oscuro servizio per milionari.
Nel 2007 è la volta di Hostel: Part II, ancora scritto e diretto da Eli Roth, un sequel addirittura in grado di superare il suo predecessore. Non avrà la stessa fortuna Hostel: Part III diretto da Scott Spiegel, che cambia le carte in tavola buttando alle ortiche l’ottima atmosfera ricreata da Roth (il film cambia anche sceneggiatura, questa volta ad opera di Michael Weiss).
Il film uscirà nella formula direct-to-video, ma dubitiamo fortemente che altrimenti avrebbe avuto miglior sorte. In ogni caso, se vedete qualcuno con un tatuaggio raffigurante un cane bracco, beh, scappate.
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Odio e amore ai tempi del reboot
Come avvenuto per altre saghe cinematografiche famose, nemmeno gli horror sono esenti da remake e reboot. Anzi, forse è il genere più inflazionato da queste operazioni. Dopotutto, alcuni film sono un po’ come i jeans a zampa d’elefante: sono arrivati, sono tornati e torneranno ancora. E ciò succede perché, in un certo qual modo, funzionano o presentano buone prospettive di guadagno per l’industria.
Infatti, ripassando in rassegna le grandi saghe cinematografiche di questo articolo, Non aprite quella porta (The Texas Chainsaw Massacre) ha già visto un primo remake di successo del 2003 diretto da Marcus Nispel, un reboot con Non aprite quella porta 3D (Texas Chainsaw 3D) del 2013 diretto da John Luessenhop.
Siete pronti per un altro massacro? Perché proprio quest’anno arriva su Netflix addirittura un nuovo sequel direttamente del primissimo film del 1974, stavolta diretto da David Blue Garcia e scritto da Chris Thomas Devlin.
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Proseguiamo poi con uno dei nostri preferiti con Halloween, che dopo la prima pellicola del 1978 ad opera di John Carpenter e ben 7 sequel diretti (da considerarsi “apocrifi” secondo Carprenter), ecco arrivare nel 2007 Halloween – The Beginning, scritto e diretto da Rob Zombie che rappresenta un prequel, reboot e remake al tempo stesso. Un film nettamente diverso rispetto all’originale, ma maledettamente inquietante e molto ben riuscito (sì, siamo fan di questa versione), parte del merito va Daeg Faerch nel ruolo di Michael Myers da adolescente.
La saga avrà un sequel diretto di Halloween – The Beginning con Halloween II (2009), ma molto meno riuscito. Si andrà avanti addirittura con una nuova trilogia iniziando con Halloween (2018) di David Gordon Green, che secondo la produzione è l’unico vero sequel del primo film di Carpenter, vantando il ritorno di Jamie Lee Curtis e Nick Castle, e ricevendo ottime critiche. Bene, ma non benissimo per il suo sequel Halloween Kills del 2021 (qui la nostra recensione), e chissà cosa ci riserverà Halloween Ends, previsto il 14 ottobre 2022.
Ci piange un po’ il cuore pensando al remake/reboot di Nightmare (2010) diretto da Samuel Bayer, un film aspramente criticato che riscrive quasi del tutto la figura di Freddy Krueger, cambiando proprio del tutto i toni della pellicola originale e dell’iconico personaggio che non vedrà nemmeno il ritorno di Robert Englund per l’interpretazione. Ridateci Robert!
Stessa sorte per il nuovissimo Spiral - L'eredità di Saw (Spiral: From the Book of Saw) del 2021 diretto da Darren Lynn Bousman, che rispetto a quanto accaduto con il remake di Nightmare, si discosta ancora di più dalla serie principale, sia per quanto riguarda le vicende (dell’originale e anche dei sequel), sia per quanto riguarda l’innesto di una vena ironica quasi comica che fa letteralmente a pugni con l’idea originale. Purtroppo per noi, bocciato su tutta la linea.
Andrà decisamente meglio per Scream, che dopo aver ricevuto una serie antologica tutta nuova nel 2015 (comprendente ben tre stagioni, l’ultima pubblicata nel 2019, ma ancora inedita in Italia) molto apprezzata, torna anche al cinema nel 2022 per la quinta volta e con un sequel diretto dell’ultimo capitolo del 2011. Scream (Scream 5) orfano per la prima volta del suo creatore originale, è riuscito ad omaggiare, oltre a Wes Craven, l’intera serie grazie al richiamo in campo di buona parte del cast in parte partecipante perfino alla prima pellicola del 1996 (Skeet Ulrich nei panni di Billy Loomis).
Un ottimo trattamento che ogni fan vorrebbe vedere realizzato per ogni saga del genere che ha fatto la storia del cinema. Intanto, restiamo anche in attesa di Scream 6 appena annunciato.
L’interesse delle case cinematografiche e, soprattutto, quello del pubblico, fa emergere un dato importante relativo a questo specifico genere horror, che dimostra essere non un semplice “filone” da sfruttare, ma molto di più. Questo genere ha avuto e continuerà ad avere successo, per soddisfare un’esigenza, quella accomunata anche con altri media come la letteratura di genere: la paura e il piacere di affrontarla e – qualche volta – sconfiggerla nella personificazione del villain di turno. Che poi il pubblico riesca perfino ad affezionarsi al “cattivo” è dovuto al fatto che in una saga è possibile riconoscerlo, così come il contesto e tutta la familiarità che ne consegue, e consiste in un “porto sicuro” della paura e della sfida assicurata.
Voi siete tra quelli che affrontano il loro carnefice o che preferiscono correre senza voltarsi (occhio, che inevitabilmente inciamperete)?